Articoli marcati con tag ‘responsabilità’
Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere.
“Oggi è oggi, domani è un altro giorno, e io la responsabilità ce l’ho oggi, non domani, se sarò cieca. Responsabilità di cosa? La responsabilità di avere gli occhi quando gli altri li hanno perduti. Non puoi guidare o dare da mangiare a tutti i ciechi del mondo. Dovrei, ma non puoi. Aiuterò per quanto sarà nelle mie possibilità.” ( da Cecità, 1995)
Josè Saramago (1922- 2010), scrittore, giornalista. premio Nobel portoghese
Vedi: La memoria non è un optional
Il mancato lavoro della memoria
La peste della memoria inutile
Guido Rossa, un “eroe borghese” come Ambrosoli
Nel 1994, quando Berlusconi arrivò in politica e vinse, con lui era sceso in campo il ceto medio, il mondo delle partite Iva, la piccola imprenditoria, vogliosi di mettersi in proprio e di costruirsi una loro proiezione pubblica, diventando protagonisti. Era una specie di istinto di classe (difensivo e aggressivo nello stesso tempo) che si faceva partito, prendendo forma politica e cambiando il paesaggio dell’intero sistema. Ventiquattro anni dopo non c’è un blocco sociale che porta i suoi interessi dentro il gioco istituzionale, non c’è un ceto che aspira alla guida della cosa pubblica. Quella che è in atto è una cosa diversa: una grande sostituzione. Leggi il resto di questo articolo »
Oggi nessuno vuole più rispondere di nulla ma chi scarica sugli altri ogni fardello nei fatti si dichiara sostituibile e superfluo
«Non ne rispondo io — mi spiace». «Che si assuma la responsabilità chi di dovere!». «Sarà il caso di passare la palla ad altri». Quante volte al giorno capita di ascoltare frasi del genere? O persino di pronunciarle? Sfuggire alla responsabilità è una prassi diffusa nella vita privata come nella sfera pubblica.
Dai piccoli gesti della quotidianità ai rapporti affettivi, dai legami sociali all’agire politico: non c’è ambito che non sia pervaso da una rinuncia sistematica alle risposte che ciascuno è chiamato a dare. E la rinuncia finisce per volgersi in vera abdicazione là dove le responsabilità aumentano. Leggi il resto di questo articolo »
Il cognitivista Albert Bandura analizza il disimpegno morale, il meccanismo che si adotta per commettere il male invocando attenuanti
C’è una ragione se il kantiano “legno storto” non si raddrizza. Siamo circondati dal risentimento verso politici corrotti e ce n’è ben qualche ragione. Ecco che i tribuni che invocano purezza ideale e morale guadagnano punti, ma trovano presto un limite alla loro espansione elettorale, perché l’idea di un “popolo” puro contrapposto a un manipolo di cattivi non sta in piedi, dal momento che la politica inquinata affonda le radici (e svolge la sua attività) in quel medesimo popolo, con scambio di favori, dati e ricevuti.
Al raddrizzamento totale tocca rinunciare a causa della “natura della natura umana”; quella è cosa da lasciare a orrende dittature, sempre fallimentari, ma la conoscenza sottile della “stortura” mostra che migliorare è possibile. Leggi il resto di questo articolo »
… Molte volte per spiegare, o peggio ancora per giustificare, gli spropositi e le porcherie fatti ieri e oggi dai politicanti italiani di ogni denominazione, si ripete che “gli italiani son fatti così” e la botte non può dare che il vino che ha. Giolitti ai suoi tempi diceva che il popolo italiano era gobbo e – lui – non poteva fare a un gobbo altro che un abito da gobbo. E certo il popolo italiano era gobbo.
Ma Giolitti invece di tentare quanto sarebbe stato possibile per farlo, non dico dritto come un fuso, ma un gobbo meno gobbo di quanto egli aveva trovato, lo rese più gobbo di quanto fosse prima. Poi venne Mussolini e disse che il popolo italiano era buono a nulla. Poi sono venuti molti – troppi – antifascisti e anch’essi dicono che il popolo italiano è fatto così. Dove tutti sono responsabili, nessuno è responsabile… Leggi il resto di questo articolo »
Si è discusso molto del terremoto di Ischia. Nonostante la magnitudo bassa ci sono stati crolli e vittime, di chi è la colpa? Dei cittadini? Della politica? Della natura matrigna? Molti hanno citato Benedetto Croce perché finì sotto le macerie del terremoto di Casamicciola nel 1883 perdendo il padre, la madre e la sorella. In verità la riflessione filosofica sui terremoti viene da lontano e porta con sé (anche) interessanti considerazioni sul “male”. Non solo Rousseau. A Leibniz che diceva di “armonie prestabilite”, che “viviamo nel migliore dei mondi possibili”, rispose Voltaire in occasione del terremoto di Lisbona; significò l’abbandono dell’ottimismo e una riflessione sulla miseria dell’uomo e la dimensione del dolore (cfr. Poema sul disastro di Lisbona, 1756). Leggi il resto di questo articolo »
C’È qualcosa che ferisce nella divisione che sembra attraversare il Paese in queste ore, dopo la tragedia di Ischia. Con la contrapposizione esasperata dai social fra parti diverse e contrapposte, fra Nord e Sud. Con chi dice che lo Stato non dovrebbe pagare la ricostruzione delle case abusive o di quelle costruite dai camorristi, e con le urla contro i “giornalisti sciacalli”. E con una polemica politica che è incentrata non sull’analisi ma sulle colpe da rinfacciare all’avversario. Né sembrano esservi stati in queste ore veri moti di solidarietà. Leggi il resto di questo articolo »
Nel vuoto di sovranità seguito all’8 settembre elaborarono un insieme di norme che prefigurò il nuovo ordine democratico
L’8 settembre 1943 il vuoto di sovranità aperto dalla dissoluzione dello Stato regio fa del Centro-Nord una terra di nessuno giuridica nella quale, come nello stato di natura di Hobbes, non c’è ordine, non c’è legalità, c’è solo paura della morte. Paura che nasce sia dalla violenza predatrice e terroristica esercitata in modo organizzato dai nazifascisti, sia dall’arbitrio sregolato e illimitato dei singoli militi e poliziotti tedeschi e repubblichini. E di ritorno allo stato di natura parla la migliore storiografia degli ultimi decenni, da Claudio Pavone a Giovanni De Luna, per la quale, venuta meno la sovranità statale, ogni italiano si trova nella condizione di poter scegliere di far valere la propria sovranità individuale. Leggi il resto di questo articolo »
La grande illusione – Dalla caduta del Muro alle primavere arabe addio alle speranze .
Stiamo vivendo un tornante storico, è cominciata l’Età della Regressione. Scordate le speranze suscitate dal crollo del Muro di Berlino, la straordinaria sera del 9 novembre 1989. È tramontata l’era della Grande Illusione: la democrazia ovunque, le “primavere”, le rivoluzioni arancioni… oggi il colore che predomina è quello nero. Leggi il resto di questo articolo »
Egregio direttore, le scrivo in merito all’articolo comparso sulla prima pagina del suo giornale del 17 Febbraio con il titolo: Gli zaini pieni contano più delle parole, a firma del signor Paolo Rossi. Mi spiace dirlo, ma a me è sembrato come il festival dell’ovvietà, del qualunquismo e di quell’antico approccio ideologico che il signor Rossi vorrebbe che la sua parte politica accantonasse, recuperando un suo ruolo identitario, innovandolo, senza rifugiarsi in un passato che non c’é più (parole sue). Leggi il resto di questo articolo »
La responsabilità, il male, la felicità. E i luoghi comuni da rovesciare. Così la lingua tagliente del filosofo mostra che siamo membra di un unico corpo
Riappropiarci di ciò che siamo: non è facile restare noi stessi quando intorno tutto cambia vorticosamente, eliminando punti di riferimento o appigli. Viene quasi da pensare che non esista qualcosa di autenticamente nostro, che possiamo chiamare legittimamente «io», perché siamo il prodotto delle interazioni sociali, il risultato della combinazione casuale degli eventi fortuiti che ci capitano. Nel mondo antico lo stoicismo è il movimento che più decisamente si è opposto a queste idee: possiamo decidere di non ascoltarla, ma dentro ciascuno c’è una coscienza morale, che parla. Siamo noi. Leggi il resto di questo articolo »
Questo brano è tratto dall’articolo intitolato “COSTITUENTE E PATTO NAZIONALE” pubblicato nell’ultimo giornale politico fondato da Giuseppe Mazzini: La Roma del Popolo ( N. 47 18 gennaio 1872). Il giornale iniziò le sue pubblicazioni a Roma nel 1871 e venne diretto da Giuseppe Petroni, patriota e difensore della Repubblica Romana. Le pubblicazioni durarono dal 9 febbraio 1871 al 21 marzo 1872, poco dopo la morte di Mazzini avvenuta a Pisa il 10 marzo. Petroni figurava come direttore in nome di Mazzini, costretto all’esilio permanente tra Lugano, Londra e brevi viaggi in Italia sotto falso nome. Gli articoli di fondo del giornale, tutti firmati da Mazzini, sono la summa del suo pensiero politico, sociale e umano più alto e affascinante, Ma soprattutto colpisce la preveggenza che Mazzini esprime sul futuro di un’Italia da lui sempre amatissima ma che non accettava per come si andava configurando politicamente e, soprattutto, moralmente. La sua drammatica riflessione sull’indifferenza, in questo articolo, anticipa di decenni quella di un altro grande italiano, Antonio Gramsci ( vedi il link a piè di pagina), che scrisse un accorato testo contro gli indifferenti nel 1917. I due Maestri ci aiutano a capire ( se lo vogliamo) che il vero devastante pericolo per la nostra società prima della corruzione, dell’incapacità dei politici, delle forme di “democratura” ritornante è la massa d’indifferenti che ci abitano intorno, che forse vivono con noi, che forse siamo noi stessi. Leggi il resto di questo articolo »
Il risultato del referendum britannico è la vendetta della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati dei burocrati comunitari
Nel Parlamento europeo di cui sono membro, quel che innanzitutto colpisce, osservando la reazione alla Brexit, è la diffusa assenza di autocritica, di memoria storica, di allarme profondo – e anche di qualsiasi curiosità – di fronte al manifestarsi delle volontà elettorali di un Paese membro. (Perché non va dimenticato che stiamo parlando di un Paese ancora membro dell’Unione). Una rimozione collettiva che si rivela quanto mai grottesca e catastrofica, ma che dura da decenni. Meriterebbe studi molto accurati; mi limiterò a menzionare alcuni punti essenziali. Leggi il resto di questo articolo »
Nel marzo di trentasei anni fa Italo Calvino pubblicava su questo giornale un articolo intitolato Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti. Vale la pena di rileggerlo (o leggerlo) non solo per coglierne amaramente i tratti di attualità, ma per chiedersi quale significato possa essere attribuito oggi a parole come “onestà” e “corruzione”. Per cercar di rispondere a questa domanda, bisogna partire dall’articolo 54 della Costituzione, passare poi ad un detto di un giudice della Corte Suprema americana e ad un fulminante pensiero di Ennio Flaiano, per concludere registrando il fatale ritorno dell’accusa di moralismo a chi si ostina a ricordare che senza una forte moralità civile la stessa democrazia si perde. Leggi il resto di questo articolo »
La ricetta dello studioso francese Pierre Rosanvallon: “La democraticità delle elezioni va unita alla democraticità dell’azione di governo”.
Intervista di Fabio Gambaro
PARIGI «Inostri regimi possono essere considerati democratici, noi però non siamo governati democraticamente». Parte da questa amara constatazione il nuovo utilissimo saggio di Pierre Rosanvallon, “Le bon gouvernement” (Seuil), ultimo capitolo della sua ormai più che decennale riflessione sulle forme e i caratteri della democrazia. In queste pagine lo studioso francese che insegna al Collège de France parte dall’insoddisfazione dei cittadini di fronte a governi che non rispettano le regole della trasparenza e della responsabilità, proponendo oltretutto politiche confuse e illeggibili. Motivo per cui considera urgente tracciare una mappa delle regole del buongoverno e delle modalità che consentano ai cittadini di esercitare un controllo più stringente sulle azioni della politica. Solo il buon governo, infatti, può battere il disincanto democratico. Leggi il resto di questo articolo »
TIZIANO TERZANI (1938- 2004) AD ORIANA FALLACI (1929- 2006)
7 OTTOBRE 2001. LETTERA DA FIRENZE
Il Sultano e San Francesco
Non possiamo rinunciare alla speranza
Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Leggi il resto di questo articolo »
Si dice che le categorie del Novecento non siano in grado di capire il presente. Falso. Solo il Novecento ci fa capire il dopo; solo chi lo ha attraversato e sofferto, tutto intero, può interpretare il presente con strumenti affilati. Mario Tronti, che il XX secolo l’ha vissuto da protagonista intellettuale – da marxista eretico – e ne è uscito sconfitto, non ha rinunciato all’esigenza, e al dovere, di capire. Oggi la libertà di pensiero è garantita, ma non è concesso un pensiero di libertà: il capitale ha conquistato tutto il mondo, e così è arrivato a conquistare anche tutto l’uomo. Non solo trattato di filosofia politica, “Dello spirito libero” è anche e soprattutto un capolavoro di resistenza: un’opera composta di frammenti, perché “non si può ormai pensare e scrivere che per frammenti, essendo esploso il mondo di ieri in mille pezzi”. Un libro matto e disperatissimo, profondamente autentico. Scegliendo il procedimento analogico e lo stile metaforico, senza mai cedere all’autobiografia o alla confessione, Tronti richiama e contempla tragicamente i grandi temi della storia e dell’uomo: il Moderno occupato dal capitalismo e la concezione borghese della vita, la Rivoluzione d’ottobre e l’errore del socialismo subito, il crollo del comunismo e la fine della storia; la memoria, le classi, il feticcio della merce, la critica della democrazia, l’autonomia della politica.
Il libro: Mario Tronti, Dello spirito libero, ed. Il Saggiatore 2015, € 20 Leggi il resto di questo articolo »
Così fu ucciso Bonhoeffer teologo devoto a Dio e al mondo. Settant’anni fa fu giustiziato dai nazisti il grande studioso protestante. Che fece dell’amore per la vita il centro della sua fede
ESATTAMENTE 70 anni fa, all’alba del 9 aprile 1945, completamente nudo, veniva giustiziato nel lager nazista di Flossenbürg il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer che scontava così la sua partecipazione alla Resistenza. Nel 1955 il medico del lager H. Fischer-Hüllstrung rilasciò una testimonianza, da allora ripetutamente citata, secondo cui il condannato prima di svestirsi si era raccolto in preghiera: «La preghiera così devota e fiduciosa di quell’uomo straordinariamente simpatico mi ha scosso profondamente; anche al luogo del supplizio egli fece una breve preghiera, quindi salì coraggioso e rassegnato la scala del patibolo, la morte giunse dopo pochi secondi». Leggi il resto di questo articolo »
In questo nostro tempo, dove sono i maestri e chi, nella vita civile, userebbe questa parola senza almeno una punta d’ ironia, se non anche di dileggio? Maître sopravvive senza discredito in francese, nel settore culinario, alberghiero e forense, mentre il femminile, maîtresse, sembra un residuo di romanzo ottocentesco. Il maître de conférence è semplicemente un aiutante del professore che svolge quelle che noi avremmo definito un tempo “esercitazioni”, prima di diventare agrégé. Ma chi si lascerebbe oggi definire impunemente maître à penser, espressione che suona pretenziosa e gonfia, allo stesso modo di “maestro di vita”? Leggi il resto di questo articolo »
Sul vero/falso e sulla svolta mediatica del potere oligarchico in Italia.
Ci troviamo all’inizio della fase definitiva dell’ingresso dell’Italia nel mondo reale. Reale, qui, sta per attuale. Nel senso di ciò che sta accadendo.
Essendo un paese arretrato, la nostra nazione gode di un incredibile e paradossale vantaggio rispetto a tutte le altre (e’ il senso positivo della vicenda): non deve fare i conti con le resistenze della modernità, con i trucchi del capitalismo avanzato, e con i consueti impedimenti che i cosiddetti poteri forti tentano di costruire per impedire l’affermazione di un mondo nuovo. In quanto nazione medioevale, che ha da sempre mantenuto una oligarchia aristocratica più o meno mascherata, più o meno dichiarata, che ha fatto di tutto per impedire la genesi e lo sviluppo di un capitalismo efficace ed efficiente, ha oggi la possibilità di saltare direttamente nel mondo post-moderno, ponendosi addirittura come avanguardia; fatto questo che -in verità- si sta già verificando. Come nel mondo asiatico è la Cina: l’unica grande nazione al mondo che si è catapultata dal loro medioevo nella post-modernità, senza aver mai nè attraversato nè vissuto l’epica della società moderna. Leggi il resto di questo articolo »
Un’azione è omologata quando è conforme a una norma che la prescrive, quindi, quando non è un’azione, ma una conform-azione. E conformazioni sono tutte le azioni che si compiono in un apparato e in funzione dell’apparato (…). Gli scopi che l’apparato si propone non rientrano nelle competenze del singolo individuo e talvolta, stante l’alta sofisticazione tecnica, nelle possibilità della sua competenza (…). Ciò che si richiede è solo la responsabilità della buona esecuzione, non le responsabilità dello scopo. Ora privare un’attività del suo scopo significa privare che vi prende parte di un vero rapporto con il futuro, e senza futuro l’agire si muove in quell’orizzonte senza tempo che lo trasforma in un fare senza senso, pura risposta alle richieste dell’apparato, non dissimile dalla rigida risposta che ogni animale dà agli stimoli che provengono dal suo ambiente.
Umberto Galimberti, filosofo, 2007
Vedi: Nulla è più anarchico del potere.
Da Abu Ghraib ai reporter sgozzati. Cosa resta di un principio che infonde leggi e costituzioni.
Lo spirito del nostro tempo è orientato alla dignità, come un tempo lo fu alla libertà, all’uguaglianza davanti alla legge, alla giustizia sociale. Tutti s’ispirano, o dicono d’ispirarsi, alla dignità degli esseri umani, soprattutto dopo lo scempio che ne hanno fatto i regimi totalitari del secolo scorso. Tutto bene, allora? Finalmente un concetto e una concezione dell’essere umano – un’antropologia – in cui si esprime un valore sul quale tutti non possiamo che concordare? Un pilastro sul quale un mondo nuovo può essere costruito? Cerchiamo di darci una risposta, lasciando da parte le buone intenzioni, le illusioni. La legge fondamentale tedesca inizia proclamando la dignità umana «intoccabile». La nostra Costituzione la nomina a diversi propositi. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del dicembre 1948 si apre con la “considerazione” che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Leggi il resto di questo articolo »
Scriveva don Lorenzo Milani a un giovane comunista: «Hai ragione; tra te e i ricchi sarai sempre te povero ad avere ragione. (…). Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene, quel giorno io ti tradirò». Leggi il resto di questo articolo »
“ Uomini di Galilea, perché ve ne state a guardare verso il cielo? ” (Atti 1, 11)
Il rimprovero dei due bianco-vestiti – perché state a guardare in alto? – intercetta l’altra linea di evasione: quella di pensare al Paradiso, di pensare all’aldilà. Noi siamo convinti, per abitudine, che è religioso l’uomo che pensa soprattutto all’aldilà, mentre ci è stato detto, nel giorno in cui il Figlio dell’uomo ha superato il crinale che separa il tempo dall’eternità, di non guardare in alto. Il nostro compito è di guardare la vita che facciamo, il mondo in cui siamo, perché è in questo spazio che si consuma in pieno il nostro impegno con Dio. Leggi il resto di questo articolo »
NON possiamo distogliere lo sguardo dai mali profondi dell’Italia, quelli che continuano a corrodere la società. Abbiamo appena assistito all’accettazione strutturale della corruzione, visto che condannati e inquisiti non sono stati non dico almeno biasimati, ma dotati di un paracadute politico con candidature alle elezioni europee e locali. Vi è una morale da trarre da questa vicenda? Ve ne sono almeno tre. La prima riguarda il significato assunto dalle leggi in queste materie; la seconda evoca l’onore perduto della politica; la terza richiama l’impossibile ricostruzione di un’etica civile. Leggi il resto di questo articolo »
Cos’è oggi lo Stato? Uomini in divisa che ammazzano di botte (letteralmente) cittadini in difficoltà che allo Stato si erano affidati. Dov’è oggi lo Stato? Nella sala affollata di un sindacato della Polizia di Stato, che inneggia agli agenti condannati dai giudici dello Stato per aver massacrato il ragazzo Federico Aldrovandi. Solidarietà che un giorno potrebbe essere estesa ai loro colleghi nelle cui mani sono morti, tra urla disperate e nel silenzio, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini. Dove non è oggi lo Stato? Accanto all’ispettore della Polizia di Stato, Roberto Mancini, che per primo indagò sui veleni della Terra dei Fuochi e che nelle centinaia di siti tossici esplorati contrasse quel tumore del sangue che lo ha ucciso e per il quale il ministero degli Interni, organo del governo dello Stato, gli riconobbe un risarcimento di 5 mila (cinquemila) euro. Leggi il resto di questo articolo »
intervista a Michael Sandel*, a cura di Corrado Del Bò ed Eleonora Marchiafava
Basta che uno scambio di mercato sia libero e volontario perché nessuno possa opporvisi? Davvero dobbiamo essere indifferenti rispetto al contenuto delle preferenze individuali, come il pensiero economico mainstream tende a ritenere? O ci sono beni che il denaro non deve poter comprare? E quali? Fino a che punto possiamo accettare che si spinga il potere del denaro? Quando, invece, abbiamo buone ragioni per evitare che un bene divenga merce? Quando, in breve, la morale deve dettare legge al mercato? A queste e altre domande prova a rispondere Michael Sandel, filosofo politico che insegna a Harvard, nel suo libro appena uscito per Feltrinelli Quello che i soldi non possono comprare (pp. 233, euro 22,00). Sono risposte che partono da esempi concreti: dalle celle più confortevoli per detenuti disposti a pagare un extra al bagarinaggio delle messe del papa, passando per il diritto di saltare le code (pagando, s’intende), la vendita di sangue, l’utero in affitto, i tatuaggi pubblicitari permanenti, l’esternalizzazione della guerra alle compagnie private, i futures sul terrorismo. E sono risposte che generano altri interrogativi, in una trama allo stesso tempo semplice e sofisticata che, alla fine, chiama il lettore a una pronuncia morale: è giusto che sia il denaro a decidere come distribuire un certo bene? Leggi il resto di questo articolo »
intervista a Michele Gesualdi, a cura di Osvaldo Sabato
“Per chi lo ha conosciuto bene don Lorenzo Milani continua a rimanere l’uomo del futuro, nonostante che gli anni della morte abbiano superato quelli della vita”, dice Michele Gesualdi. A novant’anni dalla nascita del prete di Barbiana, il 27 maggio del 1923 a Firenze (ma il destino ha voluto che se ne andasse a 44 anni il 26 giugno 1967) quanto è ancora attuale il suo messaggio? Michele Gesualdi fu uno dei primi sei allievi di don Milani, oggi è presidente della Fondazione che porta il suo nome, dopo essere stato per anni sindacalista della Cisl e per due mandati presidente della Provincia di Firenze. Chi meglio di lui avrebbe potuto raccontare la storia di don Milani, il priore, come si faceva chiamare dai suoi scolari. Per il novantesimo dalla nascita è in programma una mostra dal titolo «Don Lorenzo Milani e la pittura – Dalle opere giovanili al Santo Scolaro » che sarà inaugurata il prossimo 6 giugno a Palazzo Medici Riccardi, presso gli spazi espositivi della Provincia di Firenze: oltre 80 opere tra dipinti e disegni, provenienti da collezioni private, di un appassionato studente realizzati all’età di 18 /20 anni, dalle lezioni del pittore Hans-Jachim Staude sino agli studi anatomici presso l’Accademia di Brera. Leggi il resto di questo articolo »
Questo libro raccoglie gli scritti relativi alla vicenda che dal 1965 vide coinvolto don Lorenzo Milani in un processo per apologia di reato, per aver difeso l’obiezione di coscienza alla coscrizione militare. In apertura viene proposta la lettera ai giudici, conosciuta anche come “L’obbedienza non è più una verità”. Segue la lettera con cui il priore di Barbiana replicò a un documento dei cappellani militari in cui si definiva l’obiezione di coscienza “un insulto alla patria, estraneo al comandamento cristiano dell’amore ed espressione di viltà”. Questa lettera è all’origine della denuncia che porterà don Dilani a processo. Vengono poi raccolte le lettere che durante il procedimento giudiziario don Milani indirizzò all’avvocato difensore assegnatogli d’ufficio. Per aver difeso gli obiettori di coscienza, dopo un’assoluzione in primo grado, il priore di Barbiana è condannato in appello, ma il reato – recita la sentenza postuma – “è estinto per la morte del reo”. Come servitore della società civile e con grande rispetto dello Stato, egli lottò anche per la difesa del diritto all’acqua pubblica, per l’istruzione delle classi sociali svantaggiate, per la demolizione dell’intellettualismo (il libro riporta i suoi scritti sull’argomento) e diede un continuo monito all’impegno ed alla responsabilità personale contro l’indifferenza e l’inerzia. Con un linguaggio semplice e diretto, Don Lorenzo Milani cercò di divulgare la cultura, il sapere, ed il saper fare, non limitandosi a diffondere solo precetti religiosi. Non a caso, I care era il suo motto. La frase che da il titolo al libro è di don Primo Mazzolari che fu maestro di don Milani. Leggi il resto di questo articolo »
Caro amico ti scrivo… Ti scrivo per non piangere e per non leggere i giornali, per non andare a passeggiare in riva al fiume, per non rispondere a mio figlio che mi chiede notizie dell’Italia. Ti scrivo per non salire sul tetto e mettermi a urlare in mezzo alla notte» senza neppure la speranza che fa urlare i gatti. Del resto» che cosa resta se non urlare» quando la lingua è ridotta a una melma di non sensi a furia di farle dire tutto e il contrario di tutto.
Di usare le parole per riferirsi al loro contrario. Di dire responsabilità e intendere omertà, dire giustizia e intendere impunità, dire rinnovamento e intendere Angelino Alfano, dire legalità e intendere messa al sicuro dei fuorilegge, dire democrazia e intendere consorteria. Non so se a un italiano è capitato di sentirsi così in altri tempi. Ma questa finzione di democrazia ridicolizza anche lo sdegno. Distrugge tutto, compresa la rabbia che affonda prima nella nausea e poi nell’infinita noia, condita dalla melassa dell’universale soddisfazione. Leggi il resto di questo articolo »
Un titolo provocatorio, ma neppure troppo. Non si tratta solo di una metafora. Il culo è ovunque, nel linguaggio e nella cronaca. Perché, quando e come l’Italia è precipitata nel “cul de sac di un presente e di un futuro tanto nebulosi e atterrenti“? Partendo da una domanda tale da far tremare i polsi a più generazioni, l’autore cerca risposte indietro nel tempo, dal secondo dopoguerra in poi. Il fine è quello di approntare un “manuale di deberlusconizzazione” che riguardi un po’ tutti, compresi i sedicenti avversari del Caimano e quella porzione ampia di italiani che gli ha votato contro “comportandosi come lui“. Leggi il resto di questo articolo »
Il 25 aprile del 1992 moriva in tragico incidente stradale
padre ERNESTO BALDUCCI
(1922- 1992)
Nello stesso giorno anniversario della Liberazione moriva un maestro della liberazione, padre Balducci. Come a legare per sempre la figura di questo prete straordinario con il grande evento della storia recente d’Italia, frutto del sacrificio di migliaia di uomini e donne che avevano combattuto e dato la vita perchè l’Italia fosse liberata dal nazifascismo. Anche padre Ernesto è stato un “partigiano”: non sulle montagne o in drammatici scontri con i Tedeschi, ma attraverso la sua brillante e acuta attività di conferenziere o attraverso i suoi illuminanti scritti. Un partigiano che ha lottato per la liberazione più difficile: quella delle coscienze. La liberazione dal grigiore mentale, dall’ignoranza, dall’indifferenza, dall’incoscienza dei grandi problemi del mondo di oggi. Liberazione che ha sempre consistito nel provocare all’impegno e alla responsabilità, alla conoscenza e all’amore da vivere donando se stessi e non rifungiandosi nei “buchi” dove troppi di noi sopravvivono pensando solo a salvaguardarsi. Il 25 aprile del 1945 ha dischiuso la possibilità della Liberazione: era qualcosa in nuce che doveva essere sviluppata, curata, difesa. Sappiamo come è andata, vediamo che Italia e italiani sono di fronte a noi dopo 67 anni da quei giorni fatidici del 1945. Vediamo quanto sia stato “sprecato” il sangue e il sacrificio di migliaia di Resistenti. Padre Balducci ne era consapevole e ha impegnato la sua vita perchè gli italiani diventassero degni di ciò che era stata la Resistenza e non continuassero, con la loro inettitudine, a ritornare sotto la dittatura, questa volta dell’ideologia consumistica, della stupidità e della volgarità, nel disimpegno quasi totale. Proprio come aveva gridato il suo coetaneo Pasolini. Profeti entrambi che hanno messo la loro vita ( così diversa eppure così simile) a servizio dell’uomo e della sua dignità. Leggi il resto di questo articolo »
È un’immagine che ferisce: quegli immigrati con lo scotch sulla bocca, le mani legate e gli occhi spaventati, la cui foto ha fatto il giro del web, ci dice più di tante parole che cosa siamo. Quale è l’abisso in cui rischiamo di cadere senza più qualsiasi senso di solidarietà e di rispetto umano. L’immigrato vale meno di una merce da spostare da una parte all’altra del mondo. È il segno di un declino spaventoso. Leggi il resto di questo articolo »
Il 10 marzo 1872 muore a Pisa, nella casa dei Nathan-Rosselli, sotto il falso nome di dottor John Brown e rifiutato dall’Italia unita
GIUSEPPE MAZZINI
PADRE DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849
Maurizio Lazzarato, sociologo e filosofo. Questo testo è tratto dalla sua ultima opera, La Fabrique de l’homme endetté. Essai sur la condition néolibérale, Editions Amsterdam, Paris, 2011.
La successione delle crisi finanziarie ha portato a emergere una figura soggettiva che ormai occupa tutto lo spazio pubblico: quella dell’uomo indebitato. Il fenomeno del debito non si riduce alle sue manifestazioni economiche. Esso costituisce la chiave di volta dei rapporti sociali in regime neoliberista, poiché opera una duplice espropriazione: quella di un potere politico già debole, concesso dalla democrazia rappresentativa, e quella di una parte crescente della ricchezza che le lotte passate avevano strappato all’accumulazione capitalista; esproprio, soprattutto, dell’avvenire, vale a dire del tempo come portatore di scelte, di possibilità. Leggi il resto di questo articolo »
Per risolvere la crisi economico-finanziaria della Grecia e dell’Italia è stato costituito, per esigenza della Banca Centrale Europea, un governo di soli tecnici senza la presenza di politici, nell’illusione che si tratti di un problema economico che deve essere risolto economicamente. Chi capisce solo di economia finisce col non capire neppure l’economia. La crisi non è di economia mal gestita, ma di etica e di umanità. E queste hanno a che vedere con la politica. Per questo, la prima lezione di un marxismo minimo è capire che l’economia non è parte della matematica e della statistica, ma un capitolo della politica. Gran parte del lavoro di Marx è dedicato alla destrutturazione dell’economia politica del capitale. Quando in Inghilterra si visse una crisi simile all’attuale e si creò un governo di tecnici, Marx espresse con ironia e derisione dure critiche perché prevedeva un totale fallimento, come effettivamente successe. Non si può usare il veleno che ha creato la crisi come rimedio per curare la crisi. Leggi il resto di questo articolo »
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.
don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici, 1965
La religione del libero mercato e i limiti profondi del capitalismo
Il nuovo libro di Hans Küng si intitola Onestà. Perché l’economia ha bisogno di un’etica ed esce da Rizzoli il 2 marzo (traduzione di Chicca Galli, pp. 372, € 20). In questa pagina anticipiamo un brano dedicato all’ «economia responsabile» . Onestà è un saggio contro la religione del libero mercato, e per la riscoperta dei valori che potrebbero rendere l’economia più equa e più efficace. L’ultima crisi, sostiene Küng, lo ha confermato: il capitalismo non è una scienza e, come il socialismo, ha limiti profondi che rischiano di portare la società al collasso. Il teologo, a cui nel 1979 la Congregazione per la dottrina della fede ha revocato l’autorizzazione a insegnare la teologia cattolica, analizza da una parte la globalizzazione e l’evoluzione dei mercati, dall’altra si interroga su concetti chiave come giustizia, equità, remunerazione. Küng crede in un’etica mondiale, valida anche per l’economia, basata su due principi: la reciprocità (non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te) e l’umanità (ogni essere umano deve essere trattato umanamente). Con Rizzoli il teologo svizzero ha pubblicato vari libri, tra cui Ebraismo (1993), Cristianesimo (1997), Islam (2005), tutti disponibili nella Bur. L’anno scorso è uscito, sempre da Rizzoli, Ciò che credo.
Servili, bugiardi, fragili, opportunisti: il mondo continua a osservarci stupito e a chiedersi donde provengano negli italiani tante riprovevoli inclinazioni, tanta superficialità etica e tanta mancanza di senso di responsabilità. Colpa delle stelle? Del clima? Della natura beffarda che ci avrebbe fatti così per puro capriccio? In questo suo nuovo libro, sciolto e affabulatorio nella forma quanto ruvido e penetrante nella sostanza, Ermanno Rea ci guida alla ricerca delle origini stesse della “malattia”, del suo primo zampillare all’ombra di quel Sant’Uffizio che nel cuore del secolo XVI trasformò il cittadino consapevole appena abbozzato dall’Umanesimo in suddito perennemente consenziente nei confronti di santa romana Chiesa.
Dopo oltre quattro secoli, la “fabbrica dell’obbedienza” continua a produrre la sua merce pregiata: consenso illimitato verso ogni forma di potere. L’italiano si confessa per poter continuare a peccare; si fa complice anche quando finge di non esserlo; coltiva catastrofismo e smemorante cinismo con eguale determinazione. Dall’Ottocento unitario al fascismo, dal dopoguerra democristiano alla stessa dinamica del compromesso storico, fino alla maestosa festa mediatica del berlusconismo, “Mario Rossi” ha indossato la stessa maschera del Girella ossequioso. Saggio, pamphlet, invettiva, manifesto: un libro di straordinaria lucidità e saggezza, una riflessione che diventa sbrigliata ricognizione storica, atto di accusa, istigazione al pensiero.
di Ermanno Rea, ed. Feltrinelli 2011, € 16,00
vedi: Vi racconto il lato oscuro degli italiani
Cercare la colpa è molto più facile e più rassicurante che non interrogarci sulle responsabilità che possono anche coinvolgerci, metterci in gioco. La colpa permette di incontrare il colpevole, o presunto tale. E in questo modo ci permette di liberare la nostra coscienza. Liberarla da quei sottili vincoli che ci uniscono gli uni agli altri. La responsabilità invece è un itinerario molto più complesso, perché ci obbliga a ragionare, a stare nei termini della corresponsabilità. Dalla colpa alla Responsabilità è itinerario di difficile attuazione, perché sembra quasi, e in questi tempi lo si vive quotidianamente, che abbiamo bisogno di colpe, di colpevole, di liberarci dai sensi di colpa, mentre dovremmo ritrovare una capacità adulta, serena, di assumere le nostre responsabilità e la vera maturità del nostro vivere. E a questo proposito don Tonino Bello scriveva: “Noi non solo dobbiamo correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare, con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.. E piccole succursali di queste botteghe, veramente oscure, esistono anche nelle nostre città“.
don Aldo Antonelli, parroco di Antrosano