Articoli marcati con tag ‘individualismo’

«Non sappiamo dove la morte ci aspetta, aspettiamola ovunque. La meditazione della morte è meditazione della libertà. Chi ha imparato a morire, ha disimparato a servire. Saper morire ci libera di ogni soggezione e da ogni costrizione».

Michel de Montaigne (1533-1592)

 

Poiché la storia ci insegna che ogni fenomeno sociale ha o può avere delle implicazioni politiche, è opportuno registrare con attenzione il nuovo concetto che ha fatto oggi il suo ingresso nel lessico politico dell’Occidente: il “distanziamento sociale”. Leggi il resto di questo articolo »

Prima premessa. Non siamo complottisti. Seconda premessa, tanto per evitare fraintendimenti. Siamo consapevoli dell’emergenza sanitaria in corso, convinti di dovere modificare le nostre abitudini. In tal senso, abbiamo deciso di sospendere eventi e concerti, di fare dunque la nostra parte per evitare di aggravare la situazione di un sistema sanitario già pesantemente provato. Inoltre stiamo mettendo in campo (in sicurezza) un’azione di aiuto della fascia più esposta in città, ovvero degli anziani. Tutto questo è ok, lo sappiamo e lo facciamo… Però.

Leggi il resto di questo articolo »

Stiamo scendendo nell’abisso, senza sapere dove arriveremo, fino a quando cammineremo nel buio. Dobbiamo cominciare a domandarci dove porta e quando si fermerà questa mutazione in corso del nostro Paese, che dopo aver travolto il linguaggio e la coscienza civica sta attaccando lo spirito di convivenza fino ad alterare il carattere collettivo degli italiani, liberando forze sconosciute e inquietanti, in un’inversione morale della democrazia. Leggi il resto di questo articolo »

II populismo ha molte facce e un’anima sola. Nel recente saggio Uno non vale uno (Marsilio, pagine 156, €12), Massimiliano Panarari, sociologo e docente alla Luiss, illustra con ironia i motivi per i quali non è il caso di cedere alle lusinghe delle sirene populiste e, soprattutto, al richiamo della democrazia diretta, mito che ha origini antiche, ora coagulatosi nella Rete.

Leggi il resto di questo articolo »

Ognuno vuole che suo figlio sia un winner (vincitore), non perché sia un lupo, ma perché crediamo che ci sia solo questa alternativa.

La nostra è una società che ha paura, che si sente in trappola, che teme il futuro, non più agognato come promessa ma temuto come minaccia. In questo clima di sfiducia e di rottura del legame sociale, si è scelto di trasformare la trasmissione pedagogica in una educazione attraverso l’informazione, per competenze. Leggi il resto di questo articolo »

Alle origini del populismo

Molti giovani d’oggi, e non solo negli Stati Uniti, guardano alla democrazia sotto la luce delle identità. Non si considerano cittadini democratici, ma individui, ciascuno con una propria identità che li rende diversi dagli altri. Oggi molti giovani negli Stati Uniti circoscrivono il proprio impegno politico ai problemi sociali che ritengono facciano riferimento alla loro identità. Leggi il resto di questo articolo »

” A cosa servono oggi i partiti, quando ogni singolo è esso stesso un partito, quando le ideologie che una volta costituivano un orizzonte politico si disgregano in un’infinità di opinioni personali? Fino a che punto la democrazia è pensabile senza discorso?”

Byang-Chul Han,  in  Nello Sciame, 2015

 

 

“Io, apocalittico contro gli integrati di internet”

Il filosofo tedesco-sud coreano sugli eccessi della Rete: “Quando tutto diventa così aperto anche la politica e la rappresentanza si riducono a chiacchiericcio”

LA folla che tante conquiste ha ottenuto in passato oggi è soltanto uno sterile sciame. Il mondo virtuale ha perso ogni distanza e quindi rispetto. L’anonimato e la trasparenza sul web sono un male assoluto. La cultura della “condivisione” è la commercializzazione radicale della nostra vita. Internet non unisce, ma divide. Genera un venefico narcisismo digitale. La sua estrema personalizzazione restringe, paradossalmente, i nostri orizzonti. E divora le fondamenta stesse della democrazia rappresentativa. Leggi il resto di questo articolo »

È finita – Un altro sintomo del nostro disfacimento: meglio marcire del tutto prima di ricominciare

Si moltiplicano gli episodi di studenti, in genere delle prime classi, cioè adolescenti o preadolescenti, che offendono, minacciano, picchiano, umiliano i loro professori. Ma anche di genitori che aggrediscono i docenti. Sono solo le manifestazioni più appariscenti di una questione che solo apparentemente riguarda la scuola e i giovani, o in particolare l’Italia, ma si innesta nella profonda decadenza del mondo occidentale, il suo lento e inesorabile marcire. Dove tout se tient. Leggi il resto di questo articolo »

La crisi della sinistra

Recentemente è apparso un libro bellissimo, Popolocrazia, di Ilvo Diamanti e Marc Lazar, che mi augurerei fosse letto dal numero più ampio di italiani, e in modo particolare di politici italiani, per la natura precisa e circostanziata delle analisi. La mia opinione è che il termine- concetto “ populismo” sia inappropriato alla materia che pretenderebbe di descrivere: e che perciò, usato a sproposito (non è certo il caso di Diamanti e Lazar), possa produrre qualche equivoco.

Perché “ inappropriato”? Perché il termine- concetto, da cui esso prende ovviamente origine, è a sua volta desueto e inappropriato alla materia da descrivere. In che senso? Nel senso che il “popolo” — non più in questo caso termine- concetto, ma realtà politico- sociale attivamente presente sul piano storico — sta uscendo di scena da diversi decenni. Dove accade questo? In tutte — io penso — le forme di democrazia rappresentativa esistenti e funzionanti nel mondo occidentale, ma soprattutto qui in Italia. Leggi il resto di questo articolo »

IL FASCISMO non è mai morto. Rappresenta il bisogno di certezza comunitaria e gerarchica in una società individualistica. E nonostante i simboli sbandierati, non è un ritorno al passato. L’ombra del fascismo si stende sulla democrazia, anche quando, come la nostra, è nata nella lotta antifascista.

La ragione della sua persistenza non può essere spiegata, semplicisticamente, con il fatto che non ci sia sufficiente radicamento della cultura dei diritti. Si potrebbe anzi sostenere il contrario. Ovvero, che sia proprio la vittoria della cultura dei diritti liberali (e senza una base sociale che renda la solitudine dell’individuo sopportabile) ad alimentare il bisogno di identità comunitaria. Leggi il resto di questo articolo »

Il surplus – l’eccedenza – di messaggi e di energia negativa dell’evento, e il deficit di pensiero con cui è stato elaborato. L’accaduto è (non riesco a trovare altra parola) “inusitato”: una folla ferma, ordinata, fino ad allora tranquilla d’improvviso impazzisce, senza altra apparente ragione se non la folla stessa. Qui non ci sono hooligans che aggrediscono, come all’Heysell trent’anni fa. E nemmeno un attacco terroristico: di terroristi nemmeno l’ombra, solo molto terrore sottocutaneo che evidentemente attraversava come una corrente elettrica quella massa di corpi assiepati. Leggi il resto di questo articolo »

LA CRISI che i partiti socialisti attraversano in tutta Europa, raccontata venerdì su Repubblica, è passeggera o segnala la fine di un ciclo storico? Non dovremmo stupirci se questa seconda ipotesi si avverasse. In fondo anche i partiti cristiano-democratici, un tempo dominanti nel cuore dell’Europa, si sono ora ridotti a poca cosa. Solo in Germania, grazie ad una virata in senso conservatore operata già alla fine degli anni Settanta, resiste ancora un partito di antiche radici confessionali, la Cdu di Angela Merkel. Questo partito ha mantenuto, e persino accresciuto in alcune fasi, il suo peso perché ha diluito il connotato religioso ormai incapace di convogliare consensi di massa ma, allo stesso tempo, non ha abbandonato i suoi referenti sociali privilegiati, agricoltori, lavoratori autonomi e piccola borghesia. Se un fattore identitario, come quello religioso, scoloriva, in compenso rimanevano saldi i riferimenti sociali, e i loro interessi venivano difesi senza esitazioni. Leggi il resto di questo articolo »

1805- 1872

Questo brano è tratto dall’articolo intitolato “COSTITUENTE E PATTO NAZIONALE” pubblicato nell’ultimo giornale politico fondato da Giuseppe Mazzini: La Roma del Popolo ( N. 47  18 gennaio 1872). Il giornale iniziò le sue pubblicazioni a Roma nel 1871 e venne diretto da Giuseppe Petroni, patriota e difensore della Repubblica Romana. Le pubblicazioni durarono dal 9 febbraio 1871 al 21 marzo 1872, poco dopo la morte di Mazzini avvenuta a Pisa il 10 marzo. Petroni figurava come direttore in nome di Mazzini, costretto all’esilio permanente tra Lugano, Londra e brevi viaggi in Italia sotto falso nome. Gli articoli di fondo del giornale, tutti firmati da Mazzini, sono la summa del suo pensiero politico, sociale e umano più alto e affascinante, Ma soprattutto colpisce la preveggenza che Mazzini esprime sul futuro di un’Italia da lui sempre amatissima ma che non accettava per come si andava configurando politicamente e, soprattutto, moralmente. La sua drammatica riflessione sull’indifferenza, in questo articolo, anticipa di decenni quella di un altro grande italiano, Antonio Gramsci ( vedi il link a piè di pagina), che scrisse un accorato testo contro gli indifferenti nel 1917. I due Maestri ci aiutano a capire ( se lo vogliamo) che il vero devastante pericolo per la nostra società prima della corruzione, dell’incapacità dei politici, delle forme di “democratura” ritornante è la massa d’indifferenti che ci abitano intorno, che forse vivono con noi, che forse siamo noi stessi. Leggi il resto di questo articolo »

Antonio Gramsci è, più di ogni altro, autore fecondamente “inattuale”, dissonante rispetto allo spirito del nostro presente. A caratterizzare il rapporto che l’odierno tempo del fanatismo dell’economia intrattiene con Gramsci è, infatti, la volontà di rimuoverne la passione rivoluzionaria, l’ideale della creazione di una “città futura” sottratta all’incubo del capitalismo e della sua mercificazione universale. Risiede soprattutto “nell’attuale inattualità” della sua figura la difficoltà di ogni prospettiva che aspiri oggi a ereditare Gramsci e ad assimilare il suo messaggio: ossia ad assumere come orientamento del pensiero e dell’azione la sua indocilità ragionata, fondata sulla filosofia della praxis dei “Quaderni”. Essa trova la sua espressione più magnifica nella condotta di vita gramsciana, nel suo impegno e nella sua coerenza – pagata con la vita – nella “lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo”. Critica glaciale delle contraddizioni che innervano il presente e ricerca appassionata di un’ulteriorità nobilitante costituiscono la cifra del messaggio dell’intellettuale sardo: l’ha condensato lui stesso nel noto binomio del “pessimismo dell’intelligenza” e dell’”ottimismo della volontà”. Ereditare Gramsci significa, di conseguenza, metabolizzare la sua coscienza infelice e non conciliata, la passione durevole della ricerca di una felicità più grande di quella disponibile. Leggi il resto di questo articolo »

Sul vero/falso e sulla svolta mediatica del potere oligarchico in Italia.

Ci troviamo all’inizio della fase definitiva dell’ingresso dell’Italia nel mondo reale. Reale, qui, sta per attuale. Nel senso di ciò che sta accadendo.
Essendo un paese arretrato, la nostra nazione gode di un incredibile e paradossale vantaggio rispetto a tutte le altre (e’ il senso positivo della vicenda): non deve fare i conti con le resistenze della modernità, con i trucchi del capitalismo avanzato, e con i consueti impedimenti che i cosiddetti poteri forti tentano di costruire per impedire l’affermazione di un mondo nuovo. In quanto nazione medioevale, che ha da sempre mantenuto una oligarchia aristocratica più o meno mascherata, più o meno dichiarata, che ha fatto di tutto per impedire la genesi e lo sviluppo di un capitalismo efficace ed efficiente, ha oggi la possibilità di saltare direttamente nel mondo post-moderno, ponendosi addirittura come avanguardia; fatto questo che -in verità- si sta già verificando. Come nel mondo asiatico è la Cina: l’unica grande nazione al mondo che si è catapultata dal loro medioevo nella post-modernità, senza aver mai nè attraversato nè vissuto l’epica della società moderna. Leggi il resto di questo articolo »

Nel nuovo saggio Stefano Rodotà illustra il destino di un principio nobile ma debole che ritorna nell’era della disuguaglianza

NEL Gargantua e Pantagruel Rabelais racconta che, pronunciate nel freddo dell’inverno, alcune parole gelano e non vengono più udite, per poi, quando cambia la stagione, tornare a parlarci. È quanto sembra accadere alla categoria di solidarietà, cui Stefano Rodotà dedica il suo ultimo saggio, edito da Laterza col titolo Solidarietà. Un’utopia necessaria. Dopo essere stata a lungo esiliata dalla sfera del discorso pubblico, essa torna a riaffiorare con rinnovata attualità in una fase in cui il lessico freddo della scienza politica sembra insufficiente a raccontare la nostra vita. Con la consueta competenza, congiunta a una straordinaria passione civile, Rodotà ne percorre la genealogia, analizzandone la storia complessa, fatta di slanci e ripiegamenti, di arresti ed espansioni. Leggi il resto di questo articolo »

Secondo il rapporto ‘Prosperity index 2014′ l’Italia è al 37° posto perdendo cinque posizioni rispetto all’anno precedente. Ma l’indice più interessante è quello sulla fiducia nel futuro che ci vede 134esimi. Tuttavia io non credo che l’Italia sia in una situazione molto diversa dagli altri Paesi occidentali.

Solo che il nostro Paese, straordinario laboratorio dei fenomeni più importanti dell’ultimo millennio (da noi, a Firenze e nel piacentino, si impose la classe dei mercanti che con la sua filosofia del profitto diede origine, insieme ad altri, complessi, fattori, alla Modernità, qui nacque il fascismo, padre dei totalitarismi di destra europei che, soprattutto nella loro declinazione tedesca, furono un tentativo, contradditorio, di respingere la Modernità -è il cosiddetto ‘modernismo reazionario’) è un termometro più sensibile di altri, e più di altri avverte il ‘sensus finis’, l’irreversibile decadenza dell’Impero Occidentale. Leggi il resto di questo articolo »

Scriveva don Lorenzo Milani a un giovane comunista: «Hai ragione; tra te e i ricchi sarai sempre te povero ad avere ragione. (…). Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene, quel giorno io ti tradirò».  Leggi il resto di questo articolo »

Da sempre, gli uomini avanzano rivendicazioni di libertà individuale ma anche di appartenenza collettiva. La democrazia, grazie alla sua natura mista, si sforza di preservarle entrambe. In passato, le cosiddette democrazie popo­lari – che ho conosciuto da giovane in Bulgaria – in nome dell’interesse collet­tivo nonlasciavano alcuna libertà all’individuo. Oggi le democrazie corrono il rischio contrario, vale a dire la tirannia dell’individuo che, in nome di una libertà assoluta e smisurata, sottomette tutta la vita sociale al dominio di un’economia regolata esclusivamente dalle leggi del mercato.

Tzvetan Todorov,  filosofo bulgaro, 2012

La società, una volta raggiunto lo stadio avanzato della produzione di massa, produce la propria distruzione. La natura viene snaturata. Sradicato, castrato nella sua creatività, l’uomo è rinserrato nella propria capsula indivi­duale. (…) L’affannosa ricerca di modelli e prodotti sempre nuovi, cancro del tessuto sociale, accelera a tal punto il mutamento da escludere ogni ricorso ai precedenti come guida per l’azione. Il monopolio del modo di produzione industriale riduce gli uomini a materia prima lavorata dagli strumenti. E tut­to questo in misura non più tollerabile. Poco importa che si tratti di un mo­nopolio privato o pubblico: la degradazione della natura, la distruzione dei legami sociali, la disintegrazione dell’uomo non potranno mai servire a uno scopo sociale.

Ivan Illich (1996- 2002) scrittore e pedagogista austriaco,   in “Convivialità”, 1973

 

vedi:  La natura è maligna ma la colpa è solo dell’uomo


«Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della modernità liquida…». La metafora della liquidità, da quando Bauman l’ha coniata, ha marcato i nostri anni ed è entrata nel linguaggio comune per descrivere la modernità nella quale viviamo. Individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare. Modernità liquida è un classico dei nostri giorni e un bestseller in Italia e all’estero.  Secondo Bauman, la società tardo moderna decreta l’affermazione dell’individuo, ma dell’individuo de iure, non dell’individuo de facto. Solo, vulnerabile, senza uno spazio pubblico cui far riferimento, senza una dimensione politica che soltanto una resurrezione dell’agorà può garantire, l’individuo contemporaneo non assurge al ruolo di cittadino, ma è un isolato alla mercé delle proprie scelte e delle proprie sconfitte, “gli occhi puntati esclusivamente sulla propria performance”. Se sino a qualche decennio fa  il pericolo per l’uomo derivava  dall’invadenza del potere pubblico, dall’occhio pervasivo del Grande Fratello, dal totalitarismo, oggi al contrario i pericoli derivano all’individuo dal ritiro e dalla povertà della dimensione pubblica. Leggi il resto di questo articolo »

Il concetto di populismo non è a mio giudizio in grado di interpretare in modo adeguato la vicenda italiana degli ultimi venti anni e, in modo specifico, le posizioni di cui è stato massimo artefice e protagonista Silvio Berlusconi. Quello su cui i classici insistono quando si parla del popolo è la dimensione della totalità, del tutto sulle parti, della comunità sugli individui. (…) Berlusconi non si è mai mosso in una prospettiva comunitaria e organicistica, cioè populistica (come invece ha fatto, almeno in parte, Bossi); ma, anzi, ha accentuato – fino a stravolgerli in senso dispotico – il carattere e la dimensione strutturalmente individualistica della «democrazia dei moderni». Con il suo messaggio ha proposto, e fatto diventare modello di vita e senso comune, una sorta di bellum omnium contra omnes; per riprendere la distinzione di Hobbes, ha sostenuto, e anche realizzato, una regressione dalla «società politica» alla «società naturale». Da questo punto di vista, rispetto al movimento della società moderna, e al significato in esso assunto appunto dalla politica, Berlusconi si è mosso come il granchio: è retrocesso dalla storia alla natura; dalla legge al primato degli spiriti animali. Leggi il resto di questo articolo »

Nel 1549 fu pubblicato un libello in cui si studiava lo spettacolo sorprendente della disponibilità degli esseri umani, in massa, a essere servi, quando sarebbe sufficiente decidere di non servire più, per essere ipso facto liberi. Che cosa è – parole di Etienne de la Boétie (1530- 1563), amico di Montaigne – questa complicità degli oppressi con l’oppressore, questo vizio mostruoso che non merita nemmeno il titolo di codardia, che non trova un nome abbastanza spregevole? Il nome – apparso allora per la prima volta – è “servitù volontaria”.

Un ossimoro: se è volontaria, non è serva e, se è serva, non è volontaria. Eppure, la formula ha una sua forza e una sua ragion d’essere. Indica il caso in cui, in vista di un certo risultato utile, ci s’impone da sé la rinuncia alla libertà del proprio volere o, quantomeno, ci si adatta alla rinuncia. Entrano in scena i tipi umani quali noi siamo: il conformista, l’opportunista, il gretto e il timoroso: materia per antropologi. Leggi il resto di questo articolo »

Calendario eventi
marzo 2024
L M M G V S D
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
25262728293031
Cerca nel Sito
Newsletter
In carica...In carica...


Feed Articoli