C’È qualcosa che ferisce nella divisione che sembra attraversare il Paese in queste ore, dopo la tragedia di Ischia. Con la contrapposizione esasperata dai social fra parti diverse e contrapposte, fra Nord e Sud. Con chi dice che lo Stato non dovrebbe pagare la ricostruzione delle case abusive o di quelle costruite dai camorristi, e con le urla contro i “giornalisti sciacalli”. E con una polemica politica che è incentrata non sull’analisi ma sulle colpe da rinfacciare all’avversario. Né sembrano esservi stati in queste ore veri moti di solidarietà.

È difficile nasconderselo, sembra emergere un Paese che reagisce alle difficoltà e alle tragedie sentendosi vittima e al tempo stesso irresponsabile (nel senso proprio di non responsabile, privo di colpe perché privo di doveri civili). E un ceto politico che usa anche le tragedie come arma contundente di un giorno o di un mese contro il “nemico”.

Eppure proprio l’abusivismo edilizio ci permetterebbe una riflessione pacata quanto amara sulle radici di molti degradi attuali: ci permetterebbe di cogliere quel momento della nostra storia recente in cui la legge ha iniziato a diventare un po’ meno legge. Certo, si può risalire più all’indietro (magari scorrendo le pagine de La speculazione edilizia di Calvino, che ci parla del “miracolo economico” degli anni Sessanta e della Liguria) ma forse le radici più prossime della deriva attuale stanno proprio in quegli anni Ottanta ai quali per tanti versi il nostro presente rinvia.

Fu invocato allora per la prima volta l’“abusivismo per necessità”, ed eravamo nel pieno dell’era Craxi: fu un suo governo infatti a decidere un enorme condono edilizio. Eppure il panorama era devastato e devastante già allora: Cesare De Seta ne tracciava una mappa che andava dalle “pendici brulle ed arse del violaceo ‘sterminator Vesevo’” al “cuore verde dell’Umbria e alle sponde del Trasimeno”, e poi alle grandi città del Sud e del Nord.

Furono 3.900.000 allora le domande di sanatoria, panorama eloquente di un’aggressione al territorio che quel condono venne definitivamente a sancire, se non a incentivare. E la vera opposizione a quella legge, i veri ostacoli che essa dovette affrontare non vennero dalla voce ancora flebile dell’ambientalismo ma — tutto all’opposto — dalla forza prorompente di un “abusivismo popolare” che considerava troppo esosa la tassa prevista dalla sanatoria.

In Sicilia e altrove — soprattutto nel Mezzogiorno — le proteste si moltiplicarono e culminarono con una grande manifestazione nazionale a Roma: l’“abusivismo per necessità” fu allora il cavallo di battaglia dei molti sindaci che le promossero, minacciando dimissioni in massa (volevano “stralciare” anche la norma che escludeva dal condono le zone a rischio sismico ). Oggi sembra paradossale ma essi furono sostenuti con decisione dal Partito comunista, e non di rado ne facevano parte (non mancarono proteste interne ma contarono poco). Un Partito comunista che era ancora grande e nazionale ma che nei rivolgimenti degli anni Ottanta stava smarrendo la bussola e cercava confusamente di ritrovarla negli attacchi al “nemico” (Craxi, allora).

A completare il quadro, e a far cadere la divisione fra Nord e Sud, è sufficiente poi ricordare le grandi difficoltà incontrate in tutta Italia nello stesso periodo dalla “legge Galasso” per la tutela dell’ambiente. Essa imponeva alle Regioni di mettere a punto un piano per evitare ulteriori guasti: alla scadenza fissata solo tre lo avevano predisposto, e l’opposizione alla legge fu corposa e variegata, “sociale” e politica.

Sono stati molteplici dunque gli attori che hanno innescato la deriva attuale: una deriva in cui l’illegalità sembra diventata la nostra regola. E in cui — annotava qualche anno fa Barbara Spinelli — tutto sembra “tremare in comtemporanea: terra e politica, senso dello stato e maestà della legge”.

Certo, è un processo che ha avuto delle accelerazioni più intense: le corruttele profonde che furono all’opera nel terremoto dell’Irpinia hanno danneggiato il Mezzogiorno molto più dei comizi di Bossi, ma fu allora l’Italia nel suo insieme ad essere in gioco. E così è oggi, perché questa più generale partita si può vincere solo essendo nazione. E ricostruendo con ostinata, disperata tenacia un perimetro di regole.

Guido Crainz      Repubblica 24.8.17

 

vedi: Il mondo sul baratro dell'irresponsabilità.

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