Articoli marcati con tag ‘felicità’

Immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina Leggi il resto di questo articolo »

 

 

Sotto il vestito niente. Ma neanche fuori del vestito. Questo è il progetto del Grande Reset.

E soprattutto non fare progetti per il futuro, tanto è inutile perchè il “futuro” è loro, della cricca dei miliardari, dei banchieri e dei finanzieri che compongono l’aristocrazia finanziario-usuraia, l’èlite, che attraverso il deep state globale, detengono il vero potere sugli stati, Leggi il resto di questo articolo »

 

 

Uno spettro si aggira per l’Europa e per il resto del mondo. Uno spettro che non è il comunismo, come Marx ed Engels scrissero nel Manifesto del Partito Comunista del 1848. Questo spettro ha, invece, la forma di un’agenda. Un’agenda che non ha la forma dell’Agenda Rossa di Borsellino scomparsa per opera di “oscure manine” subito dopo la strage di via d’Amelio a Palermo nel 1992 o la forma delle Agende elettroniche di Falcone, manipolate da “oscure manine” subito dopo la strage di Capaci nel 1992. E neanche l’Agenda di Carlo Alberto Dalla Chiesa fatta scomparire, sempre da “oscure manine”,  subito dopo il massacro di via Carini a Palermo nel 1982. Leggi il resto di questo articolo »

 

 

Perdonateci se in apertura poniamo una frase di hitler ma egli fu, purtroppo, un grande esperto di propaganda di stato e censura per manipolare la gente. Ogni regime fascista e regime comunista faranno la stessa cosa. Anche le democrazie diventate democrature malate useranno la propaganda di stato e la censura per occultare verità scomode, anche se con qualche cautela ipocrita. In Italia ne sappiamo bene qualcosa…

D’altra parte anche l’ideologo e mentore del Grande Reset Klaus Schwab ha buoni legami con l’ideologia nazista, leggete qui: Il Grande Reset. La Grande Risistemazione (15). Si stanno preoccupando per noi.... E approfondite leggendo Leggi il resto di questo articolo »

Il libro: Lévy Bernard-Henri, Il virus che rende folli, ed.la nave di Teseo 2020, € 10


La pandemia che ha travolto le nostre vite dalla fine di febbraio non ha messo a repentaglio solo la nostra salute, né solo la nostra economia. A differenza delle altre epidemie della storia, ha travolto anche la nostra testa, portandoci a una specie di follia collettiva in cui si sono perse priorità, chiarezza di sguardo, obiettivi e capacità di giudizio. Leggi il resto di questo articolo »

Oltre a essere una delle cosiddette passioni tristi, la paura è un’emozione istintiva molto importante per la sopravvivenza: è infatti ciò che ci spinge a metterci in salvo dai pericoli. Eppure, se questo discorso era fondamentale per l’uomo dell’antichità – che viveva a stretto contatto con la natura ed era costantemente esposto ai pericoli dell’ambiente che lo circondava – oggi si rivela sempre più essere un fattore di stress che impatta anche negativamente nella nostra salute mentale e fisica. Leggi il resto di questo articolo »

Il neoliberismo sfrenato ha finito per minare le basi stesse della democrazia liberale. Che oggi può essere salvata solo ripartendo dalla difesa del lavoro e dal pensiero ambientalista

Perché la democrazia liberale è in crisi? E come si può salvare? Su queste domande si è aperta, nel mondo occidentale, una discussione che può cambiare radicalmente l’agenda politica, orientandola verso la lotta alle disuguaglianze e le politiche ambientali. Leggi il resto di questo articolo »

Io non accuso la vasta idea sociale, che è gloria e missione dell’epoca, della quale noi siamo precursori. Io accuso i socialisti, i capi segnatamente, d’aver falsato, mutilato, ringrettito quel grande pensiero con sistemi assoluti, che usurpano a un tempo sulla libertà dell’individuo, sulla sovranità del Paese e sulla continuità del progresso, legge per tutti noi… li accuso di aver sostenuto che la vita è ricerca di felicità, mentre la vita è una missione, il compimento di un dovere. Leggi il resto di questo articolo »

Uno sconosciuto mi scrive che «la discrezionalità del presidente della Repubblica nella scelta dei ministri è nulla. Punto e basta» (mi ricorda un amico credente che chiudeva le discussioni attorno a Dio dicendo «è ontologico». Cioè: punto e basta). Ma non è soltanto il primo che passa, lo dicono in molti, lo dice anche Giorgia Meloni – focosa custode della Costituzione contro la riforma di Matteo Renzi – allibita dalle «ingerenze» di Sergio Mattarella. Una prerogativa costituzionale diventa ingerenza: punto e basta. E del resto – come scrive Giovanni Orsina nel suo imperdibile «La democrazia del narcisismo»la democrazia fu il trasferimento della promessa di felicità dall’aldilà all’aldiquà. Leggi il resto di questo articolo »

Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’ invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro.

Albert Camus (1913- 1960)

 

vedi: Pensiero Urgente n.153)


All’origine della vicenda c’è il rapporto degli americani con una materia difficilmente definibile, chiamata “denaro”. Denaro prima come mezzo che come fine, sovvertendo i principi dei progenitori emigranti. Laddove nella prudente visione di quei non-garantiti “risparmio” significava “sicurezza”, i quattrini americani di fine Novecento cambiano senso: sono lo strumento da utilizzare impetuosamente per accrescere il possesso e assicurarsi prospettive di soddisfazione.

Primi anni 2000. L’isteria da edonismo, trascina milioni di americani in un equivoco: il denaro non è più la rappresentazione del proprio grado di successo, ma diventa un passepartout accessibile a tutti. Come? Prelevandone quanto ne serve presso il deposito in servizio continuato chiamato “sistema bancario”. Dicendo “pagherò”, incoraggiati dalle stesse banche sulle main street. Che, grazie questa circolazione anti-virtuosa, prosperano. Perché a loro volta dispongono di tutto il denaro di cui hanno bisogno per elargire sconsiderati prestiti, dal momento che le banche centrali inondano il mercato di dollari a tassi d’interesse bassissimi. Leggi il resto di questo articolo »

Sono convinto che ormai, in giro per il mondo, fra la gente piu’ diversa, sta crescendo una nuova coscienza di che cosa e’ sbagliato e di che cosa va fatto. Questa nuova coscienza, a mio parere, e’ il grande bene del nostro tempo. Leggi il resto di questo articolo »

L’ 11 giugno del 323 a.C. (data presunta) muore a Corinto (Grecia) dopo una breve malattia DIOGENE DI SINOPE (89 anni, detto il Cinico o il Cane) filosofo.

Così racconta lo storico greco Plutarco (46- 125 d.C.) nella sua opera Vite Parallele al capitolo dedicato ad Alessandro Magno (356- 323 a.C.):

Il re in persona andò da lui (Diogene) e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: “Scostati un poco dal sole”. A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d’animo di quell’uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: “Se non fossi Alessandro, io vorrei essere Diogene”. Leggi il resto di questo articolo »

I diritti non ci hanno dato un mondo che tutti, nemmeno la maggioranza degli esseri umani, possano riconoscere come migliore. Anzi hanno giovato ad alcuni, i pochi, a danno degli altri, la moltitudineTesto tratto da “Diritti per forza”, l’ultimo libro di Gustavo Zagrebelsky da pochi giorni in libreria.

Chi oserebbe negare che nella “età dei diritti”, che diciamo essere la nostra e che ha proclamato la felicità non come compito morale dell’uomo virtuoso, secondo l’etica antica, ma niente di meno che come diritto universale: chi oserebbe negare che la povertà, l’analfabetismo, la schiavitù, la violenza, le persecuzioni, la tortura, le sparizioni dei non integrati e degli oppositori, le migrazioni forzate, l’ammassamento di milioni di persone in slum e bidonville, lo sfruttamento, le desertificazioni. Leggi il resto di questo articolo »

Diceva Tino Faussone, il montatore di gru de “La Chiave a stella”, che «amare il proprio lavoro è la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra». Il personaggio di Primo Levi, si sa, non lavorava solo per lo stipendio a fine mese, ma soprattutto perché attraverso l’agire si realizzava come persona. Ciò gli era permesso da un insieme di concause favorevoli: le competenze (il “know how”); l’accuratezza e lo scrupolo (chissà se doti naturali o maturate nei decenni); l’esperienza (quindi gli errori del passato come bagaglio culturale). Leggi il resto di questo articolo »

Lucio Anneo Seneca 4 a.C.- 65 d.C.

La responsabilità, il male, la felicità. E i luoghi comuni da rovesciare. Così la lingua tagliente del filosofo mostra che siamo membra di un unico corpo

Riappropiarci di ciò che siamo: non è facile restare noi stessi quando intorno tutto cambia vorticosamente, eliminando punti di riferimento o appigli. Viene quasi da pensare che non esista qualcosa di autenticamente nostro, che possiamo chiamare legittimamente «io», perché siamo il prodotto delle interazioni sociali, il risultato della combinazione casuale degli eventi fortuiti che ci capitano. Nel mondo antico lo stoicismo è il movimento che più decisamente si è opposto a queste idee: possiamo decidere di non ascoltarla, ma dentro ciascuno c’è una coscienza morale, che parla. Siamo noi. Leggi il resto di questo articolo »

Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco

Il 23 agosto del 1927 venivano giustiziati sulla sedia elettrica nel penitenziario di Charlestown (Boston, USA) gli anarchici italiani NICOLA SACCO, operaio in un calzaturificio, e BARTOLOMEO VANZETTI, piccolo venditore di pesce.

Venivano uccisi dall’intolleranza e dal fanatismo del potere americano con un’accusa infamante e ingiusta costruita a tavolino per colpire, attraverso di loro, il movimento anarchico che difendeva i diritti degli operai sfruttati nelle fabbriche e lottava contro le condizioni in cui versavano gli immigrati italiani che, allora, erano considerati gli “sporchi brutti e cattivi”. I due anarchici verranno totalmente riabilitati il 23 agosto del 1977 dal governatore del Massachusetts Michael Dukakis. La nostra memoria sia un atto di gratitudine e di riconoscimento per il seme di libertà e giustizia che insieme con i loro Compagni hanno comunque diffuso. Leggi il resto di questo articolo »

… davvero la perfezione è il fine sommo e irraggiungibile dell’uomo, e un infinito perfezionamento è la sua destinazione. L’uomo esiste per migliorarsi sempre più dal punto di vista morale e per rendere migliore tutto ciò che lo circonda: Leggi il resto di questo articolo »

Saint Denis, il blitz della polizia francese nel quartiere a nord di Parigi il 18 novembre

Daesh, l’Is, è la malattia autoimmune dell’Occidente. È la reazione imprevedibile ma fisiologica dentro il copro di un Occidente cosiddetto civilizzato. Dal corpo umano, d’altra parte, si impara quasi tutto, ad avere voglia di studiarne il funzionamento. Perché il corpo altro non è che il dispositivo che sta dietro ogni azione dell’uomo. Prima delle sue parole, prima di qualsiasi apparato ideologico con cui l’umanità intera cerca di impacchettare il mondo. Se la retorica del nemico, dell’altro da noi, è l’ordinaria procedura retorica d’emergenza, è dentro il corpo dell’Occidente capitalistico che varrebbe la pena dare un’occhiata. A interrogarlo, risulterebbe evidente che è il nostro sistema immunitario — cioè il sistema con cui pervicacemente ci difendiamo — a produrre la propria, apparentemente incontrollabile, minaccia. Leggi il resto di questo articolo »

L’EUROPA è un continente rimasto senza idee»: a lanciare l’allarme sul Financial Times è stato Edmund Phelps, Nobel per l’economia. Nel braccio di ferro sulle misure di austerità che hanno messo alla gogna la Grecia (e domani altri Paesi), la parola “creatività” non ricorre mai. La stagnazione delle economie nazionali, il Pil che da anni, quando va bene, sale (come in Italia) di qualche misero decimale: in questo gioco al massacro entrano le borse, i mercati, la troika, l’invadenza tedesca, le influenze americane o asiatiche. Ma che vi sia un qualche rapporto fra creatività ed economia non viene mai in mente. Secondo Phelps, «gli italiani trovano del tutto accettabile che la loro economia sia quasi del tutto priva di innovazioni autoctone da vent’anni, e sia capace solo di reagire alle forze del mercato globale, come se una nazione non avesse bisogno di dinamismo per essere felice». Leggi il resto di questo articolo »

L’intervento a La Milanesiana torinese dello scrittore greco Petros Markaris “Viviamo in un mondo ossessionato dal denaro e dalla quantità”.

Qual è la maggiore mania del nostro tempo? Il denaro. La nostra vita ruota intorno al denaro. In Paesi come la Grecia, il denaro si identifica con il consumo. Nel Paesi dell’Europa centrale e settentrionale con l’investimento. In entrambi i casi la leva principale della società è il denaro. Il sistema che governa il mondo possiamo chiamarlo globalizzazione, neoliberismo, sudditanza dell’economia ai mercati: in ogni tutti e tre i casi il nucleo sta nella mania del denaro. Leggi il resto di questo articolo »

A  questo mondo si rassegna solo chi non ha bisogno di fare altrimenti. La rassegnazione è la filosofia di chi non è obbligato a lavorare sempre col dubbio di perdere il lavoro, a lottare sempre col dubbio di rimanere sconfitto nella lotta, a dormire sempre col dubbio di svegliarsi e di trovarsi affamati. La rassegnazione è la filosofia dei soddisfatti. Leggi il resto di questo articolo »

Cinquant’annifa, 250.000 persone si raccolsero a Washington in una grande manifestazione «for jobs and freedom» per il lavoro e la libertà, organizzata da Philip A. Randolph, storico sindacalista militante nero e da Bayard Rusting, pacifista nero, gay, in odore di comunismo. Intervennero sindacalisti, leader religiosi, protagonisti dei movimenti, artisti. Il tutto culminò con lo storico discorso di Martin Luther King, e la sua celebre perorazione: «Ho un sogno…» Sono parole memorabili e in un certo senso sfortunate perché la loro eloquenza ha finito quasi per farci dimenticare le centinaia di migliaia di persone senza le quali quel discorso sarebbe rimasto solo un grande esercizio di retorica, e ridurre questa realtà di massa all’icona di una persona sola. E, riciclata e avvilita in tanti modi (dal caffè Kimbo ad Anna Oxa, da Silvio Berlusconi a Quagliarella) la frase del sogno ha finito per cancellare dalla memoria tutto il resto del discorso e la sua radicale politicità: «Ho un sogno, un sogno profondamente radicato nel sogno americano.  Ho un sogno, che questa nazione un giorno sorgerà e vivrà il vero significato del suo credo: Riteniamo che certe verità non abbiano bisogno di dimostrazioni: che tutti gli uomini sono creati uguali… Ho un sogno, che le mie quattro bambine un giorno vivranno in una nazione dove saranno giudicate non dal colore della pelle ma dal contenuto del carattere. Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà elevata, ogni colle e ogni monte sarà abbassato, gli spazi ruvidi saranno levigati e i luoghi distorti saranno raddrizzati, e la gloria del Signore sarà rivelata e tutti i mortali la vedranno insieme». Leggi il resto di questo articolo »

La crisi che da anni ormai ha invaso l’Occidente e minaccia addirittura di portare il nostro Paese al  tracollo impone una riflessione su tutto il sistema di vita. Perché non è solo crisi di produttività, ma  anche di valori e azzanna non solo il lavoro, ma anche la salute, l’ambiente, i rapporti sociali. L’esempio dell’Ilva di Taranto è emblematico. La fabbrica d’acciaio dà lavoro a decine di migliaia di  lavoratori, ma diffonde nell’aria sostanza cancerogene che minano la salute dei lavoratori stessi e  delle famiglie dell’intera zona. Richieste sacrosante quelle della salute, ma altrettanto lo sono quelle  del lavoro. Contraddizioni che spetta all’organizzazione del lavoro e alla politica di conciliare. Gli  esempi si moltiplicano e si accavallano anche le contraddizioni. Leggi il resto di questo articolo »

25 maggio 2014
17:00a20:00

25 febbraio 2014
21:00a23:00

10 dicembre 2013
21:00a23:00

 

3 dicembre 2013
21:00a23:00

vedi: Il convivialismo, un'idea nuova per evitare la catastrofe

Facciamo economia.  Come costruire una nuova società dell'abbondanza.

Una nuova etica fondata sui beni comuni

Nel medioevo l’uomo era abitante di due città: quella terrena e quella celeste. Quella terrena non era perfetta, quella celeste sì. Era inutile cercare la realizzazione di se stessi, la felicità nella città terrena, poiché questa completa realizzazione l’uomo poteva trovarla, dopo una vita proba, nella città celeste. La Raison, la civiltà industriale che ne derivò, abolirono la città celeste. All’uomo ora restava di realizzarsi nella città terrena: trovare cioè in vita quella felicità che gli era stata promessa dopo la vita. Da qui la filosofia del successo, del libero amore, del perseguimento della felicità e del benessere. L’uomo non vuole più soffrire in questa sua città terrena, né rinunciare a nulla. Ma la civiltà del benessere porta con sé proprio l’infelicità, poiché propone all’uomo i simboli del suo stato, da raggiungere, e riduce ogni conquista in termine materiali, quindi deperibili. Per continuare su questo tapis roulant l’uomo deve inoltre consumare; e per consumare di più, lavorare di più. E aggiunge sempre nuove mete a quelle iniziali. Deve essere proprietario, deve credere che l’amore è un’esperienza, e rinnovare quest’esperienza continuamente.

Ennio Flaiano,  1966

 

vedi:  Pensiero Urgente  n.258) "L'Italia è un paese che...".

Viviamo in una società della crescita. Cioè in una società dominata da un’economia che tende a lasciarsi assorbire dalla crescita fine a se stessa, obiettivo primordiale, se non unico, della vita. Proprio per questo la società del consumo è l’esito scontato di un mondo fondato su una tripla assenza di limite: nella produzione e dunque nel prelievo delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, nella creazione di bisogni – e dunque di prodotti superflui e rifiuti – e nell’emissione di scorie e inquinamento (dell’aria, della terra e dell’acqua). Il cuore antropologico della società della crescita diventa allora la dipendenza dei suoi membri dal consumo. Il fenomeno si spiega da una parte con la logica stessa del sistema e dall’altra con uno strumento privilegiato della colonizzazione dell’immaginario, la pubblicità. E trova una spiegazione psicologica nel gioco del bisogno e del desiderio. Per usare una metafora siamo diventati dei «tossicodipendenti » della crescita. Che ha molte forme, visto che alla bulimia dell’acquisto – siamo tutti «turboconsumatori » – corrisponde il workaholism, la dipendenza dal lavoro.
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Marino Niola  intervista  Serge Latouche.

«Un certo modello di società dei consumi è finito. Ormai l’unica via all’ab­bondanza è la fru­galità, perché permette di soddisfare tutti i bisogni senza creare povertà e in­felicità». E’ la tesi provocatoria di Serge Latouche, professore emerito di scien­ze economiche all’Università di Paris­ Sud, universalmente noto come il pro­feta della decrescita felice. Il paladino del nuovo pensiero critico che non fa sconti né a destra né a sinistra sarà a Na­poli (dal 16 al 20 gennaio), ospite della Fics (Federazione Internazionale Città Sociale) e protagonista del convegno internazionale “Pensare diversa-men­te. Per un’ecologia della civiltà planeta­ria” organizzato dal Polo delle Scienze Umane dell’Università Federico II. Il tour italiano dell’economista eretico coincide con l’uscita del suo nuovo li­bro Per un’abbondanza frugale. Malin­tesi e controversie sulla decrescita (Bol­lati Boringhieri). Un’accesa requisito­ria contro l’illusione dello sviluppo in­finito. Contro la catastrofe prodotta dalla bulimia consumistica. Leggi il resto di questo articolo »

All’epoca dell’Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli. Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell’«andamento delle operazioni». L’abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso – un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli – è un’altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell’articolo citato, se l’armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all’ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia.

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