La guerra in Medio Oriente è una tragedia (ne parliamo approfonditamente in questi importanti articoli: QUIQUIQUI e mostriamo la protesta nei confronti d’israele di milioni di persone in tutto il mondo QUI ).  La guerra in ucraina è una tragedia ( vedi gli articoli che trovi QUI sotto la voce “Una guerra nella guerra”).

Ma è anche una tragedia il disvelarsi sempre più chiaro della corruzione devastante della parola “democrazia“: parola, valore ed ideale per cui milioni di uomini hanno lottato, soprattutto nel XIX e XX secolo ed hanno sacrificato la propria vita.

Una parola che oggi viene usata contrapposta a “terrorismo” o a “barbarie” o a “fascismo” o a “totalitarismo” o a “comunismo” da parte dei media asserviti al progetto criminale globale chiamato Grande Reset, gestito e pensato dalle menti malate dell’aristocrazia  finanziario-usuraia, dall’èlite dei plurimiliardari veri padroni del mondo.

Una parola che da molto tempo serve per coprire l’arroganza, l’imperialismo, la violenza, la sopraffazione militare ed economica dell’Occidente (in particolare gli USA) che per default si è autonominato ( soprattutto nel XX secolo) “democratico”, “portatore e difensore della democrazia”, “faro democratico in un mondo di barbari” ( gli “altri”).

Una parola che ormai è talmente abusata ( come anche “libertà”, “amore”, “giustizia”, “uguaglianza”) da essere un recipiente vuoto, una parola in “una notte dove tutte le vacche sono nere” ( come si espresse Hegel), buona per ogni sporca cosa che la politica/economia occidentale decide di fare, perlomeno come gli “altri”, ma se lo fà l’occidente allora quella “cosa” diventa “democratica”, quindi buona a priori, giusta a priori, quasi divina.

Una parola che nasconde, alla bisogna, “guerre democratiche”, “bombe democratiche”, “genocidi democratici”, “lager democratici”, “sfruttamenti democratici”, “apartheid democratici”, “violenze democratiche”, “impoverimenti democratici”, “menzogne democratiche”, “censura democratica”, “colpi di stato democratici”, “omicidi politici democratici”, “dittature democratiche”, “sorveglianza digitale democratica” ed anche “siringhe democratiche”.

Una parola come un lenzuolo per coprire le nefandezze dell’occidente ad uso e consumo di milioni di esseri non pensanti, non informati, non ragionanti che “democraticamente” vivono come pseudo-cittadini ignoranti ed egoisti.

Per cui se si dice che israele è un enclave di democrazia in un oscuro antro di barbari arabi allora tutto ciò che fà diventa “democratico”: bombardamenti, massacri di bambini, riduzione alla fame, territori resi lager, definizioni di “non umani” e “bestie” affibbiate ai palestinesi.

Beh, muori come un cane ma “democraticamente”, vuoi mettere? (GLR)


 

24/10/2023: grandi parole”democratiche” d’israele

 

 

 

Il conflitto mediorientale e il nostro malinteso senso di democrazia

Anche in occasione di quest’ultimo conflitto israelo-palestinese, viene rispolverato l’abusato ritornello della contrapposizione tra democrazia e autoritarismo, tra libertà e oppressione.

Ciò avviene ogni volta che, come occidentali, vediamo confutati, ancor prima dei nostri ideali, i nostri interessi. L’Occidente si sente depositario dei valori della democrazia, il che significa di libertà e uguaglianza.

Ma, al di là della fallacia di tale teorema, se andiamo a indagare il fenomeno democrazia, nella sua realizzazione storica piuttosto che nella sua idealità, ossia non fermandoci all’autorappresentazione che come Occidente propagandiamo per il mondo, scopriamo una realtà più complessa di quella che ci si vuole propinare.

I teorici della democrazia hanno sempre avuto come modello l’organizzazione politica della Grecia antica e, in particolare, dell’Atene del V secolo a.C.. E, in effetti, il termine nasce in quella realtà per indicare una gestione del potere diffusa tra la cittadinanza.

È il popolo che, riunito in assemblea, si occupa della gestione della polis. Ma, qui c’è un primo problema perché con popolo si intendono i cittadini e la cittadinanza, in quel contesto, è tutt’altro che inclusiva. Vi sono escluse le donne e gli schiavi. Questi ultimi, i quattro quinti della popolazione, rendono possibile il funzionamento della democrazia.

Per dirla con David Held (Modelli di democrazia, 1989), la figura del libero cittadino si stagliò con pieno rilievo sullo sfondo del lavoro schiavile. La cittadinanza prevede un altro da sé. Questo altro da sé è rappresentato dagli schiavi, all’interno della polis, e dai barbari al suo esterno.

Già da allora, prende forma la prassi di considerare i barbari come non umani, giustificando così qualsiasi atteggiamento violento che si potesse porre nei loro confronti.

Nelle coeve ricostruzioni storiche delle guerre tra greci e persiani, ha origine, come evidenzia Luciano Canfora (Democrazia, Storia di un’ideologia, 2004), il confronto tra oriente e occidente. Una frattura, con confini tutt’altro che netti nel corso dei secoli, che si è trasmessa fino a noi e che ha caratterizzato il pensiero occidentale nel corso di più di due millenni.

 

Fin dalle origini, quindi, la prassi democratica si è accompagnata alla discriminazione interna agli stati (liberi e schiavi, possidenti e nullatenenti, nella Grecia antica, capitale e proletariati nell’evo moderno) e a una guerra di rapina all’esterno dei confini nazionali.

La democrazia ateniese si reggeva sulla schiavitù e sulla logica imperiale impregnata di razzismo.

Quella odierna degli Stati Uniti d’America, si fonda sulla dicotomia interna tra possidenti e non possidenti (gli Usa hanno un indice di disuguaglianza tra i più alti al mondo), oltre che tra bianchi e neri, e sulla logica imperiale ereditata dall’Europa occidentale.

Da non sottovalutare il fatto che l’atto fondativo degli Usa sta proprio nella guerra di conquista di territori appartenenti ad altri popoli, nel loro sterminio o nella loro ghettizzazione.

I nativi americani (per i quali i concetti di libertà, uguaglianza e gestione diffusa del potere si attagliavano più che ai coloni bianchi) venivano appunto considerati barbari, non umani e non c’erano remore, per la nascente democrazia d’oltreoceano, nello sterminare le popolazioni che vivevano su quei territori da sempre.

Le logiche di sterminio nei confronti dei nativi americani erano esplicitamente rivendicate da alcuni governatori di stati e da presidenti come Thomas Jefferson e Theodor Roosevelt (Michael Mann, Il lato oscuro della democrazia. Alle radici della violenza etnica, 2005). La stessa schiavitù dei neri sembra non provocare imbarazzo alla neonata democrazia americana, tanto che i rivoluzionari francesi non considerarono quella americana una rivoluzione democratica improntata alla libertà.


Nella seconda metà del Novecento, sono i comunisti ad essere identificati come i nuovi barbari. Si badi bene che tale epiteto non era riservato solo all’Unione Sovietica e agli stati dell’Europa Orientale, ma a qualsiasi movimento comunista che nel sud del mondo ambiva a liberarsi del lacci del colonialismo.

Ed è proprio nei confronti dei comunisti asiatici e sudamericani che si scatena una persecuzione su vasta scala le cui vittime eccellenti risultano proprio la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli.

Non vi erano scrupoli a rovesciare governi democraticamente eletti se minacciavano gli interessi imperiali e se erano formati da forze di sinistra. Ciò che terrorizzava di più il governo statunitense era proprio la possibilità che governi che si poggiassero su forze comuniste e democratiche potessero avere successo e dimostrare la possibilità di un’alternativa al capitalismo predatorio.

Dall’Indonesia al Cile, passando per il Guatemala, il Brasile, l’Argentina, il Vietnam, per citarne alcuni, la logica imperiale ha dominato la seconda metà del Ventesimo secolo, come evidenzia la ricostruzione di Vincent Bevins (Il metodo Giacarta, 2021).


Se si ha presente questo lato oscuro della democrazia, assume una propria coerenza la retorica democratica che si sente recitare in questi giorni e che contrappone la democrazia al terrorismo; ancora una volta, gli umani ai non umani.

Si chiede di schierarsi da una parte o dall’altra: con la democrazia o con i barbari.

I morti non sono tutti uguali, come il diritto a non vedere invaso il proprio territorio, continuamente violato da Israele, non è equamente riconosciuto. Questo teorema comporta anche che siano giustificati i bombardamenti che mietono vittime tra la popolazione civile di Gaza, sull’assunto che avrebbe solidarizzato con i terroristi non essendosi ribellata.

Ma, attenzione, questo ragionamento contiene una contraddizione di fondo che si ritorce contro le stesse democrazie. Perché soprattutto ad esse dovrebbe essere rivolto e non a regimi considerati non democratici. Si assiste così a un completo rovesciamento di logica.

L’essere calata in una democrazia, farebbe infatti sì che la popolazione di Israele, come quelle dei paesi occidentali, sia responsabile in solido delle scelte che fanno i governanti. Persino dei pogrom organizzati dai coloni nei confronti dei villaggi arabi in Cisgiordania (il termine è usato da critici israeliani come l’ex numero uno del Mossad Tamir Bardo).

Il teorema occidentale dovrebbe far salve proprio le popolazioni dei paesi non democratici che non hanno voce in capitolo sulle scelte delle loro classi dirigenti. In realtà, siamo di fronte a una narrazione fallace che cela il fatto che la democrazia occidentale non ha mai significato la gestione diffusa del potere e ha tra i suoi connotati la calunnia (praticata anche in casa propria), la disuguaglianza e il razzismo.

Il problema, allora, è che la storia, come anche il lessico, la fanno i potenti, almeno nell’immediato.

Ci si comporta come il personaggio di Lewis Carrol, Hupty Dumpty, che dice ad Alice: quando io uso una parola essa significa esattamente ciò che io voglio che significhi….né più né meno;e all’obiezione di Alice secondo cui bisognava vedere se si aveva il potere di far significare alle parole cose differenti, il nostro protagonista ribatte: bisogna vedere chi è che comanda, ecco tutto.

Ma se volessimo essere coerenti con quello che predichiamo, non con quello che pratichiamo, allora dovremmo rimettere in discussione questo malinteso senso di democrazia e fare un profondo esame della nostra falsa coscienza.

Fabrizio Venafro, https://www.lafionda.org/   24/10/2023

Fabrizio Venafro, laureato in scienze politiche, lavora presso il Ministero dell’Interno e scrive su diverse riviste online, quali Volere la luna e Sbilanciamoci.

 

 

 

 

Ed ecco la “democrazia” israeliana in azione….

 

Lager Palestina

Allah Akbar!” è il grido riecheggiato in tutto il mondo attraverso i video che hanno documentato le violenze dei militanti islamici contro donne, bambini, giovani di ogni nazionalità, massacrati o rapiti, il 7 ottobre 2023, mentre una valanga di missili si abbatteva su Israele. La stessa invocazione “Allah Akbar!” è risuonata nei giorni successivi sulle piazze arabe e sui social occidentali filo-islamici, per festeggiare l’aggressione di Hamas a Israele.

La risposta di Israele non s’è fatta attendere e, nell’attesa di una massiccia operazione militare di terra nella striscia nord di Gaza per debellare Hamas, lo stato ebraico ha proceduto a una fitta serie di bombardamenti che hanno riversato sul paese solo nei primi sette giorni un numero di bombe pari a quello rovesciato dagli americani in un anno in Afghanistan.

Contemporaneamente è stato interrotto ogni rifornimento di acqua, gas e luce nel territorio palestinese, costringendo la popolazione a un esodo forzato e privando di ogni rifornimento anche le strutture ospedaliere. Allo stato attuale, cioè quello in cui scriviamo, l’azione israeliana ha già causato altre 4.000 vittime e centinaia di feriti tra la popolazione palestinese.

Questa forma di assedio totale ha sollevato molteplici dubbi e proteste, da parte di organizzazioni internazionali e società civile, sia per le denunce di comportamenti contrari al diritto internazionale, considerati crimini umanitari, sia per le ricadute negative che avrebbe prodotto sull’immagine di Israele nel consesso internazionale.

Nei ripetuti richiami delle Nazioni Unite ai belligeranti si ricorda l’obbligo, vigente anche in stato di guerra, di rispettare il diritto umanitario internazionale, a cominciare dalla protezione dei civili. Come dire: anche la guerra ha delle regole. E prendere per fame e per sete una popolazione civile che già soffre il dramma del conflitto è azione disumana, ingiustificabile.


Questa situazione ripropone, peraltro, l’annoso e irrisolto problema della mancata creazione di uno stato palestinese autonomo sui territori occupati da Israele e della relazione fra il popolo palestinese e le formazioni che, di volta in volta, ne hanno assunto la rappresentanza politica e militare.

Quando si parla di Gaza e Cisgiordania, al di là di ogni pur necessaria ricostruzione storico politica, non si può prescindere dalla costatazione che la situazione dei palestinesi in quei territori è ristretta e sottomessa, oltre ogni decenza e dignità, in uno spazio dal quale non è consentito allontanarsi senza transitare attraverso varchi controllati e sottoposti alla giurisdizione di un potere estraneo, dal quale si dipende in tutto e per tutto anche per gli approvvigionamenti vitali energetici e di acqua.

La vita in una riserva indiana nel vecchio Far West americano non doveva presentare grandi differenze da questa condizione di prigionia a cielo aperto in cui è costretta la popolazione palestinese nei territori occupati.

Territori sempre più colonizzati da Israele con insediamenti illegali di kibbutz, che vivono una realtà da fortini installati in un territorio straniero e ostile, per cui ogni abitazione dev’essere dotata di una “defense room”, cioè una stanza blindata, presente per legge in ogni abitazione costruita dopo il 1992 e ancora più comune negli insediamenti vicini al confine, pensata per offrire un riparo sicuro durante gli attacchi con i razzi o con i missili, mentre l’intero kibbutz è dotato di una scorta militare a difesa.

Questa non è una situazione normale ed è lo specchio della realtà che caratterizza una convivenza inaccettabile tra una popolazione sottomessa e soggetta a umiliazioni e il suo carceriere-occupante.


Una situazione che, con alterne vicende, si trascina dal 1948, dalla Nakba, ovvero “la catastrofe” in arabo, ricordata dai palestinesi ogni anno il 15 maggio, un giorno dopo la fondazione dello stato di Israele, perché rappresenta con la fuga di 700mila palestinesi il primo atto di un odissea che, tra espulsioni ed espropriazioni, ha portato Israele a impossessarsi dei territori abitati da migliaia di arabi, espandendo i suoi possedimenti, con decine di villaggi palestinesi distrutti e ripopolati da insediamenti israeliani. Un esempio tra tutti è Giaffa, storica città araba, diventata un quartiere di Tel Aviv, la città israeliana fondata nel 1909.

Da quella data, in un succedersi di guerre, intifade, “punizioni collettive”, attentati suicidi, rastrellamenti, uccisioni, espulsioni, demolizioni di massa, lanci di razzi e bombardamenti, finalmente l’11 settembre del 2005 fu ammainata l’ultima bandiera israeliana sulla Striscia di Gaza. Ma il paradosso di quel disimpegno israeliano fu che i palestinesi invece di ricevere l’agibilità di quel territorio vi furono rinchiusi.

Dichiarato “entità ostile” da Israele, il fazzoletto di terra palestinese è sottoposto a un blocco quasi ermetico dal 2007.

È occupazione sotto un’altra forma, è il controllo a distanza. “L’idea è mettere i palestinesi a dieta, senza farli morire di fame”, spiegava Dov Weissglas, che dopo l’ictus di Sharon passò al servizio del nuovo primo ministro israeliano, Ehud Olmert.

I nutrizionisti dell’esercito israeliano hanno calcolato la razione che permette di mantenere un abitante medio di Gaza appena al di sopra della soglia di malnutrizione: 2.279 calorie al giorno. Sulla base di questa stima lo stato maggiore ha stabilito che ogni giorno potevano entrare a Gaza 131 camion.

Ma secondo l’Ong israeliana Gisha, specializzata nei problemi di accesso nella Striscia, spesso non si raggiungeva quel numero. Nell’idea dei militari israeliani, un popolo indebolito è meno portato a combattere, chi ha un problema di sostentamento ha minori energie da dedicare alla lotta politica e alle ambizioni di indipendenza.

Quelli che da decenni si esibiscono in condanne senza appello delle presunte malefatte dei nazionalsocialisti tedeschi avrebbero qualcosa da dover dire al riguardo, se non vivessero sotto una spessa coltre di ipocrisia e di vergognoso conformismo ideologico.


Chi afferma che il popolo palestinese è “prigioniero” di Hamas e usato cinicamente da questi dice solo una mezza verità, perché l’odio e l’esasperazione determinati dalla condizione in cui i palestinesi sono relegati da Israele hanno consentito la presa del potere da parte di Hamas e ne alimentano le file e ne sostengono la lotta.

Chi denuncia il progetto islamico della distruzione di Israele, trascura di considerare che chiunque fosse oppresso da decenni ambirebbe naturalmente alla distruzione del proprio oppressore.

Chi ricorre al trito ragionamento del necessario sostegno internazionale a Israele, in quanto “unica democrazia dell’area mediorientale”, dovrebbe anche spiegare quale titolo di merito possa avanzare un qualsiasi Stato che, nel dichiararsi “democratico” al proprio interno, agisca su piano estero come un qualsiasi regime predatorio, incurante del diritto internazionale e delle risoluzioni del consesso mondiale delle Nazioni Unite.

Chi afferma con comprensione “il diritto di Israele a difendersi”, è lo stesso che con troppa superficialità ignora la “conta dei morti”, cioè il prezzo in termini di vite umane drammaticamente squilibrato che questo diritto comporta.

Chi sostiene con intransigenza il diritto del popolo ucraino a difendersi e a non cedere lembi del proprio territorio nazionale, dovrebbe contemporaneamente spiegare perché questo diritto non dovrebbe parimenti valere per il popolo palestinese.

Infine, chi afferma che con Hamas non si tratta, perché con i suoi atti Hamas ha dimostrato d’essere un mostro, dovrebbe interrogarsi sulle cause e su coloro che quel mostro hanno contribuito a creare.

Enrico Marino, https://www.ereticamente.net/  23/10/2023


 

 

 

 

Ed ecco un altro esempio della grande “democrazia” dell’Occidente…

 

EU vs MUSK

Anche il proprietario di X ha dovuto fare i conti con qualcuno che decide quali siano i contenuti permessi o non permessi.

 

 

Silver Nervuti

Vedi e ascolta QUI

 

 


 

DALLA RETE ( allarga l’immagine)

 

 

 

 

 

 

 

 


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