Il 27 agosto del 1880 muore suicida a Catanzaro RAFFAELE PICCOLI (61 anni) Patriota, rivoluzionario italiano e difensore della Repubblica Romana del 1849.

Piccoli nacque a Castagna ( Catanzaro) e la sua innata ansia e la sua vivace intelligenza spinsero suo padre a mandarlo “dai monaci” per studiare. Così passò i primi anni della sua adolescenza nel convento di Scigliano (Cosenza) dove studiò lettere e filosofia. Dopo il completamento degli studi si avvicinò al pensiero di MAZZINI.

Le voci del mondo in quegli anni vivacissimi lo chiamarono a dare il suo contributo alla costruzione di una nuova società. Lasciò Scigliano a circa vent’anni e se ne andò per l’Italia: Roma, Firenze, Pisa, continuando a studiare. Tornato a Castagna si legò ai gruppi di rivoluzionari e democratici di Lamezia Terme e dei paesi circostanti. Così nel 1848 partecipò con i volontari di Francesco Stocco all’insurrezione e ai moti dell’Angitola, piccolo fiume calabrese, combattendo ancora vestito da diacono.

Fallito il tentativo rivoluzionario in Calabria, Raffaele si recò a Roma, dove partecipò attivamente alle sommosse che precedettero la nascita della Repubblica Romana e all’assedio del Quirinale successivo all’omicidio di Pellegrino Rossi. Difese poi la stessa Repubblica Romana dalle truppe papaline e francesi con GIUSEPPE GARIBALDI al Gianicolo e a Villa Corsini.

Nel 1849 ai recò a Napoli dove fu arrestato e processato assieme a LUIGI SETTEMBRINI (1813- 1876) e CARLO POERIO (1803- 1867). Condannato a 30 anni di cercere duro per cospirazione fu relegato nell’isola di Santo Stefano.

Liberato grazie al colpo di mano di Raffaele Settembrini, il figlio di Luigi, il quale riuscì a dirottare nel Regno Unito la nave che avrebbe dovuto deportare i prigionieri politici napoletani in Argentina, Piccoli riparò in Piemonte e riprese i contatti con i repubblicani di Mazzini. Idealmente si avvicinò sempre più a Mazzini, di cui condivise fino in fondo l’idea repubblicana e il suo esempio più grande fu Garibaldi di cui ammirò le gesta, il coraggio e la generosità.

Nel 1860 s’imbarcò da Quarto (Genova) con i Mille e fu protagonista dell’epopea garibaldina fino a Napoli, con il sogno sempre vivo di Unità d’Italia, di libertà e uguaglianza. Partecipò come ufficiale concludendo la campagna dei Mille con il grado di maggiore.

Dopo il 1861, diversamente da molti suoi compagni di lotta divenuti deputati del nuovo regno, rimase coerentemente repubblicano e pur essendo stato un garibaldino appassionato, visto come venivano maltrattati gli abitanti dell’ex Regno delle Due Sicilie dai governanti del nuovo stato italiano, si pentì di aver partecipato alla spedizione dei Mille. Pertanto non si integrò nel nuovo regno italiano, e insieme ad altri compaesani, formò un gruppo di partigiani ( che venivano chiamati “briganti” ) che combatterono contro gli invasori piemontesi-savoiardi, sempre però rimanendo coerentemente repubblicano e non per gli interessi dei Borboni decaduti.

Cercò di lottare sempre per la giustizia e l’uguaglianza divenendo spesso oggetto delle dure attenzioni degli eserciti piemontesi e di un governo che nulla pareva avesse mutato nei rapporti sociali dal tempo dei decrepiti modelli borbonici.

Successivamente, mentre altri compagni delle carceri borboniche diventavano deputati, ministri e rispettati intellettuali, Piccoli rimase in miseria. Coerente con l’ideale repubblicano, non accettò gli esiti dell’unità e non si integrò, ripetiamo, nel nuovo regno italiano. A causa della sua attività sovversiva mazziniana gli fu respinta, per esempio, una domanda di fare lo spazzino.

Nel 1870, assieme al figlio di Giuseppe Garibaldi, Ricciotti, tentò un’insurrezione repubblicana a Filadelfia (Vibo Valentia) che non ebbe successo. Costretto alla latitanza sulla Sila Raffaele finì, allora, esule a Malta e, processato in contumacia, gli venne revocata la pensione come veterano dei Mille, unica fonte di sopravvivenza.

Ormai tutte le speranze di rinnovamento e di crescita civile attese con la fatidica unità d’Italia erano andate amaramente deluse. Raffaele, come molti altri uomini che avevano combattuto duramente per la libertà, fu dimenticato dai regnanti savoiardi e dai loro tirapiedi vivendo in totale miseria gli ultimi anni della vita.

Tornato in Patria nel 1880 morì suicida a Catanzaro, nel misero albergo dove abitava, la notte del 27 Agosto 1880: racconta la cronaca del tempo che «si è coperto la testa con uno straccio, ha preso un martello e si è piantato un chiodo nel cervello».

Lasciò in miseria moglie e cinque figli a cui aveva dato nomi legati alla sua fede patriottica: Marsalino, Palermina, Giuseppe Mazzini, Quinzio Cincinnato e Italia. I suoi resti riposano nel cimitero di Catanzaro.

 

 

vedi:  Un Patriota valorosissimo: GIOVANNI BATTISTA CELLA

L'uomo che ha dato tutto alla Patria: MARZIANO CIOTTI

 

 

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