Jacinda Ardern, primo ministro di Nuova Zelanda, ha stabilito un esempio, con la sua risposta al massacro di Christchurch, in cui 50 islamici sono stati uccisi in due moschee da un suprematista bianco australiano e dai suoi complici. Jacinda Ardern ha creato, nel suo Paese, un contesto di lutto nazionale con il suo gesto di abbracciare la comunità degli immigrati e nel dire in modo chiaro e fermo: le vittime sono parte della nostra comunità islamica neozelandese. La Nuova Zelanda è la loro casa. Loro sono noi”.

Cito dall’articolo di apertura del New York Times del 22 marzo che continua così: “Il primo ministro neozelandese, indossando il velo delle donne islamiche, è andata nelle case delle vittime, portando, ha detto, il dolore e la solidarietà dei suoi cittadini e del suo governo. La domenica dopo la strage in tutte le chiese della nuova Zelanda si è cantato l’inno nazionale che dice ‘questa è la libera terra degli uomini di ogni credo e ogni razza’”.

Jacinda Ardern, 38 anni

Ci spiega l’articolista Sushil Aaron che la signora primo ministro della Nuova Zelanda è persuasa, e spiega continuamente ai suoi cittadini (tra cui gode di un favore molto alto) che tocca alla politica stabilire in che cosa credere e dove andare, e che la politica è un impegno giuridico e morale molto al di sopra del pregiudizio. Secondo Ardern dipende dalla politica se siamo in prevalenza buoni o cattivi, gretti o generosi, aggressivi o amichevoli. Perché è la politica che crea il paesaggio. E raramente qualcuno si muove con rancore e vendetta in un paesaggio benevolo.

Infatti quando Donald Trump ha chiesto, con automatismo diplomatico, se e che cosa poteva fare per la Nuova Zelanda dopo la strage, il primo ministro neozelandese ha risposto: “Offra sostegno e amore alla nostra comunità islamica”.

Per capire il senso (il senso per noi, lettori italiani, in questa Italia) del testo che ho appena citato, occorre cercare risposta ad alcune inevitabili domande. Una è se c’è qualcosa di “santo” o di religioso nella vita o nel curriculum di Jacinda Ardern. Per tutto quello che sappiamo e che troviamo su di lei, la risposta è no. È una buona cristiana, ma non andrebbe a Verona. Come ha già detto lei stessa nelle parole citate, lei è un leader politico, e la politica è al di sopra del pregiudizio e ha il compito di tenere il pregiudizio a bada.

È di sinistra? Dal punto di vista del laburismo inglese di questi anni, che si unisce alla Brexit per paura di accogliere migranti o di perdere voti, no. È una strana e mite dirigente di un partito laburista fondato da lei che, accogliendo gli esclusi, difendendo gli emarginati e dicendo frasi come “i nostri emigranti”, ha ottenuto un mare di voti, e continua ad avere sondaggi da Salvini. Ecco un punto che ci interessa.

Dunque, per fare il pieno di voti (o di sondaggi) non occorre abbandonare i barconi avariati pieni di disperati affinché i superstiti siano catturati e portati a morire in Libia. Non occorre aggirarsi tutto il tempo sulla scena in giacca di polizia, ma lontano dalla polizia e vicino solo alla folla dei comizi elettorali. Non c’è bisogno di annunciare che “devono scendere in manette”, se 50 scampati dal mare sono sulla “nave pirata” di Casarini.

Invece della paura potrebbe esserci la fiducia, invece della minaccia di vendetta (mentre si cerca una problematica “stretta” giudiziaria contro i presunti violatori dei mari chiusi) potrebbero esserci un po’ di nutrimento per i profughi finalmente sbarcati, un po’ di visite mediche e un po’ di organizzazione per stabilire dove li mandi a dormire.

Può la storia “esemplare” (uso di nuovo la parola del New York Times) di Jacinda Ardern ispirare una via del voto, del successo, di un governo meno crudele dei campi di Rosarno dove si muore di lavoro di giorno o di incendio di notte, e si sfruttano all’estremo persone dichiarate illegali, irregolari e criminali per la mano d’opera che non c’è e che, se trattati umanamente, potrebbe diventare lavoro italiano? La leader neozelandese ha la sua opposizione, ma nessuno l’accusa di mentire. Il suo sistema di pace e di accoglienza funziona. Per avere una strage bisogna importare un assassino da un Paese suprematista, l’Australia.

Mi domando se il comportamento “esemplare” del primo ministro neozelandese non dica nulla ai Cinque Stelle che cedono, ogni giorno di più, spazio e rilievo alla cattiveria come programma e al potere come invenzione continua di regole persecutorie della Lega.

Si rendono conto che la chiusura illegale (e di fatto una dichiarazione falsa) dei porti è opera di un loro ministro non proprio prestigioso? Non sarebbe un colpo da maestri se essi fossero un partito di gente normale, che finalmente fa capire a tutti (vedi Diciotti, Mare Jonio, Verona) che la normalità di giudizio e di comportamento non è il punto forte della Lega?

Furio Colombo        Il Fatto  24/3/2019

 

Vedi:  Il disobbediente civile visionario

Solo chi sa servire può diventare un grande leader

Come si fabbrica la cattiveria


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