Gli animi di servi hanno permesso le dittature e i totalitarismi di ogni tempo. La storia lo insegna. Anche questa nuova ( ma vecchia…) dittatura sanitaria è possibile a causa di milioni di anime di servi impauriti e irrazionali come il covidiota. E solo con gli animi di servi che il criminale progetto globale del Grande Reset ( nascosto dietro il paravento del virus) potrà andare avanti rendendo il nostro povero mondo un inferno per gli uomini liberi dentro sé stessi.

Oggi vi proponiamo una riflessione filosofica e laicamente spirituale del Grande Reset che ci offre uno dei più grandi filosofi italiani viventi, Giorgio Agamben, conosciuto il tutto il mondo ( meno che in Italia, naturalmente!). Sue importantissime riflessioni ( da www.quodlibet.it) sono già presenti sul nostro sito ( clicca in fondo alla pagina sul “tag” agamben). Agamben fu tra i primi a leggere cosa si nascondeva dietro la pretesa pandemia e dietro le prime scelte autoritarie del nostro governucolo: per questo venne insultato dai giornaloni di regime come avesse parlato uno sprovveduto, ma per gli uomini liberi egli ha dato uno straordinario contributo di riflessione e di pensiero critico.

V’invitiamo a leggere con attenzione e con calma quanto segue collegandolo poi agli articoli sul Grande Reset presenti sul nostro sito a questo indirizzo: https://www.gruppolaico.it/category/rassegna-stampa/emergenza-rassegna-stampa/. Fatelo! (GLR)

 

Sul tempo che viene

Ciò che sta oggi avvenendo su scala planetaria è certamente la fine di un mondo. Ma non – come per coloro che cercano di governarla secondo i loro interessi – nel senso di un trapasso a un mondo più consono alle nuove necessità dell’umano consorzio.

Tramonta l’età delle democrazie borghesi, coi suoi diritti, le sue costituzioni e i suoi parlamenti; ma, al di là della scorza giuridica, certo non irrilevante, a finire è innanzitutto il mondo che era iniziato con la rivoluzione industriale e cresciuto fino alle due – o tre – guerre mondiali e ai totalitarismi – tirannici o democratici – che le hanno accompagnate.

Se le potenze che governano il mondo hanno ritenuto di dover ricorrere a misure e dispositivi così estremi come la biosicurezza e il terrore sanitario, che hanno istaurato ovunque e senza riserve, ma che minacciano ora di sfuggir loro di mano, ciò è perché temevano secondo ogni evidenza di non aver altra scelta per sopravvivere.

E se la gente ha accettato le misure dispotiche e le costrizioni inaudite cui è stata sottoposta senza alcuna garanzia, ciò non è soltanto per la paura della pandemia, ma presumibilmente perché, più o meno inconsapevolmente, sapeva che il mondo in cui aveva vissuto fin allora non poteva continuare, era troppo ingiusto e inumano.

Va da sé che i governi preparano un mondo ancora più inumano, ancora più ingiusto; ma in ogni caso, da una parte e dall’altra, si presagiva in qualche modo che il mondo di prima – come si comincia ora a chiamarlo – non poteva continuare.

Vi è certamente in questo, come in ogni oscuro presentimento, un elemento religioso. La salute si è sostituita alla salvezza, la vita biologica ha preso il posto della vita eterna e la Chiesa, ormai da tempo abituata a compromettersi con le esigenze mondane, ha più o meno esplicitamente acconsentito a questa sostituzione.

Non rimpiangiamo questo mondo che finisce, non abbiamo alcuna nostalgia per l’idea dell’umano e del divino che le onde implacabili del tempo stanno cancellando come un volto di sabbia sul bagnasciuga della storia.

Ma con altrettanta decisione rifiutiamo la nuda vita muta e senza volto e la religione della salute che i governi ci propongono.

Non aspettiamo né un nuovo dio né un nuovo uomo – cerchiamo piuttosto qui e ora, fra le rovine che ci circondano, un’umile, più semplice forma di vita, che non è un miraggio, perché ne abbiamo memoria e esperienza, anche se, in noi e fuori di noi, avverse potenze la respingono ogni volta nella dimenticanza.

Giorgio Agamben   23/11/2020


 

Quando la casa brucia

«Tutto quello che faccio non ha senso, se la casa brucia». Eppure proprio mentre la casa brucia occorre continuare come sempre, fare tutto con cura e precisione, forse ancora più studiosamente – anche se nessuno dovesse accorgersene. Può darsi che la vita sparisca dalla terra, che nessuna memoria resti di quello che è stato fatto, nel bene e nel male. Ma tu continua come prima, è tardi per cambiare, non c’è più tempo.

«Quel che accade intorno a te / non è più affar tuo». Come la geografia di un paese che devi lasciare per sempre. Eppure in che modo ancora ti riguarda? Proprio ora che non è più affar tuo, che tutto sembra finito, ogni cosa e ogni luogo appaiono nella loro veste più vera, ti toccano in qualche modo più da vicino – così come sono: splendore e miseria.

Quale casa sta bruciando? Il paese dove vivi o l’Europa o il mondo intero? Forse le case, le città sono già bruciate, non sappiamo da quanto tempo, in un unico immenso rogo, che abbiamo finto di non vedere. Di alcune restano solo dei pezzi di muro, una parete affrescata, un lembo del tetto, dei nomi, moltissimi nomi, già morsi dal fuoco. E, tuttavia, li ricopriamo così accuratamente con intonachi bianchi e parole mendaci, che sembrano intatti. Viviamo in case, in città arse da cima a fondo come se stessero ancora in piedi, la gente finge di abitarci ed esce per strada mascherata fra le rovine quasi fossero ancora i familiari rioni di un tempo.
E ora la fiamma ha cambiato forma e natura, si è fatta digitale, invisibile e fredda, ma proprio per questo è ancora più vicina, ci sta addosso e circonda in ogni istante.

Che una civiltà – una barbarie – sprofondi per non più risollevarsi, questo è già avvenuto e gli storici sono abituati a segnare e datare cesure e naufragi. Ma come testimoniare di un mondo che va in rovina con gli occhi bendati e il viso coperto, di una repubblica che crolla senza lucidità né fierezza, in abiezione e paura? La cecità è tanto più disperata, perché i naufraghi pretendono di governare il proprio naufragio, giurano che tutto può essere tenuto tecnicamente sotto controllo, che non c’è bisogno né di un nuovo dio né di un nuovo cielo – soltanto di divieti, di esperti e di medici. Panico e furfanteria.


Una cultura che si sente alla fine, senza più vita, cerca di governare come può la sua rovina attraverso uno stato di eccezione permanente. La mobilitazione totale nella quale Jünger vedeva il carattere essenziale del nostro tempo va vista in questa prospettiva. Gli uomini devono essere mobilitati, devono sentirsi ogni istante in una condizione di emergenza, regolata nei minimi particolari da chi ha il potere di deciderla. Ma mentre la mobilitazione aveva in passato lo scopo di avvicinare gli uomini, ora mira a isolarli e a distanziarli gli uni dagli altri.

Da quanto tempo la casa brucia? Da quanto tempo è bruciata? Certamente un secolo fa, fra il 1914 e il 1918, qualcosa è avvenuto in Europa che ha gettato nelle fiamme e nella follia tutto quello che sembrava restare di integro e vivo; poi nuovamente, trent’anni dopo, il rogo è divampato ovunque e da allora non cessa di ardere, senza tregua, sommesso, appena visibile sotto la cenere. Ma forse l’incendio è cominciato già molto prima, quando il cieco impulso dell’umanità verso la salvezza e il progresso si è unito alla potenza del fuoco e delle macchine. Tutto questo è noto e non serve ripeterlo. Piuttosto occorre chiedersi come abbiamo potuto continuare a vivere e pensare mentre tutto bruciava, che cosa restava in qualche modo integro nel centro del rogo o ai suoi margini. Come siamo riusciti a respirare fra le fiamme, che cosa abbiamo perduto, a quale relitto – o a quale impostura – ci siamo attaccati.
Ed ora che non ci sono più fiamme, ma solo numeri, cifre e menzogne, siamo certamente più deboli e soli, ma senza possibili compromessi, lucidi come mai prima d’ora.

È come se il potere cercasse di afferrare a ogni costo la nuda vita che ha prodotto e, tuttavia, per quanto si sforzi di appropriarsene e controllarla con ogni possibile dispositivo, non più soltanto poliziesco, ma anche medico e tecnologico, essa non potrà che sfuggirgli, perché è per definizione inafferrabile. Governare la nuda vita è la follia del nostro tempo. Uomini ridotti alla loro pura esistenza biologica non sono più umani, governo degli uomini e governo delle cose coincidono.

Il volto è la cosa più umana, l’uomo ha un volto e non semplicemente un muso o una faccia, perché dimora nell’aperto, perché nel suo volto si espone e comunica. Per questo il volto è il luogo della politica. Il nostro tempo impolitico non vuole vedere il proprio volto, lo tiene a distanza, lo maschera e copre. Non devono esserci più volti, ma solo numeri e cifre. Anche il tiranno è senza volto.

Sentirsi vivere: essere affetti dalla propria sensibilità, essere delicatamente consegnati al proprio gesto senza poterlo assumere né evitare. Sentirmi vivere mi rende la vita possibile, fossi anche chiuso in una gabbia. E nulla è così reale come questa possibilità.

Negli anni a venire ci saranno solo monaci e delinquenti. E, tuttavia, non è possibile farsi semplicemente da parte, credere di potersi trar fuori dalle macerie del mondo che ci è crollato intorno. Perché il crollo ci riguarda e ci apostrofa, siamo anche noi soltanto una di quelle macerie. E dovremo imparare cautamente a usarle nel modo più giusto, senza farci notare.

Che l’anima e il corpo siano indissolubilmente congiunti – questo è spirituale. Lo spirito non è un terzo fra l’anima e il corpo: è soltanto la loro inerme, meravigliosa coincidenza. La vita biologica è un’astrazione ed è questa astrazione che si pretende di governare e curare.

Per noi da soli non ci può essere salvezza: c’è salvezza perché ci sono altri. E questo non per ragioni morali, perché io dovrei agire per il loro bene. Soltanto perché non sono solo c’è salvezza: posso salvarmi solo come uno fra tanti, come altro fra gli altri. Da solo – questa è la speciale verità della solitudine – non ho bisogno di salvezza, sono anzi propriamente insalvabile. La salvezza è la dimensione che si apre perché non sono solo, perché c’è pluralità e moltitudine. Dio, incarnandosi, ha cessato di essere unico, è diventato un uomo fra tanti. Per questo il cristianesimo ha dovuto legarsi alla storia e seguirne fino in fondo le sorti – e quando la storia, come oggi sembra avvenire, si spegne e decade, anche il cristianesimo si avvicina al suo tramonto. La sua insanabile contraddizione è che esso cercava, nella storia e attraverso la storia, una salvezza al di là della storia e quando questa finisce, il terreno gli manca sotto i piedi. La chiesa era in realtà solidale non della salvezza, ma della storia della salvezza e poiché cercava la salvezza attraverso la storia, non poteva che finire nella salute. E quando il momento è venuto, non ha esitato a sacrificare alla salute la salvezza.
Occorre strappare la salvezza dal suo contesto storico, trovare una pluralità non storica, una pluralità come via di uscita dalla storia.

Verso il presente si può solo regredire, mentre nel passato si procede diritto. Ciò che chiamiamo passato non è che la nostra lunga regressione verso il presente. Separarci dal nostro passato è la prima risorsa del potere..

Chi si accorge che la casa brucia, può essere spinto a guardare i suoi simili che sembrano non accorgersene con disdegno e disprezzo. Eppure non saranno proprio questi uomini che non vedono e non pensano i lemuri cui dovrai rendere conto nell’ultimo giorno? Accorgersi che la casa brucia non t’innalza al di sopra degli altri: al contrario, è con loro che dovrai scambiare un ultimo sguardo quando le fiamme si faranno più vicine. Che cosa potrai dire per giustificare la tua pretesa coscienza a questi uomini così inconsapevoli da sembrare quasi innocenti?

Nella casa che brucia continui a fare quello che facevi prima – ma non puoi non vedere quello che ora le fiamme ti mostrano a nudo. Qualcosa è cambiato, non in quello che fai, ma nel modo in cui lo lasci andare nel mondo. Una poesia scritta nella casa che brucia è più giusta e più vera, perché nessuno potrà ascoltarla, perché nulla assicura che possa scampare alle fiamme. Ma se, per un caso, essa trova un lettore, allora questi non potrà in nessun modo sottrarsi all’apostrofe che lo chiama da quell’inerme, inspiegabile, sommesso vocìo.
Può dire la verità solo chi non ha nessuna probabilità di essere ascoltato, solo chi parla da una casa che intorno a lui le fiamme stanno implacabilmente consumando.

L’uomo oggi scompare, come un viso di sabbia cancellato sul bagnasciuga. Ma ciò che ne prende il posto non ha più un mondo, è solo una nuda vita muta e senza storia, in balia dei calcoli del potere e della scienza. Forse è però soltanto a partire da questo scempio che qualcos’altro potrà un giorno lentamente o bruscamente apparire – non un dio, certo, ma nemmeno un altro uomo – un nuovo animale, forse, un’anima altrimenti vivente…

Giorgio Agamben   5/10/2020

 

 

Si è abolito l’amore

Si è abolito l’amore
in nome della salute
poi si abolirà la salute.

Si è abolita la libertà
in nome della medicina
poi si abolirà la medicina.

Si è abolito Dio
in nome della ragione
poi si abolirà la ragione.

Si è abolito l’uomo
in nome della vita
poi si abolirà la vita.

Si è abolita la verità
in nome dell’informazione
ma non si abolirà l’informazione.

Si è abolita la costituzione
in nome dell’emergenza
ma non si abolirà l’emergenza.

Giorgio Agamben   6/11/2020

 

 

 

Aggiungiamo questo importante contributo di riflessione di Lannes assolutamente in linea con quanto avete appena letto di Agamben. La sua domanda: “cosa si diventa quando si smette di essere umani?” dovrebbe prenderci alla gola se non siamo già ridotti alla nuda vita, come il covidiota.  (GLR)

 

DISUMANI!

Nella società contemporanea sempre più totalitaria grazie in particolare al controllo elettronico dell’umanità, il bene è monopolio dello Stato, al pari della violenza. L’imposizione pena la punizione – sotto forma di reclusione o sanzione – è una forma di violenza istituzionale emanata dall’autorità.

La violenza è la più estrema forma di potere. Il sistema di dominio trasforma i cittadini in sudditi prima, poi schiavi, infine cavie. Il transumanesimo eugenetico regna ormai incontrastato e sotto mentite spoglie (Gates docet).

Il mondo odierno in fase di sovvertimento a causa di ingiustizie e disuguaglianze alimentate dal nuovo ordine mondiale (in realtà vecchio e mascherato), è fatto in modo da esimere ogni individuo dalla responsabilità di fare il bene in prima persona. Ogni essere umano è libero di fare il male in svariate modalità, mentre la realizzazione del bene è sempre qualcosa che riguarda gli altri.

La più evidente affermazione della banalità del male è di averci convinti, di essere riuscito a farci credere che ognuno di noi approda al mondo per badare soltanto a se stesso. Il male trionfa perché non prevale l’empatia, l’altruismo, l’amore.

Che cosa si diventa quando si smette di essere umani? Che cosa o chi c’è dopo l’essere umano? La vita umana (unica e magica) richiede azioni etiche per vivere nel presente, pensando al futuro. La tecnologia non è sempre progresso morale o civile, bensì allontanamento ossessivo dall’umanità.

La storia si ripete in peggio e la gente sembra non avere appreso la lezione del recente passato.

La testimonianza di una donna in Israele, sopravvissuta allo sterminio ci spiega che tutto ciò che stiamo vivendo ora con il nuovo coronavirus, replica quello che è già successo in passato con il nazismo. Il suo nome è Vera Sharah e mette a tacere tutti i subdoli tentativi di stigmatizzare come con l’etichetta di negazionismo, in realtà una censura, il buon senso ed il rigore della logica critica, precipua di chi non accetta la falsa narrazione ufficiale degli eventi virali.

Ascolta e vedi:https://www.youtube.com/watch?v=h_EDV_7s7D

(in lingua inglese)

Gianni Lannes, giornalista   in http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/ 26/11/2020

 

 

ANNO I DEL REGIME SANITARIO

 

 

 

V’invitiamo a cliccare in fondo a questa pagina sul “tag” agamben per leggere altre riflessioni del filosofo. In particolare v’invitiamo anche a  leggere il contributo di un grande filosofo francese: Bernard-Henri  Lévy.

Ai tempi del virus: l'egoismo dei bastardi

 

 



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