Attenzione, perché così finisce male. Strano che fra tutte le analogie storiche, alcune decisamente stiracchiate, adoperate per comprendere meglio il nostro presente, non venga in mente a nessuno la suggestione delle guerre civili: la politica ridotta a guerra totale tra connazionali che sparano all’impazzata da trincee contrapposte, la degradazione dell’avversario a nemico da abbattere, anche fisicamente, l’odio assoluto e feroce come carburante per alimentare le armi di offesa.

Finora siamo ancora, da ambo i fronti (vorrei ribadire: da ambo i fronti) ai plotoni di esecuzione puramente verbale. Finora: ma attenzione, perché così finisce male, e se non si vuole andare troppo indietro nel tempo, basta chiedere a chi ha vissuto i cupi, terribili, lugubri, cruenti, anni Settanta, una guerra civile a bassa intensità, ma con il suo carico drammatico di morti e dolori.

Non solo sui tanto vituperati social, ma anche nel novero di chi si considera gente perbene il dibattito pubblico sta diventando un’arena di odiatori senza freni. Si contano a decine non solo gli insulti sanguinosi e le invettive atroci, ma anche i proclami minacciosi, l’augurio della morte per il nemico: fare un elenco dei frammenti di odio prenderebbe lo spazio di quattro «Particelle elementari», ma ho annotato tutto e in privato potrei enumerare le pallottole verbali sparate da ambo i fronti (ribadisco: da ambo i fronti).

Lo spazio per il conflitto aspro che dovrebbe arricchire le democrazie liberali si sta desertificando. Anche la vis polemica, la veemenza, la passione incandescente delle idee e delle opinioni si sta deformando in una rissa tra guappi che emettono bagliori di lame tra vicoli malfamati.

Nei talk show squadracce di professionisti dell’urlo rauco, tra ospiti e conduttori, vengono reclutate per degradare ogni argomento a cazzotto non regolamentare. Il nemico va umiliato, annichilito, caricaturizzato, disumanizzato. Ma attenzione, così finisce male.

E a costo di beccarmi come al solito di «terzista» e «cerchiobottista», vorrei sottrarmi a questi conati di guerra civile, perché nelle democrazie non c’è spazio per l’annientamento del nemico, ma perla sconfitta dell’avversario. Non è una questione di stile e di etichetta (chi se ne importa) ma di sostanza democratica.

Occhio, se non si capisce questo, davvero finisce male. Per tutti.

Pierluigi Battista       Il Corriere  1/7/2019

 

 

Carola e Salvini, uno scontro di civiltà

Fortezza Europa. Ci troviamo di fronte a uno scontro che non separa nazioni, religioni o continenti, ma persone che vivono una accanto all’altra e persino all’interno di ciascuno di noi

Carola Rackete è una donna coraggiosa e solidale che sfida l’arresto per restituire la vita ai naufraghi che è andata a salvare. Matteo Salvini è un uomo vigliacco e cinico che si è sottratto al processo che lo vedeva imputato, per continuare a destinare a morte e tortura i profughi sulla cui dannazione ha costruito la sua carriera.

Ai piedi di Salvini si è radunato un esercito, in parte organizzato, in parte spontaneo, di persone che con un linguaggio violento, maschilista e volgare – come si evince dalla sua onnipresenza sul web – sembra ritenere che il proprio futuro dipenda dall’abbandono, dall’annegamento, dalla tortura e dallo stupro di migliaia di altri esseri umani.

Ciò che accade al di là dei patri confini non li interessa: il ruolo di aguzzini per ora lo delegano ad altri (anche quando a farne le spese sono degli italiani come Giulio Regeni. In quel caso il motto è «prima gli affari»; o «prima gli egiziani»). Domani – come insegna la storia – potrebbe toccare a loro la parte delle vittime, oppure quella di «volonterosi carnefici».

Intorno a Carola si stanno invece raccogliendo – come già intorno alla mite figura di Mimmo Lucano – tutte le persone che pongono il valore della vita umana al di sopra di ogni altra considerazione; e necessariamente ne nasce un aspro confronto con i seguaci di Salvini. Il primo impatto è con il loro linguaggio maschilista e razzista. Ne abbiamo orrore, anche perché sappiamo che quelle parole, quei tweet, trasportano violenza vera; un universo di orrore, un disprezzo per la vita – quella altrui, ma alla fine anche la propria – che dilaga in ogni angolo della nostra comune esistenza.

Ci troviamo così di fronte a un vero «scontro di civiltà» (Carola e Salvini ne sono i simboli) che non separa nazioni, religioni o continenti, ma persone che vivono una accanto all’altra (gli «italiani»: non tutti amati da Salvini che finge invece di volerli difendere tutti) e persino all’interno di ciascuno di noi, o di alcune delle persone che frequentiamo, che per lo più non sono della Lega.

E a dover fare i conti con gli argomenti che stanno all’origine di quello scontro di civiltà: «non possiamo accogliere tutti», «non c’è posto», «perché non se ne stanno a casa loro?» e, come alibi, ormai in disuso, «aiutiamoli a casa loro». Abbiamo delle risposte? Sì, ma escono dal seminato mainstream: quello che martellano tutti i giorni politici, media e «giornaloni» (compreso quello di Travaglio, che sul punto è allineato con quelli che finge di combattere).

Intanto Salvini, che strilla tutti i giorni contro gli altri Governi dell’Unione europea – tranne quelli che più si adoperano per affondare sia lui che l’Italia – sta rendendo loro un gran servizio: caricare su di sé la responsabilità di una politica di respingimenti promossa in realtà al gran completo proprio da quell’Europa dell’austerità che Salvini finge di combattere; una politica alimentata da Frontex (ora Agenzia europea della guardia di frontiera costiera) in combutta con tutti i servizi segreti degli Stati membri. Insomma, gli leva le castagne dal fuoco.

Ma né Salvini né l’Ue fermeranno il flusso dei profughi. Non li fermano nemmeno ora: arrivano a Lampedusa a centinaia ogni settimana e lui non lo dice; ma arriveranno sempre di più quanto più peggioreranno le condizioni dei loro paesi di origine per via di guerre e dittature provocate dal saccheggio dei loro territori e dal degrado generato dal cambiamento climatico: imputabile non a loro ma alle economie dei paesi «sviluppati» ed «emergenti».

E anche qui la politica di Salvini, che è un negazionista climatico, si sposa con quella dell’Ue, che invece si professa fedele agli accordi di Parigi, ma che li rinnega ogni giorno con le sue politiche, nonostante che i climatologi avvertano che abbiamo solo più pochi anni per impedire che il clima che ha reso possibile la vita della specie umana sulla Terra cambi in modo irreversibile.

E così, avanti con guerre, fabbricazione e vendita di armi, pompaggio di idrocarburi, gasdotti, autostrade, gallerie, olimpiadi, «grandi opere», ecc. Quello scontro di civiltà che ora percepiamo attraverso i suoi simboli (Carola e Salvini) si salda qui alle sue radici reali: se non preserviamo il pianeta non salviamo nemmeno la vita delle prossime generazioni, moltiplichiamo i profughi che cercano un luogo in cui trovare riparo, degradiamo la convivenza, ci arrendiamo al cinismo dilagante, trasformiamo la Fortezza Europa in un carcere per tutti, noi compresi.

Abbiamo poco tempo; ma solidarietà e rispetto per chi sta peggio di noi, e soffre più di noi, sono condizioni ineludibili del rispetto per noi stessi e per chi ci vive accanto. Entrambi si radicano nel rispetto per la Terra e per l’ambiente, visti non più come una miniera da sfruttare, bensì come nostri compagni di viaggio i cui cicli vitali vanno salvaguardati.

Per farlo occorre innanzitutto invertire il trend precipitoso dei cambiamenti climatici in corso con la conversione ecologica: grandi piani di investimenti che possono offrire nuove e più accettabili occasioni di lavoro a tutti, compresi i tanti o pochi migranti che arriveranno in Europa, che avrà sempre più bisogno di loro; ma soprattutto che possono permettere ai migranti che vorranno (e lo vogliono in molti) far ritorno liberamente nelle loro terre di origine, o alternarsi tra l’Europa e il loro paese, di contribuire anche là alla rigenerazione ambientale e sociale dei loro massacrati territori.

Guido Viola        Il manifesto   30/6/2019

 

 

La Sea Watch 3 e l’escalation antiumanitaria

“Non esiste che un Paese come il nostro si faccia dettare le scelte in materia di immigrazione da una Ong pagata da chissà chi per fare chissà cosa”, ha dichiarato il ministro dell’Interno italiano a proposito della Sea Watch 3. Aggiungendo che, per quanto lo riguarda, quella nave e i disperati che ospita possono rimanere al largo di Lampedusa “fino a Natale o Capodanno”, perché non sono un problema suo. Se ne deduce che l’Italia può farsi dettare le scelte in materia di immigrazione dai trafficanti di esseri umani abbastanza furbi da portare la loro “merce” fino ai confini delle acque territoriali e lì abbandonarli, perché vengano soccorsi dalla marina italiana.

Se invece chi li trasporta, dopo averli soccorsi, è una Ong che non ci guadagna nulla, anzi ci mette del suo, salvo rischiare arresti e sequestro da parte delle autorità italiane, allora non va bene, anche se la sua richiesta di approdo in Italia (e di rifiuto di riportare il suo carico in Libia) corrisponde alla lettera alle regole internazionali che definiscono i porti sicuri e insicuri.

Con il braccio di ferro messo in atto questa volta il ministro dell’Interno sembra aver compiuto un passo ulteriore nella escalation anti-migranti e anti-umanità iniziata da che ha assunto le sue funzioni. Non basta più aver creato praticamente un deserto di umanità nel mare Mediterraneo, che profughi e aspiranti migranti economici continuano testardamente a voler attraversare in mancanza di alternative legali, lasciando di fatto solo ai pescherecci e alle navi mercantili che casualmente li incrociano di decidere se “vederli”, quindi se salvarli oppure no. Con il rischio che siano tentati di “non vederli”, perché non sanno se e quanto questo costerà loro in termini di accuse di fare il gioco degli scafisti, di collaborare al traffico di umani, di incappare nel “fermo” della nave o in multe. Non basta più neppure tenere in ostaggio i migranti sulle navi che li hanno salvati per fare pressione su altri Paesi (non quelli degli amici sovranisti, però) perché se li prendano loro, mentre ostinatamente non ci si siede al tavolo della riforma degli accordi di Dublino.

Questa volta, infatti, nonostante il ministro dell’Interno ripeta che è una faccenda che riguarda i tedeschi e gli olandesi, perché tedesca è l’Ong che guida l’iniziativa di salvataggio e olandese è la bandiera della nave – uno schema cui era già ricorso altre volte in passato – rifiuta l’offerta di una città tedesca di accogliere tutti i migranti a bordo, così come rifiuta, sbeffeggiandolo, l’offerta dell’arcivescovo di Torino di  provvedere lui, con la sua diocesi, all’ospitalità.

Vuole dare una “lezione esemplare” a chiunque si azzardi a voler salvare in mare un migrante senza trarne profitto: quei particolari migranti non devono metter piede in Italia, neppure in transito. Se questo braccio di ferro produrrà atti di disperazione, gli potrebbe persino convenire. Potrebbe additare come colpevoli del disastro i migranti stessi, la Ong che li ha salvati, la stessa Unione europea. Inoltre, tenendo l’attenzione sui disgraziati della Sea Watch distoglie l’attenzione dai migranti portati dai trafficanti veri, così come da quelli, i cosiddetti “dublinanti”, che ci vengono rimandati da Germania, Svizzera e Francia, con il nostro consenso e in virtù dell’accordo di Dublino.

Questa escalation ha dal punto di vista politico esclusivamente un valore simbolico, ma ha un costo intollerabile per le persone le cui vite sono così cinicamente strumentalizzate.

Non sarà affar suo, ma è affar nostro, dell’Italia come Paese e di noi tutti come cittadini che assistiamo impotenti allo strame quotidiano delle norme basilari di civiltà da parte del ministro degli Interni, senza che dal governo, a partire dal premier Conte, si levi una voce che dica che non si può agire così; che l’Italia, pur con tutte le buone ragioni che può avanzare nei confronti sia dei Paesi di provenienza sia dell’Unione europea, non può andare contro le norme di diritto internazionale e prima ancora contro quelle di civiltà.

Sono sicura che il presidente Mattarella stia mettendo in campo tutte le sue risorse di moral suasion. Ma credo che molti cittadini si sentirebbero confortati e rassicurati se la sua voce su questi punti arrivasse ancora una volta – dopo che già si era espresso chiaramente nei giorni scorsi, in occasione della Giornata del rifugiato – anche all’esterno. Coloro che ritengono del tutto normale il comportamento del ministro dell’Interno e il modo in cui ci rappresenta avrebbero qualche elemento di riflessione critica in più, se solo volessero coglierlo.

Chiara Saraceno        Il Mulino online     26/6/2019

 

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