Lo Stato deve educare, se la politica usa parole brutali, l’etica svanisce nella piazza.

Il compito di uno Stato di diritto è garantire libertà e sicurezza ai cittadini. Se il capitano di una nave vìola la legge è doveroso (e automatico) che lo Stato provveda, con le competenze e gli organismi adeguati, a indagare ed eventualmente a punire il capitano. Con le aggravanti e le attenuanti del caso.

In una presunta Unione Europea, tutti gli Stati dovrebbero inoltre cooperare per assicurare i diritti umani, anziché lasciare solo sia chi fugge dalla fame attraverso il Mediterraneo sia chi è nelle condizioni naturali di intervenire per aiutare altri esseri viventi, a salvarsi dal mare. Da queste banali considerazioni, il balzo alla cruda realtà di Lampedusa sembra frutto di un salto dimensionale (e culturale). Come è stato possibile sprofondare il Paese in una violenta e volgare arena di odio come quella che si è materializzata allo sbarco di Carola Rackete sull’isola più a sud d’Italia?

La capitana della Sea Watch è stata accolta da insulti e urla da persone che le hanno augurato di subire violenze sessuali dagli stessi uomini africani che aveva appena salvato dal mare. Un’eruzione di minacce che travalicano l’antagonismo politico, sbaragliano le ataviche guerre tra poveri e finiscono nel disegnare un Paese civicamente allo sbando.

Rakete ha violato la legge con l’attenuante umanitaria, va indagata. Da qui ad augurarle sofferenze fisiche sulla piazza di Lampedusa e ancor peggio sulla sterminata galassia social, il passo è immenso. Perché la pancia del Paese non riesce a fermarsi a una condanna severa e partigiana, ma nel limite della legge della civiltà? Perché scagliarsi con quel livore sanguinario?

È anche colpa della politica, che da decenni anziché affrontare i problemi reali si limita a un’infinita contesa elettorale. Che anziché discutere sul merito si sfida in un’eterna narrazione identitaria o anti-identitaria, senza possibili vie di mediazioni e degradando verso il fango. Per bocca (o tastiera) di molti sfocia nell’insulto, nell’invettiva, proprio in quei processi sommari che ha chiesto la piazza di Lampedusa.

Di fronte a questo scenario, Matteo Salvini, il politico attualmente più abile a comunicare attraverso il rutilante mondo dei social, dovrebbe ricordarsi di essere il ministro dell’Interno, un uomo di Stato, garante di quella sicurezza che il suo dicastero presiede. Invece, anche lui ha vergato parole sopra le righe, chiedendo giustizia sommaria senza aspettare sentenze o processi, applicando per settimane a ogni tema delicato (specie su migrazioni e sicurezza) un linguaggio brutale, non da uomo di Stato. Ha identificato la forza dello Stato in una forza muscolare che prescinde dall’etica del diritto.

Lo Stato, la convivenza civile, si reggono invece su un codice di regole e valori che contempla una civiltà del linguaggio e della forza pubblica. Se si rompe quell’equilibrio, quel patto sociale, allora crolla ogni limite, ogni remora, ogni concetto di rispetto. Se l’argine etico e civile dello Stato si rompe, la legge del taglione dilaga in campo aperto. Non servono atti, basta il linguaggio, perché “la lingua è più del sangue”, diceva Franz Rosenzweig e quando la comunicazione promuove il conflitto diventa solo fonte di odio.

La forza dello Stato deve andare in senso contrario: deve educare. Se invece trasforma in uno scontro da stadio il braccio di ferro con una Ong, guidata da un privato straniero molto abile a sfruttare la sceneggiata mediatica, allora lo Stato diseduca.

E diventa paradossale, a guerra cominciata, sapere che mentre i 40 della Sea Watch aspettavano che si consumasse lo scontro a colpi di tweet, decine di altri migranti sbarcavano indisturbati fuori dal cono di luce delle telecamere, sulla stessa banchina degli insulti e dell’odio.

Giovanni Mari        Il Secolo XIX   30 giugno 2019

 

 

Disobbedire contro una legge ingiusta è l’unica scelta, ci disse Thoreau

In queste settimane, il panorama italiano ed europeo è infiammato dalla vicenda di Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3, che ha condotto nel porto di Lampedusa 42 migranti. L’arresto di Rackete non è stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari di Agrigento Alessandra Vella, che escluso il reato di resistenza e violenza a nave da guerra e confermato che la capitana ha agito per “l’adempimento di un dovere”. Restano aperte invece le indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Salvini, intanto, aveva richiesto che Rackete fosse espulsa, ma il pm ha negato il nullaosta.

Sulla Sea Watch 3 e sulla sua capitana è stato detto di tutto: Carola Rackete è stata insultata, offesa, ma anche sostenuta e incoraggiata. Anche dopo la mancata convalida del gip, Salvini ha definito la capitana una “criminale […] pericolosa per la sicurezza nazionale”. Di fatto, il gesto della capitana ha completamente spaccato l’opinione pubblica in due, per cui è diventato impossibile restare indifferenti. Non si può più guardare dall’altra parte perché la capitana, con tale decisione, ha dimostrato come sia possibile mettere in difficoltà l’intera politica di un Paese attraverso un gesto di disobbedienza civile.

Il gesto di Carola Rackete è politico perché ha dimostrato che una legge, il Decreto Salvini, è tanto inefficace, quanto ingiusta; ha causato una rottura tale per cui adesso non può che seguire un cambiamento. E l’ordinanza del gip di Agrigento sembra proprio confermarlo: sul Decreto Sicurezza prevalgono il diritto internazionale e la nostra Costituzione.

Henry David Thoreau, 1817- 1862

Azioni di questo genere emergono di fronte a un governo che non considera più i singoli, ma li accomuna in un essere indefinito senza nome, senza forma, in leggi che non salvaguardano nessuno, se non lo Stato stesso.

Se una legge è ingiusta, la si può infrangere: Martin Luther King fu imprigionato per avere partecipato a una manifestazione contro la segregazione razziale; o ancora Mahatma Gandhi fu arrestato con l’accusa di sovversione, perché non tacque di fronte alle ingiustizie degli inglesi. Questi atti singoli sono più significativi di ogni legge; anzi, sono proprio gli atti che contribuirono a mettere in discussione le leggi considerate ingiuste.

Che si tratti di diritti degli indiani, dei migranti o degli afroamericani, la sostanza non cambia: Carola Rackete e chi l’ha preceduta hanno portato alla luce le crepe di un governo inadeguato, e lo hanno fatto attraverso una resistenza non violenta, o meglio un atto di disobbedienza civile, andando consapevolmente incontro alle conseguenze legali che questa comporta.

Tra coloro che hanno teorizzato l’idea che il cittadino abbia il dovere di ribellarsi a una legge ingiusta c’è Henry David Thoreau con il suo saggio Disobbedienza civile, a cui Luther King e Gandhi si ispirarono e in cui è possibile trovare la ragione del gesto di Carola Rackete. Thoreau, filosofo e scrittore americano del Diciannovesimo secolo, si rifiutò di pagare una tassa dello Stato del Massachusetts in quanto contrario al suo governo schiavista e alla guerra che stava conducendo contro il Messico. Questo gli costò una notte in galera, e da questa esperienza nacque il saggio Disobbedienza civile.

Per comprendere quanto il gesto di Rackete sia incredibilmente descritto in un testo composto quasi 200 anni fa, bisogna partire dalla fine, nel momento in cui Thoreau afferma che “Non vi sarà mai uno Stato veramente libero e illuminato, fino a quando lo Stato non giungerà a riconoscere l’individuo come una forza più alta e indipendente, dalla quale deriva tutto il suo potere e la sua autorità, e lo tratterà di conseguenza”.

Uno Stato giusto non è fatto di masse informi, che per giunta insultano e minacciano di stupro chi ha compiuto una scelta difficile e coraggiosa, perché spesso la folla perde la sua identità; lo Stato è fatto di persone, individui tutti diversi fra loro.

Uno Stato diviene ingiusto, dice Thoreau, “quando gli uomini sono di paglia e di carne”, ovvero quando hanno perso la loro capacità di giudizio; il singolo, perciò, con il suo gesto di indipendenza, mette in crisi un governo-meccanismo, che non ha volontà o ragione.

Thoreau sostiene che “lo Stato è uno stupido” che non ha discernimento e che per questo può essere gettato in confusione da un’unica decisione.

Il governo italiano, che non segue alcuna direzione se non quella dell’istinto rabbioso di autoconservazione, si è così rivelato fragile di fronte a una sola persona, Carola Rackete, che sapeva perfettamente dove andare. Seguendo il pensiero di Thoreau, un governo ingiusto non poteva che agire imprigionando Rackete, per demonizzare il suo gesto. Ma è ancora Thoreau che dice che “sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto è la prigione”.

Il gesto di Carola Rackete era necessario, perché “un uomo non deve fare tutto, ma qualcosa”.

La vittoria di uno Stato ingiusto, dice Thoreau, si ha quando gli uomini oppongono resistenza solo formalmente, dichiarandosi contrari, ma restando poi immobili nella loro condizione. Se le tragedie di cui gli uomini si vergognano sono state consumate nel silenzio di tutti, il cambiamento si ottiene quando lo Stato, con le sue leggi ingiuste, si schianta contro la fermezza di un singolo.

Rackete incarna il dubbio di Thoreau: “Le leggi ingiuste esistono: dobbiamo essere contenti di obbedirvi, o dobbiamo tentare di emendarle, obbedendovi fino a quando non saremo riusciti nel nostro intento, oppure ancora dobbiamo trasgredirle da subito?”. La disobbedienza civile restituisce dignità alle persone che i governi disumanizzano per mantenere il loro status. La disobbedienza civile è indispensabile per ricordare che prima ancora di essere cittadini, siamo esseri umani, e non può esistere alcun governo senza di essi.

Se Thoreau paventava che i cittadini americani avrebbero votato a favore dell’abolizione della schiavitù soltanto quando quest’ultima non avesse più interessato nessuno, noi non possiamo aspettare di aiutare i migranti quando non ce ne saranno più, perché dispersi in mare. Thoreau insegna che un governo giusto dovrebbe essere costituito da uomini capaci di giudicare con coscienza l’efficacia di una legge non in base al proprio profitto, ma al suo valore per la dignità umana. Chi obbedisce a uno Stato ingiusto senza farsi domande, lo legittima, e perde tutta la propria umanità, divenendo niente di più che un bullone in una grande macchina.

Il saggio Disobbedienza civile, anche se scritto quasi due secoli fa, resta più che mai attuale: “Se ho ingiustamente strappato la tavola a cui si aggrappava a un uomo che sta per annegare, devo restituirgliela, a costo di annegare io stesso”. Carola Rackete ha ricordato che i cittadini hanno una coscienza e hanno il dovere di usarla.

Fabiana Castellino     in The Vision 4 luglio 2019

 

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