GLR CONSIDERAZIONI (72)
ANNO VI DEL REGIME SANITARIO-ECOLOGICO-DIGITALE
Le altre “GLR-CONSIDERAZIONI ” le trovate QUI
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Lo scenario peggiore: la vittoria totale dell’Occidente
La situazione riguardante i contendenti dell’attuale guerra mondiale “controllata”, è la seguente:
1) L’Occidente è permanentemente proattivo, continuamente proteso a rompere gli equilibri presistenti. Gli avversari dell’Occidente, sono sempre e solo in posizione re-attiva o difensiva.
2) L’Occidente giustifica le proprie azioni in ragione della propria forza e del proprio suprematismo morale. Gli avversari dell’Occidente, invece, invocano invano il diritto internazionale.
3) L’Occidente agisce con più stati coalizzati assieme contro un solo avversario. Gli avversari dell’Occidente affrontano quest’ultimo da soli, ognuno per conto proprio.
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Senza un’alleanza militare contro l’Occidente, una volta che il processo di sviluppo esponenziale degli armamenti da parte di USA ed Europa sarà tra sei-sette anni ultimato, l’azione occidentale già oggi dettante i tavoli da gioco e le tempistiche, diverrà inarrestabile.
1) La Russia, avendo lasciato preparare a europei e americani il tempo di riarmarsi senza intervenire, sarà travolta.
2) La Cina, convinta che una visione confuciana e distaccata del mondo alla lunga risolva tutto, sarà travolta.
3) Gli altri paesi Brics, privi di visione globale, saranno travolti.
Il mondo diventerà unipolare, l’Europa tornerà a essere sottomessa agli Stati Uniti per i prossimi cento anni e le società umane saranno governate direttamente dalle multinazionali. Riusciranno a capire i paesi avversari dell’Occidente che, senza un cambio deciso di contesto, l’unico scenario possibile è quello sopra descritto?
Riccardo Paccosi, https://www.ariannaeditrice.it/13/6/2025
Loro. Quelli dell’aristocrazia finanziaria-usuraia che hanno in mano tutti i veri fili del gioco micidiale in corso. Loro. Con il loro progetto criminale globale chiamato Grande Reset ( leggi articoli QUI) e la loro diabolica Agenda 2030 ( leggi QUI).
Loro stanno creando una società militarizzata con le persone inquadrate e prive di ogni autonomia, di muoversi, di avere dei soldi propri e un lavoro proprio. Una società di soldatini, obbedienti e privi di ogni autonomia che sostenga il senso critico e la capacità di ribellarsi. Una terribile stabilizzazione neo-liberista.
Lo spauracchio della guerra potrebbe alimentare le politiche folli di controllo totale dei cittadini ( leggi articoli QUI). La guerra come pretesto per militarizzare, irregimentare, condizionare le popolazioni. ed individuare come sabotatori coloro che non accettano queste “politiche” dell’Occidente.
Per loro una nuova egemonia mondiale e un “nuova normalità” per ciascuno di noi. Forse noi addirittura complici dei nostri oppressori. (GLR)
LA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’. LA SORVEGLIANZA DI MASSA. LE DEMOCRAZIE LIBERALI DEBBONO FINIRE. L’ESSERE UMANO PUO’ ESSERE SCHIACCIATO COME UNO SCARAFAGGIO. SIAMO SOTTOPOSTI AD UNA CUPOLA CRIMINALE GLOBALE CHE CI GOVERNA ATTRAVERSO UNA TECNOLOGIA SOFFOCANTE E NESSUNO DICE NIENTE. CI VEDONO E CI TRATTANO COME ESSERI INFERIORI ANCHE PERCHE’ CI COMPORTIAMO COME ESSERI INFERIORI. SIAMO PROPRIO DEI BIMBIMINKIA CHE FANNO TUTTO QUELLO CHE CI DICONO DI FARE. PER FORZA IL LORO PROGETTO E’ DI SFRONDARCI. SE NON CI LIBERIAMO DEL CANCRO DELLA LORO PROPAGANDA CHE E’ DENTRO DI NOI NON RITROVEREMO MAI LA NOSTRA DIGNITA’.
MARCIARE SU MOSCA
Giorgio Bianchi
Ascolta e vedi QUI
Questo che segue è il testo di Agamben che Giorgio Bianchi cita nel suo intervento.
Il complice e il sovrano
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla situazione politica estrema che abbiamo vissuto e dalla quale sarebbe ingenuo credere di essere usciti o anche soltanto di poter uscire.
Credo che anche fra di noi non tutti si siano resi conto che quel che abbiamo di fronte è più e altro di un flagrante abuso nell’esercizio del potere o di un pervertimento – per quanto grave – dei principi del diritto e delle istituzioni pubbliche.
Credo che ci troviamo piuttosto di fronte una linea d’ombra che, a differenza di quella del romanzo di Conrad, nessuna generazione può credere di poter impunemente scavalcare.
E se un giorno gli storici indagheranno su quello che è successo sotto la copertura della pandemia, risulterà, io credo, che la nostra società non aveva forse mai raggiunto un grado così estremo di efferatezza, di irresponsabilità e, insieme, di disfacimento.
Ho usato a ragione questi tre termini, legati oggi in un nodo borromeo, cioè un nodo in cui ciascun elemento non può essere sciolto dagli altri due. E se, come alcuni non senza ragione sostengono, la gravità di una situazione si misura dal numero delle uccisioni, credo che anche questo indice risulterà molto più elevato di quanto si è creduto o si finge di credere.
Prendendo in prestito da Lévi-Strauss (antropologo e filosofo francese, 1908-2009) un’espressione che aveva usato per l’Europa nella seconda guerra mondiale, si potrebbe dire che la nostra società ha «vomitato se stessa». Per questo io penso che non vi è per questa società una via di uscita dalla situazione in cui si è più o meno consapevolmente confinata, a meno che qualcosa o qualcuno non la metta da cima a fondo in questione.
Ma non è di questo che volevo parlarvi; mi preme piuttosto interrogarmi insieme a voi su quello che abbiamo fatto finora e possiamo continuare a fare in una tale situazione. Io condivido infatti pienamente le considerazioni contenute in un documento che è stato fatto circolare da Luca Marini quanto all’impossibilità di una rappacificazione. Non può esservi rappacificazione con chi ha detto e fatto quello che è stato detto e fatto in questi due anni.
Non abbiamo davanti a noi semplicemente degli uomini che si sono ingannati o hanno professato per qualche ragione delle opinioni erronee, che noi possiamo cercare di correggere. Chi pensa questo s’illude.
Abbiamo di fronte a noi qualcosa di diverso, una nuova figura dell’uomo e del cittadino, per usare due termini familiari alla nostra tradizione politica.
In ogni caso, si tratta di qualcosa che ha preso il posto di quella endiadi e che vi propongo di chiamare provvisoriamente con un termine tecnico del diritto penale: il complice – a patto di precisare che si tratta di una figura speciale di complicità, una complicità per così dire assoluta, nel senso che cercherò di spiegare.
Nella terminologia del diritto penale, il complice è colui che ha posto in essere una condotta che di per sé non costituisce reato, ma che contribuisce all’azione delittuosa di un altro soggetto, il reo. Noi ci siamo trovati e ci troviamo di fronte a individui – anzi a un’intera società – che si è fatta complice di un delitto il cui il reo è assente o comunque per essa innominabile.
Una situazione, cioè, paradossale, in cui vi sono solo complici, ma il reo manca, una situazione in cui tutti – che si tratti del presidente della Repubblica o del semplice cittadino, del ministro della salute o di un semplice medico – agiscono sempre come complici e mai come rei.
Credo che questa singolare situazione possa permetterci di leggere in una nuova prospettiva il patto hobbesiano (Thomas Hobbes, filosofo inglese 1588-1679).
Il contratto sociale ha assunto, cioè, la figura – che è forse la sua vera, estrema figura – di un patto di complicità senza il reo – e questo reo assente coincide con il sovrano il cui corpo è formato dalla stessa massa dei complici e non è perciò altro che l’incarnazione di questa generale complicità, di questo essere com-plici, cioè piegati insieme, di tutti i singoli individui.
Una società di complici è più oppressiva e soffocante di qualsiasi dittatura, perché chi non partecipa della complicità – il non-complice – è puramente e semplicemente escluso dal patto sociale, non ha più luogo nella città.
Vi è anche un altro senso in cui si può parlare di complicità, ed è la complicità non tanto e non solo fra il cittadino e il sovrano, quanto anche e piuttosto fra l’uomo e il cittadino.
Hannah Arendt ( filosofa statunitense, 1906-1975) ha più volte mostrato quanto la relazione fra questi due termini sia ambigua e come nelle Dichiarazioni dei diritti sia in realtà in questione l’iscrizione della nascita, cioè della vita biologica dell’individuo, nell’ordine giuridico-politico dello Stato nazione moderno.
I diritti sono attribuiti all’uomo soltanto nella misura in cui questi è il presupposto immediatamente dileguante del cittadino. L’emergere in pianta stabile nel nostro tempo dell’uomo come tale è la spia di una crisi irreparabile in quella finzione dell’identità fra uomo e cittadino su cui si fonda la sovranità dello stato moderno.
Quella che noi abbiamo oggi di fronte è una nuova configurazione di questo rapporto, in cui l’uomo non trapassa più dialetticamente nel cittadino, ma stabilisce con questo una singolare relazione, nel senso che, con la natività del suo corpo, egli fornisce al cittadino la complicità di cui ha bisogno per costituirsi politicamente, e il cittadino da parte sua si dichiara complice della vita dell’uomo, di cui assume la cura.
Questa complicità, lo avrete capito, è la biopolitica, che ha oggi raggiunto la sua estrema – e speriamo ultima – configurazione.
La domanda che volevo porvi è allora questa: in che misura possiamo ancora sentirci obbligati rispetto a questa società? O se, come credo, ci sentiamo malgrado tutto in qualche modo ancora obbligati, secondo quali modalità e entro quali limiti possiamo rispondere a questa obbligazione e parlare pubblicamente?
Non ho una risposta esauriente, posso soltanto dirvi, come il poeta, quel che so di non poter più fare.
Io non posso più, di fronte a un medico o a chiunque denunci il modo perverso in cui è stata usata in questi due anni la medicina, non mettere innanzitutto in questione la stessa medicina. Se non si ripensa da capo che cosa è progressivamente diventata la medicina e forse l’intera scienza di cui essa ritiene di far parte, non si potrà in alcun modo sperare di arrestarne la corsa letale.
Io non posso più, di fronte a un giurista o a chiunque denunci il modo in cui il diritto e la costituzione sono stati manipolati e traditi, non revocare innanzitutto in questione il diritto e la costituzione.
È forse necessario, per non parlare del presente, che ricordi qui che né Mussolini né Hitler ebbero bisogno di mettere in questione le costituzioni vigenti in Italia e in Germania, ma trovarono anzi in esse i dispositivi di cui avevano bisogno per instaurare i loro regimi? È possibile, cioè, che il gesto di chi cerchi oggi di fondare sulla costituzione e sui diritti la sua battaglia sia già sconfitto in partenza.
Se ho evocato questa mia duplice impossibilità, non è infatti in nome di vaghi principi metastorici, ma, al contrario, come conseguenza inaggirabile di una precisa analisi della situazione storica in cui ci troviamo. È come se certe procedure o certi principi in cui si credeva o, piuttosto, si fingeva di credere avessero ora mostrato il loro vero volto, che non possiamo omettere di guardare.
Non intendo con questo, svalutare o considerare inutile il lavoro critico che abbiamo svolto finora e che certamente anche oggi qui si continuerà a svolgere con rigore e acutezza. Questo lavoro può essere ed è senz’altro tatticamente utile, ma sarebbe dar prova di cecità identificarlo semplicemente con una strategia a lungo termine.
In questa prospettiva molto resta ancora da fare e potrà essere fatto solo lasciando cadere senza riserve concetti e verità che davamo per scontati. Il lavoro che ci sta davanti può cominciare, secondo una bella immagine di Anna Maria Ortese ( scrittrice italiana, 1914-1988) , solo là dove tutto è perduto, senza compromessi e senza nostalgie.
Giorgio Agamben, intervento alla commissione DU.PRE del 28-XI-2022.
Agamben è un filosofo italiano di fama mondiale. Ha scritto opere che spaziano dall’estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei concetti, proponendo interpretazioni originali di categorie come forma di vita, homo sacer, stato di eccezione e biopolitica. Già dal 2020 ha preso posizione contro la strategia del
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