GLR – CONSIDERAZIONI   (57)

ANNO V DEL REGIME SANITARIO-ECOLOGICO-DIGITALE

Le altre “GRL-CONSIDERAZIONI ” le trovate  QUI

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Alessandro Manzoni, nel suo ” I Promessi Sposi“, ogni tanto si rivolgeva direttamente ai suoi “25 lettori“. Noi del GLR non speriamo che i lettori del nostro sito ( con i suoi oltre 1300 articoli dal 2010) siano così tanti: non è, infatti, il nostro tempo devastato dal genocidio culturale, come diceva Pasolini ( leggi QUI), un tempo per siti web come il nostro e tanti altri simili.

Non è un tempo il nostro (pure aggravato dalle diaboliche strategie terrorizzanti del progetto criminale globale chiamato Grande Reset, leggi QUI ) un tempo per proporre su un sito web riflessioni e considerazioni di un filosofo come Giorgio Agamben ( molto presente nel nostro sito) su sovranità, menzogna, verità, politica e teatro quando sui social si preferisce seguire, per esempio, “l’alto pensiero” di una ferragna o di un fedez ( con i loro 29 milioni di follower…).

Ma noi del GLR insistiamo anche se sembra che amiamo “farci del male” dal punto di vista del successo mediatico mentre invece amiamo “farci molto del bene” dal punto di vista della crescita in consapevolezza e dignità.

Oggi ai nostri 10/15  lettori ( speriamo almeno) vogliamo ancora più bene proponendo, appunto, preziose considerazioni di  Agamben che non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni.

Prosit” a tutti voi, ” che giovi” a tutti voi. (GLR)

Giorgio Agamben (1942) e un filosofo italiano di fama mondiale. Ha scritto opere che spaziano dall’estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei concetti, proponendo interpretazioni originali di categorie come forma di vita, homo sacer, stato di eccezione e biopolitica. Già dal 2020 ha preso posizione contro la strategia del Grande Reset.

 

 

Da Gli anni trenta sono davanti a noi

……….

Dovunque i governi, quali che sia il loro colore e la loro collocazione, agiscono come esecutori di uno stesso testamento, accettato senza beneficio d’inventario.

Da ogni parte vediamo continuare ciecamente lo stesso illimitato processo di incremento produttivo e di sviluppo tecnologico che Gerard Granel ( filosofo francese, 1930-2000) denunciava, in cui la vita umana, ridotta alla sua base biologica, sembra rinunciare a ogni altra ispirazione che non sia la nuda vita e si mostra disposta a sacrificare senza riserve, come abbiamo visto negli ultimi tre anni, la propria esistenza politica.

Con la differenza, forse, che i segni dell’accecamento, dell’assenza di pensiero e di una probabile, imminente autodistruzione, che Granel evocava, si sono vertiginosamente moltiplicati.

Tutto fa pensare che stiamo entrando – almeno nelle società postindustriali dell’Occidente – nella fase estrema di un processo di cui non è possibile prevedere con certezza la fine, ma le cui conseguenze, se la consapevolezza dei limiti non tornerà a destarsi, potrebbero essere catastrofiche.

Giorgio Agamben, filosofo  https://www.quodlibet.it/,  15/1/2024

 

 

 

 

Stati sovrani e protettorati

I discorsi di coloro che parlano sui media di questioni di politica estera in Italia sono privi di ogni fondamento, perché fingono di ignorare che l’Italia non è una nazione sovrana, ma un protettorato.

Secondo il diritto internazionale, una nazione che ospita sul suo territorio un numero di basi (alcune delle quali segrete e piene di bombe atomiche) pari a quello che gli Stati uniti intrattengono in Italia non ha sovranità sulla sua politica estera, ma solo sulla sua politica interna; è, cioè, tecnicamente un protettorato.

Questo spiega perché il nuovo governo, che, definendosi di destra, avrebbe dovuto innanzitutto rivendicare uno statuto di piena sovranità, si è semplicemente uniformato, rispetto alla guerra in Ucraina, alle direttive dello Stato protettore.

Lasciamo immaginare a chi ne ha voglia che cosa avverrebbe, infatti, a un capo di stato che aprisse una vertenza sulla presenza delle basi degli Stati Uniti sul nostro territorio.


Eppure la questione va ben al di là di un problema di sovranità, dal momento che essa implica che, nel caso di una nuova guerra mondiale, l’Italia sarebbe il primo paese a subire un bombardamento nucleare che la distruggerebbe interamente.


È purtroppo inutile sperare che i giornalisti pagati dal potere per ora ancora dominante si pongano questo genere di problemi.

Giorgio Agamben, filosofo  https://www.quodlibet.it/,  17/1/2024

 

 

 

 

Teatro e politica

È quanto meno singolare che non ci si interroghi sul fatto, non meno imprevisto che inquietante, che il ruolo di leader politico sia nel nostro tempo sempre più spesso assunto da attori: è il caso di Zelensky in Ucraina, ma lo stesso era avvenuto in Italia con Grillo (eminenza grigia del Movimento 5 stelle) e ancor prima negli Stati Uniti con Reagan.

È certo possibile vedere in questo fenomeno una prova del tramonto della figura del politico di professione e dell’influsso crescente dei media e della propaganda su ogni aspetto della vita sociale; è però evidente in ogni caso che quanto sta avvenendo implica una trasformazione del rapporto fra politica e verità su cui occorre riflettere.

Che la politica avesse a che fare con la menzogna è, infatti, scontato; ma questo significava semplicemente che il politico, per raggiungere degli scopi che riteneva dal suo punto di vista veri, poteva senza troppi scrupoli dire il falso.


Quel che sta avvenendo sotto i nostri occhi è qualcosa di diverso: non vi è più un uso della menzogna per i propri fini politici, ma, al contrario, la menzogna è diventata in se stessa il fine della politica.


La politica è, cioè, puramente e semplicemente l’articolazione sociale del falso. Si capisce allora perché l’attore sia oggi necessariamente il paradigma del leader politico.

Secondo un paradosso che da Diderot (filosofo francese, 1713-1784) a Brecht (drammaturgo tedesco, 1898-1956) ci è diventato familiare.

II buon attore non è, infatti, quello che si identifica appassionatamente nella sua parte, ma colui che, conservando il suo sangue freddo, la tiene per così dire a distanza. Egli sembrerà tanto più vero, quanto meno nasconderà la sua menzogna.

La scena teatrale è, cioè, il luogo di un’operazione sulla verità e sulla menzogna, in cui si produce il vero esibendo il falso. Il sipario si solleva e si chiude proprio per ricordare agli spettatori l’irrealtà di quanto stanno vedendo.


Quel che definisce oggi la politica – divenuta, com’è stato efficacemente detto, la forma estrema dello spettacolo – è un inedito capovolgimento del rapporto teatrale fra verità e menzogna, che mira a produrre la menzogna attraverso una particolare operazione sulla verità.


La verità, come abbiamo potuto vedere in questi ultimi tre anni, non viene, infatti, occultata e resta anzi facilmente accessibile a chiunque abbia voglia di conoscerla; ma se prima – e non soltanto a teatro – si raggiungeva la verità mostrando e smascherando la falsità (veritas patefacit se ipsam et falsum), ora si produce invece la menzogna per così dire esibendo e smascherando la verità (di qui l’importanza decisiva del discorso sulle fake news).


Se il falso era un tempo un momento nel movimento della verità, ora la verità vale soltanto come un momento nel movimento del falso.


In questa situazione l’attore è per così dire di casa, anche se, rispetto al paradosso di Diderot, deve in qualche modo raddoppiarsi. Nessun sipario separa più la scena dalla realtà, che – secondo un espediente che i registi moderni ci hanno reso familiare, obbligando gli spettatori a partecipare alla recita. – diventa essa stessa teatro.

Se l’attore Zelensky risulta così convincente come leader politico è proprio perché egli riesce a proferire sempre e dovunque menzogne senza mai nascondere la verità, come se questa non fosse che una parte inaggirabile della sua recita.

Egli –come del resto la maggioranza dei leader dei paesi della Nato – non nega il fatto che i russi abbiano conquistato e annesso il 20 % per cento del territorio ucraino (che del resto è stato abbandonato da più di dodici milioni dei suoi abitanti) né che la sua controffensiva sia completamente fallita; nemmeno che, in una situazione in cui la sopravvivenza del suo paese dipende in tutto e per tutto da finanziamenti stranieri che possono cessare da un momento all’altro, né lui né l’Ucraina hanno davanti a sé alcuna reale possibilità.

Decisivo è per questo che, come attore, Zelensky provenga dalla commedia.

A differenza dell’eroe tragico, che deve soccombere alla realtà di fatti che non conosceva o che credeva non reali , il personaggio comico fa ridere perché non cessa di esibire l’irrealtà e l’assurdità delle sue stesse azioni.

L’Ucraina, un tempo chiamata la Piccola Russia, non è però una scena comica e la commedia di Zelensky non potrà in ultimo che convertirsi in un amara, realissima tragedia.

Giorgio Agamben, filosofo  https://www.quodlibet.it/,  19/1/2024

 

 

 

 

 


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