“Allahu Akbar!”, “Allahu Akbar!”, “Allahu Akbar!”.

Il grido assassino, ritmato dagli spari dei kalashnikov, che strozza il rumore felpato di una redazione di giornale in rue Nicolas Appert 10, al centro di Parigi, non è un neologismo dei tempi moderni, né la nuova, orrenda strategia inventata dagli estremisti islamici dell’Isis, ma l’aggiornamento agli anni duemila di una aberrazione antica quanto la storia dell’uomo. Non vogliamo sminuire la gravità e la drammaticità di quanto è accaduto a Parigi, ma semplicemente denunciare l’ipocrisia di quanti (e sono molti, molto più di quanto si possa immaginare) rivendicano per sé una innocenza inesistente, vantando una superiorità tutta presunta.

Quel grido osceno e assassino, noi occidentali lo abbiamo scritto, proclamato e patentato a più non posso, nelle più svariate traduzioni. Qui a noi preme ricordare le più recenti, tre in modo particolare. La versione storico-politica, tutta europea, del “Gott mit uns” (Dio con noi). Il motto, di origine teutonica, venne usato dai Re di Prussia e successivamente dagli imperatori tedeschi, fino a finire sulle fibbie dei centuroni dell’esercito del Reich tedesco e della Repubblica di Weimar.

C’è poi la versione economica, tutta americana, del “In God we trust“, consacrato motto nazionale nel Congresso del 1956 e che capeggia, impudente, sul dollaro Usa, quel dollaro ingrassato dal sudore degli schiavi, inzuppato del sangue di tutte le guerre di conquista, dall’odore affumicato delle canne dei fucili e delle pistole, nero plumbeo del catrame e del petrolio. Un storia che ha fatto scrivere a Raymond Chandler: “Organized crime is just the other (dirty) face of the dollar” [Il crimine organizzato è solo l'altra faccia (sporca) del dollaro]. Il presidente Theodore Roosevelt, invece, che era contrario all’uso del motto sulle monete perché lo riteneva sacrilego, è stato zittito!

C’è in fine la versione terroristica, tutta occidentale, del “Dio Patria e Famiglia” che ha fatto da belletto alle violenze fasciste in Italia e alle dittature sanguinarie di tutta l’America Latina, dal Messico al Cile, passando per il Guatemala di Rios Mont, El Salvador di Daubuisson, il Venezuela di Marcos Jiménez, la Bolivia di Garcia Meza , il Brasile di Castelo Branco, il Paraguay di Stroessner e l’Argentina di Videla.

Bene ebbe a scrivere Adrana Zarri, teologa, giornalista e scrittrice, a proposito di questo detto: “Dio mi sta bene, e anche la patria e la famiglia; ma il trilogismo Dio-Patria-Famiglia non mi sta più bene. Dico no a quel dio usato come cemento nazionale, a quella patria spesso usata per distruggere altre patrie, a quella famiglia chiusa nel proprio egoismo di sangue. Non mi riconosco tra quei cittadini ligi e osservanti che vanno in chiesa senza fede, che esaltano la famiglia senza amore, che osannano alla patria senza senso civico”!

“DIO”! Quale altra parola del linguaggio umano è stata così maltrattata, macchiata e deturpata? “Tutto il sangue innocente versato in suo nome le ha tolto il suo splendore. Tutte le ingiustizie che è stata costretta a coprire hanno offuscato la sua chiarezza”. (Martin Buber citato da Vito Mancuso in: Io e Dio p. 73). “Abbiamo esaltato all’infinito – scrive padre Ernesto Balducci -, sacralizzandoli, i nostri istinti di aggressività nell’idea di Dio. Dio è la cifra assoluta della aggressività umana. Il Dio a cui siamo stati assuefatti è un Dio aggressivo , discriminante, implacabile“. La narrazione di questo “Dio”, come si evince, è tutta occidentale, a dispetto di quanti vorrebbero vedere nell’Islam la fucina di tanto male. Da tempo, comunque, nutriamo il fondato sospetto che le truppe addestrate del Califfato non siano altro che un’organizzazione terroristica internazionale nella quale Dio fa solo da copertura.

P.S.
Sarebbe, ancora, da psicanalizzare l’ipocrisia di coloro che oggi consacrano eroi i giornalisti, soprattutto quelli che fino a ieri hanno criticato come libertini e dissacratori e che avrebbero fatto di tutto per metterli a tacere. Se la situazione non fosse tragica ci sarebbe da ridere, in ultimo, su questa ubriacatura mediatica che vuol fare della Francia la patria della Libertà di stampa. Nella classifica mondiale la Francia non è al 1° posto, bensì al 39°. Per non parlare dell’Italia, posta al 49°, dopo Niger e Haiti!

Don Aldo Antonelli,  parroco ad Antrosano (AQ),  in Huffington Post  9-1-2015

 

vedi: Noi bombardiamo. Loro esportano guerra.

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