“… e m‘arintontoniva de bugie” cantava Nino Manfredi in “Tanto pe’ cantà” nel 1970. Ricordate?

Ce lo dovremmo ricordare perchè oggi ad “arintontonirci de bugie” non è la fidanzata di cui cantava Manfredi ma è un intreccio di pseudo-giornalisti servili ( leggi QUI) a servizio di pseudo-scienziati opportunisti a servizio, a loro volta, del mainstream imposto dai “padroni del vapore”, cioè dalla gestrice del progetto criminale globale chiamato Grande Reset, l’aristocrazia finanziario-usuraia: la vera padrona del mondo così com’è oggi (leggi QUI).

Un “arintontonimento” che va dalla pseudo-pandemia ai vaccini, alle mascherine-bavaglio, al terrorismo pseudo-climatico, alle ragioni della guerra in corso, all’assoluta necessità di digitalizzare pure il respiro… e compagnia cantante. E troppi di noi a “fasse arintontonì” dal 2020.

D’altra parte ogni dittatura è fondata su bugie e menzogne e su un mare di creduloni. E il regime sanitario-ecologico-digitale, iniziato nel 2020, non fà eccezione.

Uno “scienziato” climatologo, in questo articolo complessivo, si confessa, ci fà capire cosa può divenire una “scienza” a servizio dei “padrini/padroni del vapore” che vogliono imporre una narrazione climatica catastrofista per derivarne nuove paure, nuove imposizioni conseguenti, nuove limitazioni della libertà e dei diritti, nuove vessazioni finanziare ed impoverimenti, nuovi confinamenti ( come nelle famigerate smart city: leggi QUI), nuovi lucrosi guadagni per le aziende che si occupano di transizione “green” ( come è stato ed è  per le aziende farmaceutiche che producono sieri genici non testati e fatti passare per vaccini: leggi QUI).

Dal covid al clima e poi di nuovo al neo-covid e poi ancora al clima ( leggi QUI): una narrazione fatta d’impaurimenti e bugie continui per tenerci soggiogati e ” arintontoniti” e renderci malleabili per la “nuova normalità” che le menti malate dell’aristocrazia finanziario-usuraia vagheggiano ( leggi QUI). Insieme al trionfo definitivo dell’iper- digitalizzazione della nostra esistenza in una nuova diabolica società futura del controllo e della sorveglianza continui.

Tonti, si, ma controllati. Non si sa mai che uno si “stontisce“… (GLR)


 

 

 

Nella ricerca sul clima, solo il catastrofismo è premiato

Un climatologo, Patrick T. Brown, si confessa con un articolo su The Free Press: per essere pubblicati sulle riviste più prestigiose e fare carriera, i climatologi sono spinti ad essere più catastrofisti. Ma è scienza?

Per essere pubblicati su riviste prestigiose e fare carriera, i climatologi devono focalizzare i loro studi sugli effetti del cambiamento climatico, omettendo le altre cause degli eventi estremi e suggerendo esclusivamente soluzioni che riguardino la riduzione delle emissioni di gas serra.

Ad ammetterlo è un climatologo, Patrick T. Brown, che su The Free Press ha scritto “Ho evitato di scrivere tutta la verità per far pubblicare il mio articolo sul cambiamento climatico”.

Lo studio di Brown riguardava l’impatto del cambiamento climatico sugli incendi, sull’onda delle fiamme estive che hanno divorato varie regioni dell’America, dalle Hawaii al Canada. Il ricercatore non nega affatto che vi sia questo impatto: il cambiamento climatico è un fattore importante per spiegare il fenomeno degli incendi. Ma il punto vero è che non è l’unico. Ci sono altri fattori che entrano in gioco e lo stesso autore ammette che l’80% degli incendi negli Stati Uniti siano provocati dall’uomo, per dolo o per colpa. Per essere pubblicati, però, è meglio concentrarsi solo sul cambiamento climatico, perché è ciò che interessa all’editore.

Scrive Brown: «Lo studio che ho appena pubblicato - Climate warming increases extreme daily wildfire growth risk in California – si concentra esclusivamente sul modo in cui il cambiamento climatico ha influenzato il comportamento degli incendi estremi. Sapevo di non dover cercare di quantificare aspetti chiave diversi dal cambiamento climatico nella mia ricerca perché avrebbe diluito la storia che riviste prestigiose come Nature e la sua rivale, Science, vogliono raccontare». La sua non è un’eccezione. Da quel che riferisce si tratterebbe di una regola generale: «Per dirla senza mezzi termini, la scienza del clima è diventata meno attenta a comprendere le complessità del mondo e più a servire come una sorta di Cassandra, avvertendo urgentemente il pubblico dei pericoli del cambiamento climatico».

Patrick T. Brown

 

Per scrivere un pezzo da buona Cassandra, l’autore cita tre semplici regole, da seguire se si vuole essere pubblicati sulle riviste più influenti, guadagnare citazioni e proseguire nella carriera accademica. La prima, appunto, è quella di parlare solo di cambiamento climatico e non di altre eventuali cause dei fenomeni studiati: «Questo tipo di inquadramento, con l’influenza del cambiamento climatico considerata irrealisticamente in modo isolato, è la norma per i documenti di ricerca di alto profilo. Per esempio, in un altro recente e influente articolo di Nature, gli scienziati hanno calcolato che i due maggiori impatti del cambiamento climatico sulla società sono le morti legate al caldo estremo e i danni all’agricoltura. Tuttavia, gli autori non menzionano mai che il cambiamento climatico non è il motore dominante di nessuno di questi impatti: le morti legate al caldo sono in calo e i raccolti sono aumentati per decenni, nonostante il cambiamento climatico».

La seconda regola è: ignorare provvedimenti pratici che permettano all’uomo di adattarsi al cambiamento climatico e mitigarne gli effetti. «Studiare le soluzioni, anziché concentrarsi sui problemi, semplicemente non susciterà l’interesse del pubblico o della stampa. Inoltre, molti scienziati del clima tendono a considerare l’intera prospettiva dell’adattamento tecnologico al cambiamento climatico come un’idea sbagliata; l’approccio giusto è quello di ridurre le emissioni. Quindi il ricercatore esperto sa che deve stare alla larga dalle soluzioni pratiche».

La terza è: impressionare il pubblico con numeri grandi: «Il nostro lavoro, ad esempio, avrebbe potuto concentrarsi su una metrica semplice e intuitiva come il numero di ettari in più bruciati o l’aumento dell’intensità degli incendi selvatici a causa del cambiamento climatico. Invece, abbiamo seguito la pratica comune di esaminare la variazione del rischio di un evento estremo – nel nostro caso, l’aumento del rischio di incendi che bruciano più di 10mila acri in un solo giorno».

Il sensazionalismo è dunque la norma, ad esempio «… è prassi comune valutare gli impatti sulla società utilizzando l’entità del cambiamento climatico a partire dalla rivoluzione industriale, ma ignorando i cambiamenti tecnologici e sociali avvenuti in quel periodo. Questo ha poco senso da un punto di vista pratico, poiché i cambiamenti sociali nella distribuzione della popolazione, nelle infrastrutture, nei comportamenti, nella preparazione ai disastri, ecc. hanno influenzato la nostra sensibilità agli eventi meteorologici estremi molto più di quanto non abbiano fatto i cambiamenti climatici a partire dal 1800. Lo dimostra, ad esempio, il drastico calo delle morti per disastri meteorologici e climatici nell’ultimo secolo. Allo stesso modo, è pratica comune calcolare gli impatti per spaventosi scenari ipotetici di riscaldamento futuro che mettono a dura prova la credibilità, ignorando i potenziali cambiamenti nella tecnologia e nella resilienza che ridurrebbero l’impatto».

Gli articoli divulgativi o i servizi nei telegiornali sono attinti da questi studi e sono, a loro volta, molto spesso, resi ancor più sensazionalistici tramite selezione dei dati e dei dettagli che possono far più notizia.

Questo ci dà la misura di quanto sia distorta l’informazione che ci arriva, quale prodotto finito, sul cambiamento climatico e i suoi effetti. E possiamo essere certi che non è solo nella climatologia che viene seguito questo approccio: siamo appena usciti da tre anni di pandemia dove, praticamente, vinceva il dibattito chi “urlava di più”.

Erano le previsioni dei milioni di morti di istituti di ricerca prestigiosi (come l’Imperial College di Londra) a dettare le soluzioni più draconiane dei governi europei.

Sia nel caso del clima che in quello del Covid, la dinamica è semplice. Chi lancia l’allarme attira l’attenzione, la sua ricerca diventa “importante” e degna di finanziamenti. Chi la riporta, sul proprio giornale, vende più copie. Chi traduce il catastrofismo in politica si sente indispensabile e come tale verrà percepito dall’elettorato. È una situazione in cui vincono tutti. Tranne la verità.

https://lanuovabq.it/ 7/9/2023

 

 

 

 

Vuoi pubblicare uno studio sul clima? «Non dire tutta la verità»

Il climatologo Patrick T. Brown racconta il circolo vizioso che porta gli scienziati che vogliono apparire sulle riviste più prestigiose a censurare idee e dati che non seguono il mainstream catastrofista. «Serve un cambiamento culturale»

Arriviamo dall’estate dell’ecoansia, due mesi in cui il racconto mediatico degli eventi meteorologici ha esondato nella climatologia da spiaggia, e ogni temporale, raffica di vento o incendio era indiscutibilmente causato dai cambiamenti climatici a loro volta causati dalle emissioni di gas serra dell’uomo.

Chi avanza dubbi è “negazionista”, chi non dice che «bisogna agire subito!» è antiscientifico .

La quasi totalità degli esperti di clima è d’accordo, abbiamo letto e sentito spesso, e tanto basta per applicare l’etichetta climate change su qualunque allarme per interrompere il dibattito.


Gli incendi e il cambiamento climatico

Prendiamo il caso degli incendi, che – come quasi sempre succede in estate – hanno colpito l’Italia, l’Europa, il Canada e, con conseguenze relativamente tragiche, anche le Hawaii. Di sicuro effetto visivo, le foto di foreste e boschi in fiamme hanno accompagnato per settimane quasi tutti gli articoli sull’emergenza climatica, come se l’effetto diretto del riscaldamento globale fossero le lingue di fuoco dell’inferno su questa terra. Piromani, scarsa prevenzione, disorganizzazione nei soccorsi, errori nelle fasi di evacuazione, mancanza di mezzi per contenere gli incendi erano note a piè di pagina, accidenti che i cronisti erano costretti a menzionare e che i titolisti erano autorizzati a ignorare.

«Sono uno scienziato del clima. E sebbene il cambiamento climatico sia un fattore importante che influenza gli incendi in molte parti del mondo, non è nemmeno lontanamente l’unico fattore che merita la nostra attenzione esclusiva». A scriverlo è Patrick T. Brown, climatologo con dottorato di ricerca e co-direttore del Climate and Energy Team presso il Breakthrough Institute. In un lungo intervento su The Free Press, Brown racconta di come è riuscito a farsi pubblicare da una delle riviste scientifiche più importanti al mondo, Nature, un articolo su clima e incendi, e di come per farlo abbia dovuto censurarsi.


«Non ho detto tutta la verità per pubblicare il mio studio»

«Non ho detto tutta la verità per pubblicare il mio paper sul cambiamento climatico», scrive sul portale diretto da Bari Weiss, la giornalista che lasciò il New York Times perché troppo ideologico e schierato dalla parte del politicamente corretto. «Perché la stampa si concentra così intensamente sul cambiamento climatico come causa principale [degli incendi]?», si chiede lo scienziato. Forse perché «si adatta a una trama semplice che premia la persona che la racconta», come ha sperimentato lui stesso nel suo documento pubblicato da Nature.

«Sapevo di non dover cercare di quantificare aspetti chiave diversi dal cambiamento climatico nella mia ricerca perché avrebbe diluito la storia che riviste prestigiose come Nature e la sua rivale, Science, vogliono raccontare». Per uno scienziato è di fondamentale importanza per gli scienziati essere pubblicati su riviste di alto profilo, in molti casi sono la strada per avere successo professionale nel mondo accademico. «Chi dirige queste riviste ha reso abbondantemente chiaro, sia con ciò che pubblicano sia con ciò che rifiutano, che vogliono paper sul clima che confermino alcune narrazioni pre-approvate, anche quando queste narrazioni vanno a scapito di una più ampia conoscenza per tutti dell’argomento».


La scienza del clima è una nuova Cassandra

Il fatto è che, spiega Brown, «la scienza del clima è usata sempre meno per comprendere le complessità del mondo, mentre la sua funzione è sempre più quella di fungere come una sorta di Cassandra, avvertendo allarmisticamente il pubblico sui pericoli del cambiamento climatico. Per quanto comprensibile possa essere questo istinto, distorce gran parte della ricerca scientifica sul clima, disinforma il pubblico e, soprattutto, rende più difficile trovare soluzioni pratiche». Brown descrive quello che negli anni è diventato un circuito vizioso praticamente perfetto: la carriera di un ricercatore dipende dal fatto che il suo lavoro venga ampiamente citato e percepito come importante, perché questo «innesca cicli di feedback auto-rinforzanti quali riconoscimento del nome, finanziamenti, domande di qualità da parte di aspiranti dottorandi e dottorandi e, naturalmente, riconoscimenti».

Ora si dà il caso che il numero di ricercatori negli Stati Uniti cresce ogni anno di più, e distinguersi dalla massa è sempre più difficile. I pregiudizi dei direttori di queste riviste, per forza, influenzano la produzione e il taglio che i ricercatori danno ai loro paper per essere pubblicati. «La prima cosa che l’astuto ricercatore climatico sa è che il suo lavoro dovrebbe sostenere la narrativa mainstream, vale a dire che gli effetti del cambiamento climatico sono sia pervasivi che catastrofici e che il modo principale per affrontarli non è impiegare misure pratiche di adattamento come infrastrutture più forti e più resilienti o, nel caso degli incendi, una migliore gestione delle foreste o linee elettriche sotterranee – ma attraverso politiche mirate a ridurre le emissioni di gas serra». A quel punto il gioco è fatto.


Non serve mentire, basta non dire tutto

Non serve mentire, basta non dire tutto: non è vero che il cambiamento climatico non ha alcuna influenza sugli incendi, solo però ci sono anche altri fattori che possono essere altrettanto o più importanti. Brown sapeva che approfondire l’influenza degli altri fattori avrebbe diminuito le possibilità di vedere il suo paper sulle pagine di Nature, spiega, e non l’ha fatto. Farlo avrebbe permesso una comprensione maggiore del problema e aiutato a trovare soluzioni migliori? Certamente, ma non sarebbe stato pubblicato.

Un altro esempio, ancora più clamoroso, è quello di un recente studio in cui gli autori sostengono che i due maggiori impatti dei cambiamenti climatici sulla società sono le morti legate al caldo estremo e i danni all’agricoltura. «Tuttavia, gli autori non menzionano mai che il cambiamento climatico non è il motore principale di nessuno di questi impatti: le morti legate al caldo sono in calo e i raccolti sono in aumento da decenni, nonostante cambiamento climatico». Riconoscerlo, però, implicherebbe il fatto di riconoscere l’esistenza di soluzioni di successo per mitigare le conseguenze del climate change diverse dal taglio delle emissioni.


Guai a indicare soluzioni diverse dal taglio di emissioni

E qui scatta la seconda regola non detta per scrivere un documento sul clima di successo: «Gli autori dovrebbero ignorare, o almeno minimizzare, le azioni pratiche che possono contrastare l’impatto del cambiamento climatico. Ma studiare le soluzioni invece di concentrarsi semplicemente sui problemi non susciterà l’interesse del pubblico, o della stampa. Inoltre, molti scienziati climatici tradizionali tendono a considerare sbagliata l’intera prospettiva di utilizzare la tecnologia per adattarsi al cambiamento climatico; affrontare il problema delle emissioni è l’approccio giusto. Quindi il ricercatore esperto sa stare lontano dalle soluzioni pratiche».


Brown elenca una serie di altri “trucchi” per farsi pubblicare, dall’utilizzo di metriche che generano numeri di più alti, non importa se inutili (non scrivere quanti chilometri quadrati di boschi e foreste vengono bruciati dagli incendi, metti in evidenza «l’aumento del rischio di incendi che bruciano più di 10.000 acri in un solo giorno»). C’è poi il classico trucco dello scenario catastrofico sul futuro prossimo che non tiene conto di come la tecnologia o una migliore gestione delle emergenze ha potuto e può risolvere diversi problemi: «Questo tipo di analisi più pratica è tuttavia scoraggiato, perché osservare i cambiamenti negli impatti su periodi di tempo più brevi e includere altri fattori rilevanti riduce l’entità calcolata dell’impatto del cambiamento climatico, e quindi indebolisce le ragioni a favore della riduzione delle emissioni di gas serra».

https://www.tempi.it/  7/9/2023

 

 

 

 

 

“Ho alterato il mio studio sul clima per farlo pubblicare da Nature

Da  La Verità del 7/9/2023



 

 

 

Oggi la scienza  è solo “narrativa dominante”

Da  La Verità del 10/9/2023


 

 

 

 

 

 

 

Dati falsificati per supportare le sciocchezze climatiche

I dati satellitari mostrano che la piattaforma di ghiaccio antartica è aumentata di massa di 661 giga tonnellate  tra il 2009 e il 2019 e come dice uno nuovo studio ( Andreasen et al., 2023 , “Change in Antarctic ice Shelf area from 2009 to 2019” ) “In totale, l’area della piattaforma di ghiaccio antartica è aumentata di 5.305 km² dal 2009, con 18 piattaforme che si ritirano e 16 piattaforme più grandi che aumentano di superficie”.

Insomma nella regione dei vulcani molte piccole aree perdono ghiaccio quando l’attività è più marcata, mentre altre aree molto più grandi e significative si estendono. 

Ma gli scienziati disonesti giocano e “correggono” questi dati per dare forza alle inconsistenti ipotesi della climatologia catastrofica: insomma non si va più dai dati alla teoria, ma dalla teoria ai dati  opportunamente corretti per supportarla.



Questa inversione può risultare più chiara se si prende in esame l’aumento del livello dei mari così come hanno fatto alcuni ricercatori  australiani : secondo i dati dei mareografi con più di 80 anni di dati continui, il livello del mare è gradualmente aumentato a tassi di circa o,25 mm/anno dall’inizio del XX secolo, senza mostrare  alcuna accelerazione.

Ancora più renitenti al catastrofismo   sono gli altimetri satellitari originariamente utilizzati negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000: essi  indicavano costantemente  “nessun aumento del livello del mare”.

Purtroppo il mancato innalzamento del livello del mare non aiutava la narrazione catastrofica e così  invece di riportare le effettive osservazioni satellitari, sono state utilizzate ipotesi arbitrarie e soggettive per “correggere” i dati e  mostrare invece un aumento del livello marino di 3,2 mm/anno.

I dati dell’altimetro satellitare GMSL non hanno mostrato un trend in aumento nei primi 5 anni di registrazione. I primi 5 anni sono stati poi “corretti” per mostrare un aumento del livello del mare di +2,3 mm/anno.

I dati satellitari GRACE hanno mostrato un calo del livello del mare di -0,12 mm/anno dal 2003 al 2008. Dopo la “correzione” questo è stato cambiato in una tendenza all’innalzamento del livello del mare di +1,9 mm/anno. Insomma tutto appare frutto di escamotage per giustificare il terrorismo climatico.

Come aggiunge  lo studio australianpo “…i risultati puri che non mostravano l’innalzamento desiderato del livello del mare sono stati sostituiti con risultati “corretti”. Al 4 agosto 2011, il satellite Envisat dell’Agenzia spaziale europea ha indicato meno di +0,976 mm/anno di innalzamento del livello del mare dal 2004. Pochi mesi dopo, grazie a ulteriori correzioni, lo stesso set di dati ha mostrato un aumento del livello del mare di +2,97 mm/anno”.

Se poi si pensa che la metà delle temperature prese ogni giorno dalle stazioni meteo terrestri (tra l’altro spesso fuori norma) sono frutto di ipotesi visto che i dati per qualche ragione non vengono trasmessi, abbiamo un ulteriore prova del fatto che tutta la scienza del cambiamento climatico è frutto di simulazioni sostenute da dati contraffatti, sui quali poi vengono costruite nuove simulazioni sempre più terribili.

https://ilsimplicissimus2.com/  18/9/2023

 

 

 

 

 

Ecco le conseguenze gravissime per tutti delle eco-bugie ( leggi anche QUI).


L’ecofollia taglia il valore delle case.

Da  La Verità del 19/9/2023

 



 

 

 

 

 

 

Corso di eco-ansia

Al corso di oggi ha partecipato anche Giorgia, che ha espresso la sua personale interpretazione sul tema, molto apprezzata dal pubblico in sala.

 

Silver Nervuti

Ascolta e vedi QUI

 

 

 

 

 

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DALLA RETE ( allarga le immagini)





 

 

Ultimi importanti consigli…



 

 

ANNO IV DEL REGIME SANITARIO- ECOLOGICO- DIGITALE

 

 

IMPORTANTE!!

PETIZIONI DA FIRMARE QUI

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Vedere con attenzione il docufilm “Invisibili” sui DANNI DELLO PSEUDO-VACCINO:  QUI

Per altre testimonianze di danni dello pseudo-vaccino LEGGERE   QUI

 

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Alcuni ultimi articoli che vi raccomandiamo di leggere e rileggere:

GLR-CONSIDERAZIONI  53. Vogliono toglierci dai piedi.

Pericolo vaccino  (47). “Continuiamo così, facciamoci del male”

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Gli artigli adunchi delle banche.

Biocrazia!

Un mostro che  possiede il mondo e il nostro futuro.

Chi comanda nel mondo.

 

 

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