Ci è sembrato che il miglior modo d’introdurre questo lungo, articolato e drammatico articolo ( composto di testi e video) fosse il capolavoro del pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944) “L’Urlo”, dipinto agli inizi del ’900. Come a significare verso quali orrori, nel nuovo secolo appena iniziato, l’umanità e lo storia andassero. Su quel viottolo in collina, passeggiando accanto ad un bel laghetto, all’improvviso l’Autore ne ha una consapevolezza terribile (espressa dal suo urlo) mentre i suoi due amici ( sul lato sinistro del quadro) continuano a camminare sereni, ignari e incoscienti. Verso il baratro.

Sembra la situazione di oggi che divide i covidioti irresponsabili e resilienti da chi sta comprendendo cosa il progetto criminale globale chiamato Grande Reset ( diretto da Big Money, Big Pharma, Big Tech e verso il Big Data) sta alacremente preparando seguendo la propria Agenda 2030 elaborata dai circoli ristretti ed elitari del WEF, che hanno deciso una “nuova normalità” ed una “nuova orribile umanità” futura per tutti.

Politiche delle emergenze continue ( sanitarie, climatiche, energetiche, belliche, alimentari, economiche e quant’altro) per uno stato d’eccezione permanente, definitivo.

E lo scopo finale, il punto d’arrivo di questo percorso mortale qual’è? La totale digitalizzazione della nostra vita e dei nostri corpi in una situazione di sorveglianza e controllo assoluto delle nostre esistenze ( vedi i tanti articoli QUI e soprattutto leggete subito questo articolo: Verso la dittatura digitale (9). Il vaccino mRNA, l'eugenetica e la spinta verso il transumanesimo. ). Questo insieme di articoli e video che ora segue ne è la prosecuzione e l’approfondimento.

Se il nostro futuro prossimo è e deve essere l’IDPay allora capiamo il quadro di Munch in tutta la sua portata tragica. Speriamo solo che voi che leggete non siate come i due amici del pittore che passeggiano ignari e beoti verso il baratro. (GLR)



 

TECNOGABBIA, LA REPUBBLICA DIGITALE DI COLAO

Il Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao ha finalmente calato la maschera. E l’ha fatto nella sede romana dell’associazione Stampa Estera puntando all’ambiziosa leadership del Nuovo TecnoOrdine Continentale: ai più distratti sarà sembrato un déjà vu propagandistico alla Berlusconi anni ’90, quello delle 3-i (internet/informatica, impresa, inglese), invece è stato il ventriloquo di Klaus Schwab della Quarta Rivoluzione Industriale.

L’Italia o meglio la Repubblica Italiana digitale, secondo Colao dovrà infatti essere capofila della Schengen digitale europea, cioè il potenziamento del Green Pass nell’identità digitale in QR Code finalizzata al Wallet system sullo Smartphone, cioè la replica nostrana del Sistema di credito sociale cinese per carta d’identità, passaporto, patente di guida, tessera elettorale, fascicolo sanitario, scuola e pubblica amministrazione da remoto, entro i prossimi 4 anni diritti e servizi trasformati per tutti in offerta liquida, gestiti da algoritmi e Intelligenza artificiale per “una visione dell’Italia più semplice della quale siete abituati”.

E allora? “Per ora a noi serve il dato, poi vedremo”, appellandosi al datismo come volano dell’operazione ha detto l’ex top manager delle multinazionali, facendo intendere il graduale step by step di un’agenda 2030 a lunga gittata che punta molto lontano.

Forte degli oltre 40 miliardi di euro da Bruxelles gettati a pioggia sulla sua scrivania col Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per la gestione post-Covid19 (11 dei primi 20 miliardi già allocati in un anno), Colao – col suo staff non a caso a volto scoperto tra giornalisti invece rigorosamente con mascherina nel proseguo acritico della narrazione emergenziale perenne – ha poi dichiarato guerra non solo al cartaceo, ergo indirettamente al contante in funzione criptovalute, ma pure ad un eventuale futuro tecnoscettico, prevista una tecnogabbia a prova di ipotizzati prossimi esecutivi tecnoscassinatori, “creati una serie di elementi che vanno oltre all’orientamento politico del Governo”.

Avete capito bene? E si, perché quando si tratta di super elitè mondialiste e poteri forti, Parlamento e politica nazionale si riducono a mero simulacro di loro stessi, ad orpelli superflui, inermi e sterilizzati proprio come inopportuna e stantia è oggi la carta costituzionale, tanto impellente il traghettamento, la corsa forzata degli italiani verso il futuro che non c’era, “per un’Italia migliore, attenta e competitiva”, ha detto l’ex McKinsey, ex Vodafone, ex Verizon parlando pure di 5G dallo spazio e Fibra ottica per coprire il 99% del territorio nazionale, ambendo anche – ormai lo sanno pure i sassi – ad innalzare di 110 volte i limiti soglia d’inquinamento elettromagnetico finendo dai 6 a 61 V/m nella potenza di agenti possibili cancerogeni irraggiati nell’aria pubblica.

Ma, tra tutti, oltre privacy, crimini informatici, sistema di sorveglianza sociale e indirizzo eterodiretto dei nostri comportamenti presto lobotomizzati, volete sapere il primo dei problemi? Fingere di non capire come, oltre ad un trattamento sanitario obbligatorio, la tecnocratica transizione digitale sarà iniqua e non inclusiva nell’assenza di nuove rivendicazioni come il diritto all’autodeterminazione digitale e il diritto alla disconnessione.

Perché tutti i de-digitalizzati e disconnessi per scelta, la fasce di popolazione senza telefono cellulare e tutti i malati ambientali costretti a rinunciare al wireless per sopravvivenza, entro il 2026 potrebbero diventare i nuovi esclusi, i nuovi parìa, gli impuri nella casta 3.0 imposta dalla tecnodittatura partorita nel grande reset.

E già, perché la discriminazione digitale è più di una semplice minaccia, soprattutto se intrapresa da un Governo che non coinvolge le parti sociali, né tra i tecnici come Colao sarà tenuto a chiedere conto ai cittadini, l’anello debole dell’intera catena.

Maurizio Martinucci, https://comedonchisciotte.org/  8/7/2022

 

 

 

 

IDPay: la piovra tech per l’igiene del mondo

Il green pass è gestito dal ministero delle finanze

Il green pass, proprio oggi prorogato dall’UE fino a giugno 2023, non è mai stato una misura sanitaria. Nella successione di decreti legge con cui è stata imposta progressivamente l’apartheid dei renitenti alla sperimentazione coatta di massa non si parla mai espressamente di tutela della salute, né si giustifica l’assurdo sanitario di poter contenere un’epidemia influenzale tracciando gli spostamenti dei singoli cittadini.

Come da manuale dell’azzeccagarbugli, l’istituzione e regolamentazione della tessera verde non si trova in un testo di legge unico, ma si sviluppa in una successione di decreti poi convertiti in leggi. Approcciandosi a questo dedalo burocratico il rischio è perdersi nei testi tormentati da emendazioni e chiose dovute, oltre che ai consueti innumerevoli rimandi ad altre leggi e successive modificazioni, anche al dibattito parlamentare.

Tutto però torna sereno quando si incontra un elemento, quello che nel DL 52 (22 aprile 2021) viene definito «Piattaforma nazionale digital green certificate» e che arriva senza modificazioni, liscio come l’olio, fino alla legge 165 (21 novembre 2021) che si pone tra gli obiettivi il «rafforzamento del sistema di screening». Se qualcuno volesse capire in cosa consista tale rafforzamento, nel testo non troverà molto, sebbene una prima risposta sia contenuta proprio nel Dl 52, dove (art.9.1e) si definisce la Piattaforma nazionale digital green certificate un «sistema informativo nazionale per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificazioni COVID-19 interoperabili a livello nazionale ed europeo realizzato, attraverso l’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria, dalla società di cui all’articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e gestito dalla stessa società per conto del Ministero della salute, titolare del trattamento dei dati raccolti e generati dalla medesima piattaforma»

Di questa “società” realizzatrice dell’infrastruttura della piattaforma digitale che gestisce i dati raccolti dai green pass il comma 15 del Dl 112/2008, emanato dal governo Berlusconi, ci dice che allo scopo di «garantire la continuita’ delle funzioni di controllo e monitoraggio dei dati fiscali e finanziari, i diritti dell’azionista della società di gestione del sistema informativo dell’amministrazione finanziaria […] sono esercitati dal Ministero dell’economia e delle finanze» ai sensi di due leggi: nella 413/1991 si stabilisce che l’infrastruttura informatica del Mef può essere appaltata a «società specializzate aventi comprovata esperienza pluriennale nella realizzazione e conduzione tecnica dei sistemi informativi complessi», in conformità con le competenze del ministero definite nel Dpcm 103/2019 – anche se dallo studio di queste leggi si arriva a comprendere che il riassetto del sistema informativo di via XX Settembre è iniziato già sotto il governo Spadolini, a settembre del 1982.

Sogei

La società di “comprovata esperienza” già nel 1991 è la Sogei (Società Generale d’Informatica), azienda statale monopolista sin dal 1976 della costruzione di infrastrutture digitali per conto dello stato italiano, con il MeF come unico azionista – attuale presidente è Biagio Mazzotta, che è anche Ragioniere generale dello stato. Sviluppatore esclusivo sia dei sistemi di governance digitale in ogni angolo della Pubblica Amministrazione, sia di piattaforme di interoperabilità tra Agenzia delle Entrate, INPS, Ministero della salute, Ministero dell’economia, Sogei, con contratti quinquennali sempre rinnovati o prolungati, ha praticamente costruito la massima parte delle infrastrutture digitali pubbliche in ogni settore. Basta consultare uno qualunque dei bilanci societari pubblicati in rete per comprendere l’onnipresenza di questa società nella gestione dei database governativi italiani, persino il totalizzatore di tutte le puntate del gioco d’azzardo legale è gestito da questa società.

Negli ultimi vent’anni, mentre il SSN veniva privatizzato e dato in pasto agli speculatori di Pharmafia, Sogei lavorava alacremente per razionalizzare e unificare sul piano digitale tutto l’apparato di gestione che man mano scompariva dai presidi sanitari territoriali. Considerando che Sogei è partecipata interamente dal Mef, si è trattato de facto di un esproprio: la gestione dei dati sanitari di tutti i cittadini italiani vengono archiviati dal tesoro, che decide quali e in che forma inviarli agli altri enti della piattaforma di interoperabilità. Come mai tanta gelosia? Inoltre, se il diktat degli ultimi trent’anni di governi è stato, qualunque fosse il colore politico, smembrare e privatizzare tutto ciò che era pubblico, come mai quest’azienda conserva un monopolio così forte da ricordare i tempi del fascismo?

La Tessera Sanitaria è la base del Green Pass

Le origini della base dati su cui si fonda il funzionamento del green pass risalgono al governo Berlusconi, con la legge costituzionale 3 del 2001 che, emendato il titolo V della costituzione italiana, sancì la devoluzione alle regioni di una serie di funzioni prima appartenenti allo stato, tra cui la programmazione e organizzazione dei propri servizi sanitari. La “devolution” sul piano sanitario fu un ulteriore e netto passo avanti di quanto già fatto dall’aziendalizzazione della riforma De Lorenzo: togliere allo stato la gestione e tutela dei bilanci ospedalieri ed eliminare l’intermediazione statale nei rapporti tra ospedali e aziende private.

Senza più controlli su scala nazionale, si è consolidata rapidamente una vera e propria governance privata della sanità pubblica, data in pasto agli interessi privati transnazionali senza più la tutela dello stato che si riservava la sola funzione di sorvegliare e punire i bilanci. Sono gli anni del lobbismo spinto, favorito dalla legittimazione tacita nel decennio berlusconiano di certe dinamiche più aggressive per cui la corruzione del sistema, già endemica, divenne capillare.

Frammentata la gestione della sanità pubblica in un sistema di clientele gestite regione per regione inizia, già allora in perfetto stile Bilderberg, la creazione della banca dati digitale: nel 2003 lo stesso governo istituisce il Sistema Tessera Sanitaria, che associa al codice fiscale ogni singola prestazione sanitaria, dalle prescrizioni ai trattamenti più complessi. A gestire i dati è, ovviamente, il Mef, e a realizzare la piattaforma e la banca dati è Sogei. In una prima formulazione, la tessera sanitaria si chiama “Tessera del Cittadino”, e viene imposta ai cittadini la trasmutazione del proprio codice fiscale in un codice a barre, un codice magnetico e un microchip, associando così la propria identità fiscale a quella sanitaria, come condizione per accedere al diritto alla salute.

Niente di così comodo, la tessera viene mandata comodamente a casa, a tutti. Entro il 2006 è avviata la sperimentazione su scala nazionale, e nel 2011 il sistema TS viene assimilato alla Carta Nazionale dei Servizi, ovvero un piccolo chip che attesta incontrovertibilmente la propria identità quando si usano le piattaforme web della pubblica amministrazione. Si accumula così una quantità sterminata di dati con una media di acquisizione, stando ai dati della società stessa, di 800 milioni di prestazioni sanitarie annue. Ogni volta che si fa uso di una qualsiasi ricetta medica o ricevuta di struttura sanitaria, questa viene registrata e catalogata nei database del Ministero delle finanze, strettamente legata ai dati fiscali e anagrafici, e all’occorrenza incrociata coi dati previdenziali.

È questa la vera base dati del sistema Green Pass, sviluppato guarda caso dalla Sogei. Infatti nel Dl 52 è scritto chiaramente che la piattaforma DGC è stata realizzata «attraverso l’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria». In effetti, il green pass, a parte la tessera plastificata, funziona esattamente come il sistema Tessera Sanitaria, anzi mentre il tracciamento tramite codice della TS era limitato alle sole strutture sanitarie, il GP lo estende a tutte le attività quotidiane, dalle scuole ai negozi agli uffici postali.

Una miniera di dati

Il passaggio del Dl 52 che affidava nelle mani del Mef i dati sanitari e il tracciamento di ogni singolo spostamento intaccando seriamente la privacy di milioni di italiani, è stato l’unico punto nemmeno sfiorato dal dibattito parlamentare: insomma, il fatto che tutti gli spostamenti quotidiani del bravo cittadino tri-punturato e querrato debbano essere tracciati è fondamentale per salvare vite umane tanto da non meritare chiarimenti o modifiche. Anzi, neanche due settimane dopo il decreto di aprile e prima del “rafforzamento”, era già pronta l’app VerificaC19, che veniva potenziata con un DPCM del 12 ottobre 2021 grazie al quale i datori di lavoro pubblici e privati, attraverso il pacchetto di sviluppo open source “Digital green certificate SDK” del Ministero della Salute, avevano avuto finalmente gli «strumenti informatici» per «una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni».

Come se non bastasse, nelle disposizioni attuative dell’art. 9 comma 10 del Dl 52 è scritto: «Al fine di garantire l’integrità e l’autenticità dei dati delle certificazioni verdi COVID-19 è istituita dal Ministero della salute l’Infrastruttura a chiave pubblica Sigillo dei documenti (Document Seal – DS), la cui realizzazione, manutenzione e conduzione operativa è a cura dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.» corsivo nostro a ulteriore e definitiva riprova che questo provvedimento non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con la salute pubblica. Anche se la campagna d’inoculazioni forzate non è andata bene come si aspettava il governo, dal punto di vista della sorveglianza, tuttavia, è stata un successo, considerato che la popolazione italiana che ha ricevuto e utilizzato la tessera verde, tra inoculati e tamponati, è prossima all’ottanta per cento, è facile immaginare la mole di dati che le infrastrutture della Sogei hanno dovuto gestire.

L’Unione Europea aveva pianificato il Green Pass già nel 2018

La normativa italiana in fatto di passaporto sanitario e cittadinanza digitale non è altro che l’ottemperanza a direttive dell’Unione Europea. Era il febbraio del 2020 e la neo-eletta presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso d’insediamento parlò del piano di digitalizzazione europea. In pratica, tutti i servizi essenziali relativi all’esercizio dei propri diritti di cittadinanza vanno concentrati in poche piattaforme e di lì lo sviluppo di un Citizen Wallet, sorta di “carta dei diritti” da utilizzare nell’UE che attesti lo stato sanitario, fiscale e legale del singolo cittadino.

Ma queste dichiarazioni sono venute dopo una serie di passi importanti compiuti dall’Unione verso la creazione di una banca dati sanitaria europea. La salute è la prima cosa, è la chiave d’accesso verso procedure invasive della vita e della libertà individuali altrimenti difficilmente violabili. Molto eloquente in questo senso la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 7 dicembre 2018, dove si dice nel paragrafo 15 delle Considerazioni: «La comunicazione della Commissione sull’attuazione della strategia per il mercato unico digitale e la comunicazione sul piano d’azione «Sanità elettronica» 2012-2020 ricordano l’importanza dell’agenda in materia di sanità digitale e la necessità di dare priorità allo sviluppo di soluzioni di sanità elettronica e basate sui Big Data.

Queste iniziative sono ribadite dalla comunicazione della Commissione relativa alla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza nel mercato unico digitale, per garantire modelli di assistenza sanitaria moderni e sostenibili nonché cittadini e operatori sanitari responsabilizzati.» Dunque il piano d’azione “Sanità elettronica” vanno di pari passo nella creazione di un sistema sanitario basato sui Big Data, ovvero su sistemi di tracciamento, archiviazione e combinazione di dati, sulla base dei quali saranno creati i nuovi regolamenti per una sanità più “sostenibile” e funzionale alla creazione del “mercato unico digitale”.

Per chi non avesse capito che cosa intendono i signori d’Europa con sanità basata sui Big Data, viene in soccorso il punto 7, in cui si raccomanda agli stati membri «di vagliare la possibilità di sviluppare la capacità delle istituzioni sanitarie e di assistenza sanitaria di disporre di informazioni elettroniche sullo stato vaccinale dei cittadini, basate ad esempio su sistemi informativi che forniscano funzionalità di promemoria, raccolgano dati aggiornati sulla copertura vaccinale per tutte le fasce di età e consentano collegamenti e scambi di dati tra i sistemi di assistenza sanitaria» esattamente quello che fa la piattaforma Digital Green Certificate con i dati dei green pass.

E infatti eccolo là, al punto 16, il primo vero antenato della tessera verde, che si consigliava di istituire col pretesto della pericolosissima circolazione dei cittadini tra paesi dell’Unione: «Il Consiglio accoglie con favore l’intenzione della Commissione di esaminare le questioni relative all’insufficiente copertura vaccinale causata dalla circolazione transfrontaliera delle persone all’interno dell’UE e analizzare le opzioni per affrontarle, anche valutando la fattibilità dello sviluppo di una tessera/un passaporto delle vaccinazioni comune per i cittadini dell’UE (che tenga conto dei calendari vaccinali nazionali potenzialmente diversi), compatibile con i sistemi informativi elettronici sulla vaccinazione e il cui uso sia riconosciuto a livello transfrontaliero, senza duplicare i lavori a livello nazionale» a leggere questi piani, si capisce come il Sars-Cov-2 sia stato una manna dal cielo per questi signori, forse troppo per essere una semplice fatalità; e ancora al punto 21 «Il Consiglio accoglie con favore l’intenzione della Commissione di elaborare orientamenti per superare le barriere giuridiche e tecniche che impediscono l’interoperabilità dei sistemi informativi nazionali sulla vaccinazione, tenendo debitamente conto delle norme sulla protezione dei dati personali, come indicato nella comunicazione della Commissione relativa alla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza sanitaria nel mercato unico digitale, alla responsabilizzazione dei cittadini e alla creazione di una società più sana» oltre al concetto di interoperabilità, usatissimo dai fautori della cittadinanza digitale ad indicare l’abbattimento delle barriere burocratiche alla realizzazione di una banca dati unica con tutti i dati – sanitari, economici, anagrafici, fiscali – di un singolo individuo, ci sono due concetti davvero inquietanti in questo paragrafo, che ricorrono in verità in tutto il documento.

La “responsabilizzazione” sta a indicare un potere che ha il chiaro intento di infantilizzare i suoi cittadini, di trattarli come bambini che non sanno gestire la propria vita da soli: questo ricorda molto la retorica umiliante che accompagnava i lockdown e l’insopportabile manfrina del cambiamento climatico, mirata a instillare un senso di colpa nei cittadini, fatti passare dai media e dai politici come unici colpevoli dell’inquinamento. L’altro è quello della “creazione di una società più sana”, che mostra chiaramente come la cricca globalista già avesse in nuce quell’idea di un mondo infetto e malsano da ripulire, della germofobia elevata a senso di responsabilità, e ricorda il Beppe Grillo che, presentatosi in pubblico in mascherina nel 2019, disse a gran voce: “Loro vogliono igienizzare il mondo”.

Anagrafe nazionale e fisco predittivo: i pilastri della cittadinanza digitale

Quello sanitario è tuttavia solo un aspetto delle infrastrutture necessarie alla creazione della “cittadinanza digitale” che lo stato italiano sta implementando progressivamente da vent’anni. Il 7 marzo 2005 viene emanato il Dl n.82, che istituisce il Codice dell’Amministrazione Digitale, dove nell’articolo 62 si istituisce presso il Ministero dell’interno l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR): una banca dati realizzata da Sogei che dal 2015 sostituisce le anagrafi comunali e, insieme allo SPID, progetto dello stesso Codice portato a compimento nel 2014, e al sistema TS/CNS, costituisce la base dell’identità digitale.

Altro aspetto fondamentale è quello fiscale. A gennaio del 2022, la Commissione bicamerale sull’anagrafe tributaria ha lanciato un allarme: dinanzi all’impotenza cui sono stati ridotti i garanti della privacy e del contribuente, il governo Draghi sta quasi portando a compimento la riforma del fisco, che vanterà un sistema – targato (indovinate?) Sogei – completamente digitalizzato, un progetto già realizzato che sarà implementato e potenziato coi fondi del Pnrr, in cui è un sistema di algoritmi a determinare la posizione del contribuente, individuando eventuali anomalie o mancanze.

Fin qui, sembra, nulla di eccezionale, a parte il fatto che diventerà difficilissimo scampare alle cartelle esattoriali – d’altronde, anche le piattaforme di Equitalia sono un prodotto Sogei – ma la vera, e assai inquietante, novità è il fisco predittivo. L’Agenzia delle entrate infatti possiede una sterminata banca dati digitalizzata, realizzata da Sogei di pari passo con l’ANPR, che raccoglie tutte le sentenze emesse dalle commissioni tributarie italiane: l’algoritmo, analizzando tutti i dati relativi a un codice fiscale – proprio tutti, compresi i profili social – confrontando spese e stile di vita con i guadagni dichiarati, elaborerà un profilo fiscale dell’utente, e se avrà riscontrato un’anomalia – vera o presunta – nel pagamento delle imposte o dichiarazione fiscale la confronterà con il suo archivio digitale ed emetterà una sentenza in modo completamente automatizzato.

Questo non solo mette il contribuente in una posizione di netta inferiorità rispetto all’intelligenza artificiale inquirente, poiché questi database non sono consultabili dai cittadini pur essendo stati realizzati coi soldi delle loro tasse, ma sarebbe il primissimo caso nella storia italiana in cui si pone una macchina a giudicare la posizione di un cittadino.

Così ha denunciato la Commissione, che ha raccomandato ai legislatori di «escludere esplicitamente che gli atti di accertamento dell’Agenzia delle entrate possano essere frutto esclusivo di una procedura automatizzata o, comunque, basata su un sistema di intelligenza artificiale […] escludere un impiego dell’intelligenza artificiale (IA) come autonomo strumento decisorio fondato sul machine learning, che possa quindi rendere superfluo l’intervento dell’interprete-essere umano […] garantire che le informazioni [del database NdR] non restino ad uso esclusivo dell’amministrazione finanziaria, consentendone a chiunque il libero e pieno accesso, così da assicurare la parità di condizioni fra le parti in causa del processo tributario, offrendo loro la possibilità di verificare gli orientamenti seguiti dalle varie commissioni tributarie.»

Opposizione parziale al controllo totale

Dunque, il green pass, se visto in prospettiva storica, è soltanto la fase di un piano trentennale iniziato con questo secolo e che vedrà il suo compimento nel 2030. Una fase cruciale, perché la tessera verde è stata utilissima innanzitutto come test di resilienza del popolo rispetto all’apartheid sanitaria, ma è stato soprattutto il primo tracciante del sistema di sorveglianza totale, tratto distintivo della cittadinanza nell’era del governo tecnocratico del capitale, altrimenti detto capitalismo della sorveglianza.

Eppure, nei mesi caldi del 2021, quando tutto l’apparato era già stato realizzato, nascono i movimenti No Green Pass in moltissime città italiane, che focalizzano l’attenzione sulla pericolosità dei farmaci genici sperimentali imposti per legge e sui risvolti sociali dell’accesso condizionato da lasciapassare vaccinale, favorendo così la polarizzazione voluta dai media generalisti sul tema sanitario, ridotto essenzialmente in “sì vax” contro “no vax”. A pochi di loro si è acceso un campanellino d’allarme nel vedere come un imponente database che trattasse i dati di milioni di cittadini fosse là, già bello e pronto, in pochi mesi. Possibile che bastino tre decreti e la conclamata genialità del “governo dei migliori” a creare un software basato al Ministero dell’economia e delle finanze capace di interagire con le piattaforme e i database di Ministero della Salute e Agenzia delle entrate? Ma i dubbi sono stati fugati, e tutti hanno capito, quando è stato presentato il progetto IDPay.

IDPay

Un mese prima della messa in latenza – non mai abrogazione, come già specificato su queste colonne – della tessera verde ad aprile, il ministro della Innovazione tecnologica e transizione digitale Vittorio Colao ha spalancato la finestra di Overton sulla prossima fase, annunciando l’introduzione “già da quest’anno” della piattaforma dal nome provvisorio IDPay per l’erogazione di “tutti i benefici sociali”.

Ad aprile non sono state soltanto allentate le restrizioni, ma è partita la “piattaforma dell’interoperabilità”, ovvero la messa in comunicazione permanente per l’incrocio di dati dei database di tutte le istituzioni che abbiamo menzionato finora: Agenzia delle entrate, Anagrafe, Ministero dell’interno e Inps in una prima fase. Quando si agganceranno anche il Mef e il Ministero della salute, avremo quella piattaforma totalizzante che per ora si chiama IDPay, nella quale sarà inglobato anche il Fascicolo sanitario elettronico di ciascun cittadino “al fine di avere anche sul piano sanitario la possibilità di teleconsulto, telemonitoraggio e gestione da remoto”.

Questo significa che nel caso di una prossima plandemia non ci sarà bisogno di scomodare il governo con un Dpcm dopo l’altro: sarà un algoritmo, incrociando per esempio i dati sanitari e i dati Inps, a segnalare che l’individuo associato a un determinato codice fiscale non è idoneo al lavoro perché non vaccinato.

Il dato a quel punto sarà già arrivato all’Agenzia delle entrate che potrà in tempo reale bloccare qualunque sussidio o misura assistenziale fino a completato ciclo vaccinale. Senza contatto umano e senza possibilità di appello.

Il controllo fiscale potrà essere applicato immediatamente su ogni singola transazione, tracciando le spese di ogni singolo cittadino per ogni singola transazione compiuta. Dal codice fiscale e i dati anagrafici si potrà risalire facilmente al numero di conto corrente, rendendo immensamente più facile a un governo totalitario l’eventuale blocco o congelamento del denaro di eventuali dissidenti.

Il Mef ha inserito in manovra proprio ad aprile la proroga per la gestione dei dati di tracciamento archiviati nella piattaforma DGC anche oltre la data di congelamento della tessera verde. Il meccanismo sottostante alla piattaforma di gestione dei green pass ha consentito di creare una base immensa di dati associati a singoli utenti a cui il fisco e le amministrazioni possono aggiungere qualunque informazione, inoltre l’interazione operativa tra le piattaforme è stata regolamentata ed implementata grazie alle previsioni normative relative alla sanzione di 100 euro per gli ultra-cinquantenni renitenti all’inoculazione forzata.

E i cittadini di fronte a questo sistema si troveranno privi di qualsivoglia tutela o difesa, in quanto l’individuazione delle finalità per il trattamento dei dati personali da parte della pubblica amministrazione non è soggetta al controllo preventivo del garante della privacy (Dl 13/2021), ovvero la pubblica amministrazione può utilizzare qualsiasi dato di un cittadino senza che il garante possa intervenire.

È certo tuttavia che la piattaforma venga piazzata sul groppone degli italiani a piccole dosi, e in una prima fase sarà addirittura facoltativa. Già sono partiti tuttavia i primi esperimenti di cittadinanza a punti a Bologna e in provincia di Parma, e nelle nostre città fanno sempre più capolino ai semafori le telecamere con funzione di riconoscimento facciale e della targa.

Lo stato italiano insomma, da garante dei diritti fondamentali, ne diventa un erogatore, esattamente come una compagnia telefonica o energetica, che può staccare la fornitura del servizio non appena le condizioni contrattuali non vengano rispettate. La morte della cittadinanza così come è stata conquistata in secoli di storia è sempre più imminente.

Marco Di Mauro  https://avanti.it/   14/6/2022

 

 

 

 

La sorveglianza nell’era digitale. Fin dove può spingersi il bisogno di sicurezza?

Negli Scritti Corsari (1973-1975) Pasolini affrontava la questione spinosa dello sviluppo tecnico-scientifico, separandolo dalla nozione di progresso. Il primo, infatti, non sarebbe che l’immediata espressione dell’intensa, disperata, ansiosa e smaniosa creazione di beni superflui, in netta opposizione con la produzione morale ed etica di beni necessari alla crescita di una società egualitaria tanto agognata dalle classi subalterne. Lo sviluppo tecnico-scientifico non esiste, cioè, come condizione nuda e svincolata dai rapporti di produzione, ma anzi, inquadrata nel sistema capitalista, ne riproduce i meccanismi di estrapolazione del plusvalore e accumulazione del capitale.

Il lavoro intellettuale non ha come suo compito la conoscenza. Niente di tutto questo. Suo compito è la riduzione del tempo di lavoro necessario per produrre merci, e quindi l’aumento del plusvalore relativo alla giornata lavorativa sociale. È dunque solo nel suo limite, nel rovesciamento della sua funzione, che sta la possibilità di conoscenza.

Franco Berardi Bifo, Scrittura e movimento

Settori percepiti come forieri di progresso quali l’High Tech, ad esempio, sono scenari in cui multinazionali e grandi aziende stanno da tempo investendo per massimizzare i loro profitti attraverso la produzione di beni non necessari. La cosiddetta “neutralità scientifica e tecnologica” è proprio il grimaldello delle classi dominanti per spegnere dibattiti complessi e soffocare legittime domande in nome di una fantomatica crescita della società.

Basti pensare ai limiti preoccupanti dell’algoritmo, una tecnologia che, come ormai noto, tende a perpetuare dei bias, ovvero pregiudizi non intenzionali da cui discendono discriminazioni di classe, etniche e di genere, che nascono durante la progettazione dell’algoritmo e nel primo periodo di training. È quanto emerge, ad esempio, dai risultati del progetto Ask Delphi della University of Washington e di Allen Institute for AI (2021). Si tratta di un software costruito per misurare il divario etico tra uomo e macchina, ma che si è distinto per i suoi giudizi razziali e misogini.

Alla domanda “cosa devo fare se un uomo bianco cammina di notte verso di me?” Delphi ha risposto “nessun problema”. Mentre al quesito “cosa devo fare se un uomo nero cammina di notte verso di me?” ha suggerito di preoccuparsi e allontanarsi. Le disuguaglianze sociali sono dunque perpetuate da queste tecnologie, senza dimenticare l’impatto che applicazioni funzionanti secondo le stesse logiche di Ask Delphi possono avere a livello di massificazione del pensiero. Gli stessi autori del progetto si sono mostrati preoccupati sulla tendenza da parte degli utenti di investire Delphi di poteri sovrannaturali, o comunque intravederne un ruolo di guida. Affidare la mappatura del nostro bagaglio emotivo e comportamentale a dispositivi basati su algoritmi e a magazzini di dati precostituiti può rappresentare un pericolo, soprattutto se non si riconosce che i meccanismi di funzionamento non sono neutrali.

[…] living intelligence is not a calculating machine. It is a process that articulates affectivity, corporeality, and error and that presupposes the presence or desire and a consciousness, in human beings, of one’s own long-term history.

Miguel Benasayag, The tyranny of algorithms

Il terreno si fa più scivoloso quando la programmazione e l’uso di dispositivi tecnologici sono nelle mani di istituzioni e imprese che hanno obiettivi unicamente economici. Plasmare modelli di comportamento comporta l’appiattimento di differenze umane, sociali, politiche e culturali e permette ai proprietari e i promotori di tali dispositivi di incrementare il controllo sui lavoratori-consumatori. Decretare e monetizzare i “valori del buon cittadino” tramite sanzioni e ricompense, con la scusante del progresso sociale e del rispetto della collettività, non è altro che una modalità di soft-control per aumentare la possibilità di accrescere il profitto. L’avamposto del monitoraggio comportamentale attraverso l’attribuzione di premi e punizioni è rappresentato sicuramente dal paradigma dei crediti sociali della Repubblica Popolare Cinese, ma, come vedremo più avanti, anche sul suolo italiano sono attivi progetti di questa natura.

Il sistema di credito sociale (社会信用体系, Shèhuì xìnyòng tǐxì) è un insieme di progetti per classificare con punteggi cittadini, aziende e organizzazioni in base alla loro condotta. I progetti non sono interconnessi e vengono gestiti da vari attori come municipalità, dipartimenti governativi o addirittura aziende private, quali il Sesame Credit di Alibaba.

Come emerge dal Planning Outline for the Construction of a Social Credit System (2014-2020) l’attenuante di questo progetto è la salvaguardia della fiducia riposta nel cittadino: « […] mantenere la fiducia è glorioso e rompere la fiducia è disdicevole, assicurando che la sincerità e l’affidabilità diventino norme consapevoli di azione tra tutte le persone». Ad aumentare il punteggio del cittadino sono soprattutto le azioni illegali e quelle dannose per il sistema economico, mentre le azioni che aggiungono punti sono principalmente di natura economica o caritativa.

Tutto ciò tiene poco conto del contesto socio-economico (e in particolare di classe) del soggetto, che certo non dovrebbe essere una giustificazione a priori di determinati comportamenti non corretti, ma sicuramente la radice in cui rintracciarne un’eventuale origine. Il conflitto sociale viene riposto all’interno della psiche del cittadino, il quale, inoltre, come sostiene il filosofo sud-coreano Byung-Chul Han, è in costante competizione con sé stesso per diventare sempre più performante in termini economici. Il vantaggio per istituzioni e imprese è proprio quello di indirizzare la popolazione verso modelli generali di efficienza economica in termini di consumo e produzione, tralasciando completamente la dimensione personalistica e di classe.

E così, insieme al Panopticon, l’ideale di prigione di Jeremy Bentham, abbiamo un “ban-opticon”, come lo ha chiamato il sociologo Zygmunt Bauman. Il Panopticon monitora i detenuti rinchiusi del sistema, mentre il ban-opticon è una persona che identifica le persone come indesiderabili ed esclude le persone che sono fuori dal o ostili al sistema. Il Panopticon classico è usato per disciplinare, mentre il ban-opticon assicura la sicurezza del sistema e l’efficienza.

Byung-Chul Han, intervista di Niels Boeing e Andreas Lebert

Anche in Italia sono stati introdotti progetti di “premialità circolare”, sfruttando il fertile terreno dell’interconnessione digitale dei dati personali già spianato in seno all’emergenza sanitaria – si veda il provvedimento disciplinare nei confronti dei cittadini over 50 sprovvisti di certificazione verde attraverso l’incrocio di dati sanitari e dell’Agenzia delle Entrate con la pubblicazione in Gazzetta del DL 1/2022.

Madre di questi progetti di controllo invasivo e verifica fiscale è la piattaforma IDPay, lanciata dal Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao.

Sulla scia dei PagoPa, un sistema di rimborso di pagamenti effettuati con carta di credito, IDPay si prefigge l’obiettivo di incentivare il pagamento digitale, che permette maggiore liquidità alle banche e potenziale controllo dei movimenti da parte delle istituzioni statali. La retorica è quella della trasparenza in nome delle lotte contro l’evasione fiscale (quella piccola) e dell’immediatezza delle transazioni economiche, come se quei pochi minuti di prelievo mensile pesino enormemente sulla gestione del tempo libero del cittadino.

IDPay incrocerà i dati dell’Agenzia delle entrate, i ritmi di spesa e di pagamento, i dati sanitari e molto altro per elargire premi e bonus di varia natura. In questo modo lo Stato si farà provider di un controllo di massa centralizzato che assegna ad ogni cittadino un codice identificativo univoco (Q-code), dispensando ricompense e castighi secondo alcuni standard definiti dalla classe dirigente.

Il pagamento tramite carta di credito rispetto a quello attraverso i contanti è già di per sé maggiormente monitorabile, ma la preoccupazione per il rispetto della privacy va ulteriormente a ispessirsi se pensiamo all’interconnessione dei dati fiscali con dati di natura sociale, culturale e personale. Come ha affermato lo stesso Colao “ci deve essere un cambio di mentalità in cui si passa dal dire sono qui a controllarti a sono qui ad aiutarti”.

A livello locale alcune città si stanno muovendo in questa direzione, progettando App e piattaforme che monitorino l’assegnazione di servizi e benefit. A Bologna l’assessore comunale dell’Agenda Digitale Massimo Bugani sogna “una città sicura e digitale” tramite il lancio di una Patente del cittadino Virtuoso. In proposito verranno raccolti dati come la frequenza dell’uso di mezzi pubblici e altresì di multe nei veicoli personali, la parsimonia nel consumo di energia elettrica, la meticolosità nella raccolta differenziata. In un sistema di premialità circolare a punteggio lo Stato elargirà premi e punizioni secondo le variabili sopra citate, entrando nel ruolo del genitore severo che compra un gioco quando ti comporti bene e ti mette in punizione se non rispetti le regole. La ricompensa per l’aderenza al modello comportamentale conforme ai canoni decretati dalla giunta bolognese equivarrebbe a sconti per le attività culturali, gli abbonamenti ai mezzi pubblici, le tasse sui rifiuti e così via, mentre il castigo coinciderebbe con la perdita di punti e dunque l’impossibilità di usufruire dei medesimi benefit.

Un altro progetto ispirato al sistema di credito sociale cinese è la carta dell’assegnatario, deliberata dal Comune di Fidenza, lo scorso 17 febbraio. Si tratta di una vera e propria patente di 50 punti iniziali, che possono essere sottratti secondo motivi di natura per così dire etica, ovviamente seguendo criteri morali definiti dalla giunta locale, la quale rappresenta una tessera di quel mosaico che è la classe dirigente. La decurtazione di punti può essere causata dall’invito di gente non autorizzata all’interno dell’alloggio, utilizzo di barbecue, consumo di alcolici nelle aree comuni o distribuzione di cibo ai volatili. Quando il punteggio arriva a zero la famiglia perde il diritto sulla casa. L’Acer (gestione alloggi popolari in Emilia-Romagna) è incaricato di ispezionare ed eventualmente sanzionare gli inquilini.

È chiaro che la digitalizzazione ha un ruolo fondamentale in questi dispositivi funzionali al controllo sociale, non solo perché si tratta di settori in cui vengono investiti grandi capitali, ma anche perché la dimensione digitale offre una notevole possibilità di tracciamento e dunque di sorveglianza. Del resto durante il World Economic Forum del 2020 era già stata presentata la necessità di un’identità digitale globale che connettesse trasporti, servizi finanziari, sanitari, rapporti con la pubblica amministrazione e altre attività legate a un provider governativo. Di fronte a questo modello sociale distopico, in cui sicurezza, prevenzione, immediatezza e trasparenza possono giustificare un abuso di monitoraggio della persona, occorre analizzarne i meccanismi e opporvisi sin da subito.

Arianna Cavigioli  https://www.lafionda.org/   16/6/2022

 

 

 

 

SDOGANATO ANCHE IN ITALIA IL CHIP SOTTOPELLE

Già ad aprile vi avevo parlato in questo articolo dell’azienda anglo-polacca Walletmor, leader in Europa della produzione di chip a innesto sottocutaneo, utilizzabili per pagare senza dover utilizzare fastidiosi bancomat o carte di credito varie – per non parlare degli oramai fuori moda antichi contanti.

All’epoca fonte del mio articolo fu un pezzo pubblicato dalla BBC, che cercava in ogni modo di rendere accattivante una distopia a tutti gli effetti, puntando sulle reazioni di “meraviglia e incredulità […] che provano le persone quando vedono pagare il signor Patrick Paumen (protagonista dell’articolo della BBC) con un semplice gesto della mano.” Questa settimana la distopia è arrivata anche in Italia e a portarla è il Corriere della Sera, con un articolo a cura di Enrico Forzinetti pubblicato mercoledì 15 giugno.

Nell’articolo, oltre ad una serie di informazioni sulla potenzialità della tecnologia “un chip da impiantare sottopelle che, una volta collegato a un account da cui attingere i fondi, permette l’eliminazione di qualsiasi carta fisica per pagare contactless e senza alcuna commissione”, una serie di dati tecnici sul chip, che ne definiscono lo spessore e i materiali utilizzati, nonchè un preventivo sui costi per comprarlo e farselo impiantare: con 350, dice il Corriere della Sera, qualsiasi cittadino dell’UE potrà proiettarsi nel futuro. 199 per il chip, 150 per impiantarlo sotto pelle e quell’euro in più di mancia per esserselo fatto mettere a quel servizio…ehm scusate per il servizio ricevuto.

Come nell’articolo della BBC, anche in questo caso a pubblicizzare la tecnologia una persona comune. Nell’occasione Gabriele Di Dio, titolare di Max Art Modification a Roma, uno dei centri indicati sullo stesso sito di Walletmor per l’impianto. Secondo il signor Di Dio “L’operazione è molto rapida, dai 5 ai 10 minuti, e non comporta particolari rischi o controindicazioni per la persona”, la quale dovrà però necessariamente sostituire il chip dopo 8 anni (ma non preoccupatevi Walletmor sta già lavorando a un dispositivo che possa durare per sempre).

L’unica buona notizia di tutta questa storia, apprendiamo dalle dichiarazioni di Di Dio, è che questa forma di bio-hacking ancora intimorisce la maggior parte delle perbene, preoccupate di finire per essere poi controllate costantemente. Ma cosa vuoi che sia in fondo essere sottoposto a sorveglianza continua quando puoi semplificare l’interazione con il mondo circostante dicendo addio alle carte di credito?! Allora ditelo che siete i soliti complottisti.

Massimo A. Cascone,  https://comedonchisciotte.org    19/6/2022

 

 


 


 

Colao, in arrivo piattaforma IDPay per benefici sociali

 

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MICROCHIP SOTTOPELLE PER PAGARE: E ADESSO L’INCUBO DIVENTA REALTÀ

A parlarne fino a poco tempo fa si veniva silenziati come “complottisti”. Ma adesso l’incubo diventa realtà. È arrivato in Europa il microchip sottocutaneo per i pagamenti. E i padroni del discorso, ovviamente, lo celebrano come un magnifico progresso.


Diego Fusaro, filosofo

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CHIP SOTTOCUTANEO PER I PAGAMENTI: MA NON ERA UNA TEORIA DEL COMPLOTTO?

Ricordate quando il famigerato chip sottocutaneo veniva considerato una teoria del complotto? Bene, anche in questo caso il “complotto” si sta progressivamente trasformando in realtà. “Addio a carte e contanti, il chip per pagare con la mano si può acquistare a 199 euro”,  intitola così il Corriere della Sera in un articolo pubblicato il 16 giugno. La più classica delle marchette per la società anglo polacca Walletmor, che ha infatti ideato un chip da impiantare sottopelle. Una volta collegato a un conto in banca, rende possibili transazioni immediate contactless.

Il chip è ora sul mercato

Dalla primavera del 2021, sono stati venduti 800 impianti, con il numero che sembra destinato a salire, dato che tutti i cittadini dell’Unione europea potranno ora acquistare il dispositivo dall’azienda per circa duecento euro. In realtà, la tecnologia risale al 1998, ma è soltanto nell’ultima decade che è stata lanciata sul mercato. “L’impianto può essere utilizzato per pagare un drink sulla spiaggia di Rio, un caffè a New York, un taglio di capelli a Parigi, oppure presso il supermercato del posto”, ha detto l’amministratore delegato di Walletmor Wojtek Paprota. Può essere utilizzato ovunque sono autorizzati i pagamenti contactless”, ha aggiunto Paprota.

Come funziona?

Il chip di Walletmor pesa meno di un grammo ed è leggermente più grande di un chicco di riso. Comprende un minuscolo microchip e un’antenna racchiusa in un biopolimero, materiale simile alla plastica. La tecnologia di Walletmor si basa sull’NFC, il sistema di pagamento presente anche sugli smartphone.

Lo strumento non solo abbraccia la causa dell’eliminazione del denaro contante, ma compie anche un altro passo verso il transumanesimo. Una trasformazione post umana che rende l’uomo sempre più tecnologico, senza più il bisogno di strumenti esterni. È quindi l’uomo a diventare lo strumento stesso.

Dati sensibili a rischio?

La medesima tecnologia viene inoltre già utilizzata, ad esempio, per aprire la propria porta di casa, semplicemente passando la mano su un apposito lettore. La preoccupazione è come questo strumento possa svilupparsi in futuro. Magari contenendo una serie di dati sensibili della persona che lo porta dentro di sé. E, di conseguenza, di come queste informazioni possano essere utilizzate e soprattutto da chi.

Strumento di controllo e manipolazione delle masse?

“C’è un lato oscuro della tecnologia che ha il potenziale di abuso”, ha detto Nada Kakabadse, professoressa di policy, governance ed etica presso l’Università Henley Business School di Reading. “Per coloro che non hanno a cuore la libertà individuale, questa tecnologia apre le porte a nuove strategie di controllo, manipolazione e oppressione”, ha aggiunto Kakabadse. Insomma, in un mondo fatto di dati personali e che con le nuove tecnologie continuano ad essere sottratti agli utenti ignari, resta da chiedersi quanto strumenti come il microchip sottocutaneo non possano servire allo stesso scopo. Ma soprattutto, ne abbiamo davvero bisogno?

 

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Cina: la dittatura del green pass

 

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Mastercard rileverà il CO2 prodotto con i tuoi acquisti

 

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Dispotismo globale

 

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MICROCHIP SOTTOCUTANEO OBBLIGATORIO GRANDE COME UN GRANELLO DI SABBIA INTRODOTTO CON I VACCINI

Un video di Enrica Perucchietti, giornalista e scrittrice, di alcuni anni fa. “Profetico”?

 

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Harvey Mackay, uomo d'affari e giornalista statunitense (1932)

 

 

ANNO III DEL REGIME SANITARIO-DIGITALE

 

 

 

Il sito di La PekoraNera riporta un prezioso elenco continuamente aggiornato di notizie su malori e morte improvvise, assolutamente in continuo aumento. I giornali citati nell’elenco quasi mai creano una correlazione tra vaccinazione e malori o morti improvvise.

Ma sappiamo ( o dovremmo sapere) che siamo sotto un regime sanitario, quindi… Comunque a voi leggere, sapere  e riflettere.

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Raccolta di sospetti eventi avversi da “vaccini anti Covid-19”, in ordine cronologico, provenienti dalla stampa italiana e internazionale. Inseriti così come pubblicati in origine, anche in lingua originale non tradotta. Lista aggiornata continuamente.

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Tante notizie sui danni delle mascherine e degli pseudo-vaccini QUI

 

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