Mazzini entra a Roma attraverso Porta del Popolo. Disegno dell'epoca.

Il 5 marzo 1849  entra a Roma  passando per Porta del Popolo GIUSEPPE MAZZINI. Egli diverrà la grande guida spirituale e politica della giovane Repubblica Romana.

La Repubblica Romana era stata inaugurata il 9 febbraio del 1849  e già dal 5 febbraio erano iniziati i lavori dell’Assemblea Costituente Romana per preparare la nuova Costituzione della giovane Repubblica.

Si attendeva con trepidazione l’arrivo di Mazzini ( eletto il 18 febbraio alla Costituente nelle elezioni suppletive sia nel collegio di Ferrara che in quello di Roma) che si trovava tra Firenze e Livorno mentre, con altri Patrioti, cercava di far nascere la Repubblica Toscana dopo la fuga del Granduca.

Mazzini arriverà a Roma il 5 marzo passando per Porta del Popolo e così ricorderà quel momento anni dopo, nel 1864, nelle sue Note autobiografiche:

“Roma era il sogno de’ miei giovani anni, l’idea-madre nel concetto della mente, la religione dell’anima e v’entrai la sera a piedi sui primi del marzo trepido e quasi adorando. Per me Roma era – ed è tuttavia malgrado le vergogne dell’oggi – il  Tempio dell’umanità; da Roma uscirà quando che sia la trasformazione religiosa che darà per la terza volta unità morale all’Europa…

E non di meno trasalii varcando verso Porta del Popolo d’una scossa quasi elettrica, d’un getto di vita nuova. Io non vedrò più Roma ma la ricorderò morendo … e parmi che le mie ossa … trasaliranno com’io allora il giorno in cui una bandiera di repubblica s’innalzerà pegno all’unità della patria italiana sul Campidoglio e sul Vaticano… ”

Giunto a Roma Mazzini e andò ad abitare presso la modesta locanda Cesàri in via di Pietra ( oggi Albergo Cesàri). Il giorno dopo, 6 marzo, si recò all’Assemblea Costituente, che si riuniva nel palazzo della Cancelleria, per prendere possesso del suo seggio di deputato: venne accolto con un applauso prolungato da parte di tutti i Costituenti e dal popolo presente. Il presidente dell’Assemblea, interpretando quel segno d’onore, invitò Mazzini a sedersi al suo fianco. Subito dopo Mazzini pronunciò queste parole:

” Se le parti dovessero farsi qui tra noi, i segni di applauso, i segni di affetto che voi mi date, dovrebbero farsi, o Colleghi, da me a voi, e non da voi a me: perché tutto il poco bene che io ho, non fatto, ma tentato di fare, mi é venuto da Roma. Roma è sempre una specie di talismano per me: giovanotto, io studiava la storia d’Italia, e trovai-che mentre in tutte le altre storie tutte le nazioni nascevano, crescevano, recitavano una parte nel mondo, cadevano per non ricomparire più nella prima potenza, una sola città era privilegiata da Dio del potere di morire, e di risorgere più grande di prima ad adempiere una missione nel mondo, più grande della prima adempiuta.

Io vedeva sorgere prima la Roma degl’imperatori, e colla conquista stendersi dai confini dell’Africa ai confini dell’Asia: io vedeva Roma perir cancellata dai barbati, da quelli che anche oggi il mondo chiama barbari; io la vedeva risorgere, dopo aver cacciato gli stessi barbari; ravvivando dal suo sepolcro il geme dell’ incivilimento; e la vedea risorgere più grande a muovere colla conquista non delle armi, ma della parola; risorgere nel nome dei Papi, a ripetere le sue grandi missioni.

Io diceva in mio cuore: é impossibile che una città, la quale ha avuto sola nel mondo due grandi vite, una più grande dell’altra, non ne abbia una terza. Dopo la Roma che operò colla conquista delle armi, dopo la Roma che operò colla conquista della parola, verrà, io diceva a me stesso, verrà la Roma che opererà colla virtù dell’esempio: dopo la Roma degl’imperatori, dopo la Roma dei papi, verrà la Roma del popolo. La Roma del popolo é sorta: io parlo a voi qui della Roma del popolo: non mi salutate di applausi: felicitiamoci assieme.

Io non posso promettervi nulla da me, se non il concorso mio in tutto che voi farete pel bene della Italia, di Roma, e pel bene dell’umanità, dell’Italia. Noi forse avremo da traversare grandi crisi: forse avremo da combattere una santa battaglia contro l’unico nemico che ci minacci, l’Austria. Noi la combatteremo; e noi la vinceremo.

Io spero, piacendo a Dio, che gli stranieri non potranno più dire quello che molti fra loro ripetono anche oggi, parlando delle cose nostre, che questo che viene da Roma è un fuoco fatuo, una luce che gira fra i cimiteri: il mondo vedrà che questa é una luce di stella, eterna, splendida e pura come quelle che risplendono nel nostro cielo. Non interrompo di più i lavori dell’assemblea.”

 

La sera del 6 marzo vi fu una grande dimostrazione popolare con fiaccole e bandiere; il corteo si era mosso dalla sede del Circolo Popolare e dal Caffé delle Arti e si era ingrossato via via lungo il Corso fino ad arrivare sotto le finestre della locanda Cesàri. Allora Mazzini si affacciò alla finestra della sua stanza ed improvvisò un altro discorso che, cominciato piano e dimesso, salì man mano di tono e di calore toccando, alla conclusione, l’altezza solenne del pensiero mazziniano.

“Fratelli, io vi dirò cose confidenziali come si fa da uomo ad uomo, da fratello a fratello, lo non sono oratore affatto perché ho sempre vissuto nel ritiro, occupato di preparare com’io poteva quella impresa che ora voi compite in azione, grande, sublime; ma parlo col cuore, e non ho bisogno di altre parole perché lo crediate. Nell’entrare in questa grande, in questa eterna Roma, ho provato sensi di confusione e di timore alle dimostrazioni ricevute, perché sapeva non meritate. Voi, popoli, siete già grandi, ma dovete essere grandi anche di più di quello che foste finora.

E come io mi sento più forte e migliore qui tra voi, tra i vostri monumenti, tra le memorie del vostro gigantesco passato, voi dovete pensare che in una Roma, gli uomini devono essere schiavi o grandi: o dormire nel nulla, o vivere in tutta la potenza di vita libera, indipendente, sublime che Dio destinava alle sue creature. E per questo, voi non avete bisogno che di due cose: amare ed essere forti.

Amate Dio, la Patria, la Verità, la Virtù, il Genio, la Religione…

Ora grazie al principio repubblicano proclamato da voi in Roma, noi cominciamo un’epoca nella quale la moralità dev’essere la prima condizione del cittadino, nella quale l’uomo porterà sul labbro quello che porta nel cuore, nella quale ognuno sentirà la propria dignità e penserà e opererà alla luce del giorno. Amate la Virtù e il Genio; perché sono l’uniche cose che noi possiamo adorare o seguire senza disonore, senza prostituire l’anima nostra immortale…”

 

 

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