In occasione del conferimento della laurea honoris causa dell’Università Cattolica di Milano ha parlato anche dell’umiltà come dote necessaria per un bravo decisore.

I politici populisti fanno a gara per mettere alla berlina quelli che chiamano i “professoroni”. Il giudizio dell’uomo della strada viene ormai equiparato a quello di chi ha studiato, in televisione e sui social media.

Anche tra le élite culturali e professionali, è sempre più comune fare autocritica per le proprie mancanze, in una sorta di abiura collettiva tanto applaudita quanto inconcludente.

È pertanto rinfrancante rileggere l’elogio della competenza pronunciato da Mario Draghi in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università Cattolica di Milano. In uno dei suoi ultimi interventi pubblici da presidente della Banca Centrale Europea, Draghi si è adoperato in una coraggiosa difesa degli esperti, che a suo dire sono essenziali per risolvere problemi complessi come il cambiamento climatico o i rallentamenti economici.

Si tratta di un manifesto di grande importanza nell’era della cialtroneria e dell’improvvisazione. Soprattutto perché viene da un uomo che negli ultimi otto anni ha mostrato quanto siano importanti esperienza e preparazione per preservare il bene comune – nel suo caso tutelare l’unione monetaria europea dal rischio di rovinose crisi finanziarie.

Difendere gli esperti è prima di tutto una naturale conseguenza del modo in cui abbiamo strutturato le nostre società. L’istruzione obbligatoria, la selezione alla base di qualsiasi rapporto di lavoro, la presenza di standard minimi per svolgere molte professioni, sono tutti sintomi del fatto che come collettività crediamo nel valore della preparazione. Inoltre, quasi nessuno di noi è disposto ad argomentare che sia più giusto premiare una persona senza meriti, rispetto a chi si sia impegnato e abbia delle qualità.

Le vere questioni, su cui non si ragiona abbastanza, è permettere pari opportunità in partenza, e adottare criteri di scelta che riflettano davvero le capacità degli individui. Ma il principio della meritocrazia resta la più valida tra le basi di partenza possibili.

L’alternativa, infatti, è che la promozione di una nuova classe dirigente avvenga per altri motivi, tra cui, tipicamente, svetta la politica. Le connessioni clientelari sono la conseguenza inevitabile quando si predica il primato illimitato della volontà del popolo. I banchieri centrali, come appunto Draghi, conoscono bene questo problema. Negli ultimi decenni abbiamo deciso di affidarci ad esperti indipendenti per la conduzione della politica monetaria, perché la politica aveva prodotto iperinflazione e deficit pubblici fuori controllo.

Oggi l’autonomia dei banchieri centrali è di nuovo a rischio, come dimostrato dai continui attacchi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump contro la Federal Reserve.

Non vi è dubbio che anche gli esperti possano commettere degli errori. Nella sua lezione, Draghi fa giustamente riferimento all’umiltà come altra dote necessaria per un bravo decisore. Ma anche qui, l’alternativa appare più pericolosa.

Si pensi, ad esempio, all’arroganza dimostrata dalla giovane e impreparata classe politica del Movimento 5 Stelle quando si è accostata alla sua prima esperienza di governo. La tragicomica esultanza dal balcone di Palazzo Chigi di un anno fa, con l’allora vicepremier Luigi Di Maio che si vantava di aver abolito la povertà, trasudava una boria tipica di chi non comprende la reale dimensione dei problemi che sta affrontando. La stessa presunzione che spinge ad assumere incarichi ministeriali sempre più vari e complessi, senza alcuna preparazione.

In Italia, purtroppo, paghiamo anni in cui abbiamo rinunciato, fatte salve alcune eccezioni, a formare la classe dirigente del futuro. Abbiamo così perso la sfida della globalizzazione, con tanti giovani che sono giustamente andati all’estero a valorizzare il proprio talento.

Intanto, la dittatura del dilettantismo non ha prodotto nulla di buono. Faremmo bene ad accorgercene e a cambiare strada invece di continuare a scagliarci contro il nemico sbagliato.

Ferdinando Giugliano ( editorialista di Bloomberg Opinion) Repubblica  16/10/2019

 

Vedi:  Se la competenza non vale più nulla

La rivoluzione che serve davvero: non senza competenze

Il populismo e il pericolo dei movimenti "contro"

L'incompetenza non è la soluzione

 


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