Negli spazi pubblici delle nostre città si moltiplicano in questi giorni i presepi. Nella mia Firenze, il presidente del consiglio regionale della Toscana, Eugenio Giani (Pd), ne ha fatto realizzare una mostra nella sede del Consiglio, e ha teorizzato: “Con la mostra dei presepi in Consiglio regionale lanciamo un messaggio politico istituzionale, perché il presepe è al centro della nostra tradizione e deve caratterizzare gli spazi pubblici”.

D’altra parte, l’esempio viene dal vertice della Repubblica: il 12 dicembre il presidente Sergio Mattarella ha inaugurato al Quirinale, la casa di tutti gli italiani, un grandioso presepe materano. E durante il discorso alla nazione del 2015, alle spalle di Mattarella era stato disposto a favore di telecamera un presepe napoletano sotto una campana di vetro.

Ebbene, sia come cittadino di uno Stato laico sia come cristiano credente e praticante credo sia un errore grave. Naturalmente nella propria casa ognuno si comporterà come crede, e molti non credenti sceglieranno magari di farlo, il presepe, per celebrare la propria umanità attraverso un segno carico di significati connessi alla storia familiare e all’infanzia, come spiega con grazia ed erudizione Maurizio Bettini nel suo delizioso Il Presepio. Antropologia e storia della cultura, appena uscito da Einaudi.

Ma gli spazi pubblici, le parole e i gesti dei responsabili delle istituzioni e soprattutto le scuole (le scuole, dove si diventa cittadini della Repubblica) sono un’altra cosa: dove di sacro c’è la laicità dello Stato, delle sue sedi, dei suoi rappresentanti.

Centro Baobab. Roma

L’ultima discussione dell’assemblea Costituente (sotto Natale: il 22 dicembre 1947) riguardò l’opportunità di menzionare Dio nella Costituzione. Ma nemmeno il cattolicissimo Giorgio La Pira, che aveva avanzato quella proposta e poi la ritirò con encomiabile senso dello Stato, pensava a una formula cristiana: “L’importante è di non fare una specifica affermazione di fede, come è nella Costituzione irlandese: ‘In nome della Santissima Trinità’”.

Oggi non solo il discorso pubblico è lontano anni luce da quella grazia, ma il presepe e il crocifisso vengono branditi come simboli identitari – simboli “italiani”, che dunque devono venire “prima” – da seminatori di paura e d’odio.

Matteo Salvini pochi giorni fa ha dichiarato: “Chi tiene Gesù Bambino fuori della porta della classe, non è un educatore”. Ecco il punto: il ricatto politico, la strumentalizzazione bieca, il ribaltamento di ogni più elementare evidenza. Come si fa a educare mancando di rispetto ai bambini che si vorrebbero educare?

Qualche anno fa, un meraviglioso ristoratore fiorentino fece rimuovere i suoi mirabili prosciutti dal soffitto dalla stanza in cui un suo amico ebreo avrebbe festeggiato la sua laurea: senza che nessuno glielo chiedesse, come atto di accoglienza, rispetto e amore verso chi considera il maiale un animale impuro.

Sono gli stessi altissimi moventi che dovrebbero indurci a togliere ogni simbolo religioso dai luoghi che appartengono anche agli italiani non cristiani: che non sono ospiti, ma padroni di casa quanto lo sono i cristiani. Fin qua gli elementari rudimenti di una laicità mai imparata a praticare e ad amare.

Ma per un cristiano c’è dell’altro. Quando don Lorenzo Milani toglieva il crocifisso dall’aula in cui faceva lezione, spiegava: “Se uno mi vede eliminare un crocifisso non mi darà dell’eretico, ma si porrà piuttosto la domanda affettuosa del come questo atto debba essere cattolicissimamente interpretato perché da un cattolico è posto” (1953).

Quando il Consiglio di Stato francese ha detto che l’esposizione del presepe in luoghi civici non lede la laicità dello Stato (2016), l’ha motivato constatando che non si tratta di un simbolo religioso, ma di un puro arredo tradizionale. Parole che ricordando quelle con cui la Conferenza episcopale italiana difese a spada tratta l’esposizione nelle aule del crocifisso, definito dai vescovi “non solo simbolo religioso, ma anche segno culturale” e “parte del patrimonio storico del popolo italiano”.

Davvero il Dio fattosi carne, debolezza e povertà per vivere e morire con gli uomini si può ridurre a un segno culturale e identitario, tra il made in Italy e la pizza? E come si può degradare la scandalosa follia d’amore universale della Croce a valori come cultura, storia e identità di un singolo popolo?

Francesco inventa il presepe a Greccio, nella notte di Natale del 1223: e, come ha argomentato Chiara Frugoni, la creazione di una nuova Betlemme in Italia equivaleva ad una presa di distanza dalle crociate per “liberare” la vera Betlemme. Il presepe nasce come programma di pace, apertura e amore che nega alla radice l’idea che un’identità religiosa possa essere usata per definire un “noi” contro gli “altri”.

Salvini che brandisce il presepe come strumento di odio è una bestemmia.

Un italiano che creda al Vangelo e nella Costituzione non può che far sue le parole del Baobab di Roma, luogo di accoglienza per migranti che vagano in cerca di un albergo proprio come la Sacra Famiglia nella notte di Betlemme. Pochi giorni fa, Baobab ha raccontato l’incontro con 5 migranti: “Due donne in attesa, una al sesto mese. Avvolti nelle coperte che siamo riusciti a recuperare, riescono a raccontarci qualcosa della loro vita. Sul pavimento freddo, ghiacciato della stazione Tiburtina queste 5 anime hanno voluto raccontarci, felici, che ce l’hanno fatta. Noi non facciamo il Presepe, noi siamo il presepe”.

Tomaso Montanari      Il Fatto   24 dicembre 2018

 

vedi:  Scuola, presepe & cotechino: la banalità del razzismo

“Imporlo manca di rispetto a storia, religione e Stato”

L’insostenibile ipocrisia di chi vuole il presepe con i profughi, ma non i migranti

La sicurezza immorale

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