Sigmund Bauman ha segnato la fase conclusiva del secolo delle Ideologie e della fine delle «grandi narrazioni» (Jean Francois Lyotard). Un’epoca, quasi un’era, in cui la rivoluzione tecnologica, la crisi dell’industria fordista, la globalizzazione degli uomini e della merci hanno posto in crisi, fino a sbriciolarli, i fondamenti del «canone occidentale», fondato sul primato dello Stato Nazione e della Ragione ordinatrice. Con lutti i suoi corollari. A lui si deve la demarcazione tra Politica e Potere: «Il potere evapora nello spazio dei flussi, la politica nello spazio dei luoghi. Potere come possibilità di fare e politica come possibilità di potere fare».

Il potere naviga nei flussi (un concetto di Manuel Castells), nelle autostrade finanziarie che invadono e occupano i mercati; la Politica è diventata l’ancella del Potere. Una sorta di potere di «serie B» perché le grandi scelte ordinatrici, dalla Finanza alla Tecnica, non sono più esclusiva prerogativa della Politica. Il vero Potere è senza Stato e senza leggi e penetra in tutti i pori del pianeta. Così la fiducia, quasi messianica, che la Politica possa cambiare il destino degli uomini viene meno per la crisi dello Stato «vestfaliano» che aveva pieni poteri sui cittadini e sul proprio territorio.

E questo è alla base della crisi delle teorie keynesiane – scrive Bauman, in un saggio con Bordoni - che non sono «compatibili» con l’economia finanziaria che è «deterritorializzata». Non ha un territorio. E ovunque e in ogni luogo. La conseguenza è che con la «crisi» occorre convivere. Essa non è più congiunturale, ma è sostanziale. Bauman non si arrende al nuovo ordine e scrive che «anche la mano invisibile del mercato non gode di ottima salute perché siamo tutti consapevoli che lasciali a se stessi, i mercati, guidali dal profitto, portano a catastrofi economiche e sociali».

A Bauman, che si definì un «artigiano della prosa sociologica», si deve il merito di avere codificato queste trasformazioni culturali e di avere descritto l’architettura in costante divenire della «modernità». La sua fortuna, soprattutto verso il grande pubblico, è legata al suo saggio fondamentale, quello sulla Modernità liquida che è diventato una sorte di “bibbia” interpretativa del pensiero sociologico e filosofico contemporaneo. In contrapposizione con il tempo della «modernità solida», quella novecentesca, fondata sul primato delle ideologie e delle concezioni del mondo e della vita, il filosofo di origine polacca introduce il nuovo paradigma della modernità liquida

Che cosa vuol dire? In estrema sintesi, che nel tempo dominato dalla velocità delle innovazioni, dall’obsolescenza organizzata, e dai cambiamenti dall’industria alla post-industria (Inglehart), dalle ideologie alla fine delle ideologie, dallo Stato Nazione, alla globalizzazione, le idee, le convinzioni non hanno più «tempo» per solidificarsi, per diventare il «nuovo canone».

Tutto, dalla vita pubblica a quella privata, cambia con tale velocità da non permettere e non consentire una vita stabile. Anzi, il nuovo tempo rifugge e ostacola i tentativi di costruire un «profilo» ordinativo. La flessibilità, in tutti i suoi crismi, è il nuovo ordine. A partire dal mondo del lavoro. Il vecchio sogno del posto fisso, a un tiro da casa, non regge più nel turbo-capitalismo.

Ai lavoratori è richiesta la capacità di essere in costante movimento, e la disponibilità di cambiare più volte, nella vita, non solo lavoro, ma anche il luogo fisico della propria vita. Il motivo? Non per la famelica voglia del capitalismo di fagocitare i sui «schiavi», ma perché è il capitalismo stesso, nella sua costante vocazione al cambiamento e all’innovazione, a cambiare i suoi parametri. Quindi, a distruggere vecchi posti di lavoro e a produrne di nuovi. Un processo «darwiniano» che ha – dice Bauman – come effetto quello di creare le «vite di scarto».

Chi sono? I milioni di lavoratori che il turbinio della modernità liquida rende obsoleti. Incapaci di rispondere alle esigenze del nuovo ordine. Le periferie delle megalopoli contemporanee sono affollale da tante «vite da scarto». Che premono la «cittadella assediata» (La società sotto assedio) di chi ha un profilo flessibile e che da casa organizza la propria esistenza. Sono i quartieri, eleganti e ipersicuri di coloro che vivono a New York o a Londra e che, dal computer di casa propria, governano il mondo. Assumendo il ruolo di Dio: «I verdi pascoli globali in cui si ingozzano le corporazioni multinazionali».

Bauman, nella sua copiosissima attività pubblicistica (in Italia soprattutto grazie alla casa editrice Laterza), ha plasmato il suo paradigma agli ambiti della vita individuale: dall’amore alle paure umane. In Amore liquido, un altro saggio di indubbio successo, analizza la trasformazione del sentimento amoroso. Anche i rapporti sentimentali, in un mondo in cui tutto cambia velocemente, non possono più essere quelli di una volta. Amare una donna o un uomo per tutta la vita è un desiderio figlio del tempo «solido». Ora, legarsi ad una persona in maniera seria e duratura, può essere controproducente rispetto alle esigenze del mercato. Essere «leggeri», «flessibili» anche nei rapporti amorosi indica la disponibilità a non avere legami stabili. Che possono diventare «punitivi» degli aspettative di vita.

Nella sua riflessione che ha toccato tutto lo spettro della politica e dell’ economia contemporanea, fino alle dimensioni della vita individuale Bauman ha analizzato anche i temi di estrema attualità: dall’arroccamento dell’Europa dinanzi al profilarsi dell’ “invasione” degli immigrati; agli effetti molteplici dell’esplosione di Internet sulla politica e sui rapporti tra le persone.Che il web «neutralizza», con lo stereotipo del «contatto perenne».

Nulla di più evanescente, dice. Il web nasconde l’incapacità dell’uomo contemporaneo, privo di «centro», di rapportarsi con gli altri. Il rapporto faccia a faccia è impegnativo. implica partecipazione e inclusione. Sul web, è sufficiente un click per cancellare e «bannare» un indesiderabile. O chi ci costringe a metterci in discussione.

L’uomo contemporaneo – afferma Bauman – cambia pelle: il consumo è la sua unica ideologia: «Il punto non è che l’uomo perde la fede nei valori eterni che vanno oltre l’orizzonte dell’attimo corrente. Il fatto è che è l’eternità ad avere smesso di essere un valore per il normale abitante del mondo mercantile consumistico». Un artista del nostro tempo. Un liquidatore delle certezze che aveva, invece, con sé tutto il bagaglio e le sofferenze del Novecento.

Michele Cozzi      La Gazzetta del Mezzogiorno  10/1/2017

 

vedi: Una nuova politica

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L’Europa disarcionata

Rousseau e la lotta al consumismo

 


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