La sfiducia nella poltica indebolisce la forma di governo.Ecco l’analisi del nuovo saggio di Zagrebelsky.
È forse libera una società in cui tutti hanno il diritto di voto ma non lo esercitano?
Se ai cittadini si sostituiscono i consumatori finisce per prevalere il plebiscito del mercato.

IL LIBRO:  Anticipiamo una sintesi da:      Moscacieca di Gustavo Zagrebelsky   (Laterza, pagg. 114, euro 14).


Tra le tante insidie linguistiche che fanno presa nel nostro tempo c’è la “governabilità”, una parola venuta dal tempo dei discorsi sulla “grande riforma” costituzionale che hanno preso campo alla fine degli anni Settanta e, da allora, ci accompagnano tutti i giorni. Cerchiamo di rimettere le cose a posto, a incominciare dal vocabolario. I sostantivi e gli aggettivi modali in “…abilità”, “…ibilità”, “…abile”, “… ibile”, ecc. esprimono tutti un significato passivo: amabilità è il dono di saper farsi amare; invivibile è la condizione che non può essere vissuta; incorreggibile è colui che non si lascia correggere.

La stessa cosa dovrebbe essere per “governabilità” e “ingovernabilità”: concetti aventi a che fare con l’attitudine a “essere governati”. In questo senso, tale attitudine può essere propria soltanto dei “governandi”, non dei “governanti”. Sono i governandi, coloro che possono essere più o meno “governabili” o “ingovernabili”, a seconda che siano più o meno docili o indocili nei confronti di chi li governa. Oppure, si potrebbe usare propriamente la parola per indicare l’insieme di coloro che hanno da essere governati e delle loro istituzioni: governabilità d’insieme. Della parola, tuttavia, si abusa certamente quando la si usa per indicare unilateralmente il bisogno di efficaci strumenti di governo (nel senso del memorandum della banca d’affari J.P. Morgan): è come se il governo stesso, cui spetta governare, potesse dirsi, esso stesso, più o meno governabile, più o meno docile. Tutte le volte che si usano male le parole, si fa confusione e ci si inganna vicendevolmente. Qualche volta, inconsapevolmente, si tradisce un retro-pensiero che si vorrebbe rimanesse nascosto e che, invece, fa capolino tra le parole. Se l’attitudine a essere governati si riferisce alla società, ben si comprende a chi spetti il compito di governarla; ma, se la si attribuisce alla macchina di governo, allora la domanda che sorge, non maliziosa ma realistica, è: governabile, sì, ma da chi? Docile, sì, ma nei confronti di chi?

Nei regimi democratici, la governabilità, nel senso improprio detto sopra, cioè nel senso della forza che legittima l’azione del governo, deve dipendere dalla libera partecipazione politica e dal coinvolgimento attivo dei cittadini, dal confronto e dalla discussione su cui si forma l’ humus delle decisioni politiche, dal consenso che si manifesta innanzitutto con il voto e dalla fiducia che viene riposta in coloro che se ne faranno interpreti operativi. Quale che sia la definizione di democrazia, immancabile è, dunque, il voto che esprime la volontà di autonome scelte. Se manca il voto dei cittadini, ogni definizione è ingannevole. Il voto non è sufficiente, ma è necessario. Può sembrare una banalità, ma non lo è. Gaetano Salvemini, lo storico antifascista che Norberto Bobbio ha incluso nel pantheon dei suoi “maestri nell’impegno”, scriveva nel 1940 dal suo volontario esilio negli Stati Uniti: «La parola democrazia è adoperata anche per indicare dottrine e attività diametralmente opposte a una delle istituzioni essenziali di un regime democratico, vale a dire l’autogoverno.

Così noi sentiamo di una cosiddetta “democrazia cristiana” che, secondo la Catholic Encyclopedia, ha lo scopo di “confortare ed elevare le classi inferiori escludendo espressamente ogni apparenza o implicazione di significato politico”; questa democrazia esisteva già al tempo di Costantino, quando il clero “dette inizio all’attività pratica della democrazia cristiana”, istituendo ospizi per orfani, anziani, infermi e viandanti. I fascisti, i nazisti e i comunisti hanno spesso dato l’etichetta di democrazia, anzi della “reale”, “vera”, “piena”, “sostanziale”, “più onesta” democrazia ai regimi politici d’Italia, della Germania e della Russia attuali, perché questi regimi professano anch’essi di confortare ed elevare le classi inferiori, dopo averle private di quegli stessi diritti politici senza i quali non è possibile concepire il ‘governo dei popoli”».

Primo fra tutti, il diritto di andare a votare. A modellare una società in senso democratico, non basta però che i diritti siano riconosciuti. Occorre che siano esercitati. Che cosa contano, se non se ne fa uso? È forse libera una società in cui alla scienza, all’arte, all’insegnamento, alla stampa, ecc., è riconosciuto il diritto di essere liberi, se poi gli scienziati, gli artisti, gli insegnanti, i giornalisti rinunciano a farne uso? Lo stesso è per il diritto di voto. È forse democratica una società in cui tutti i cittadini hanno il diritto di votare, ma non ne fanno uso? È democratica una società in cui la maggioranza rinuncia ad esercitare il proprio diritto di voto? Non sono costretti a rinunciare da leggi antidemocratiche; lo fanno volontariamente. Ma è forse questo meno grave? Al contrario, è più grave, poiché la rinuncia volontaria all’esercizio del primo e basilare diritto democratico sta a significare che la frustrazione della democrazia è stata interiorizzata, è entrata nel midollo della società.

Occorre interrogarsi su questa manifestazione di stanchezza della democrazia e, innanzitutto, sul fatto ch’essa non sembra fare problema, porre domande. È un dato accettato, tanto in alto quanto in basso. In basso, cioè tra i cittadini, non deriva più (soltanto) dal sentimento antipolitico e antiparlamentare che è sempre pre-sente in ogni società e nella nostra in misura cospicua, alimentato dall’incredibile diffusione della corruzione pubblica che viene alla luce. Deriva da una convinzione assai più profonda e difficilmente scalzabile. Non si dice più (soltanto): sono tutti uguali perché tutti disonesti, ma: sono tutti uguali perché l’uno uguale all’altro nell’inutilità e nell’inconcludenza. In breve: è la fiducia nella politica che sta progressivamente riducendosi, poiché si avverte, consapevolmente o inconsapevolmente, che “la cosa” è come sfuggita di mano.

In alto, alla voragine dell’astensione, dopo ogni tornata elettorale, si dedica qualche espressione di rammarico, unita alla promessa di riallacciare il filo che si è spezzato. Ma è pura retorica che si ferma alle parole. Né si saprebbe come fare, perché il distacco dei grandi numeri dalla politica, che è un dato allarmante alla luce di qualunque concezione anche solo “minima” della democrazia, è perfettamente conforme allo spirito della vigente costituzione materiale che ha nel governo tecnico-esecutivo la sua colonna portante: il “governo governabile”. Le elezioni, da linfa della democrazia, si sono trasformate in potenziali intralci. Dunque, meno si vota e meglio è. Del resto, non è stato detto da qualcuno, facendo il verso alla celebre definizione di nazione di Ernest Renan, che i governi europei, scalzati dagli “esperti monetari”, hanno fatto prevalere il “permanente plebiscito dei mercati mondiali” sul “plebiscito delle urne” (così Hans Tietmeyer, presidente della Bundesbank, nel 1998)?

In effetti, se ai cittadini si sostituiscono i produttori e i consumatori, i creditori e i debitori, i venditori e i compratori, il plebiscito del mercato risulta essere la democrazia nella sua forma più coerente. Una volta che le sorgenti sociali della governabilità si siano inaridite, la governabilità, intesa impropriamente come capacità di governo, da problema di democrazia politica si trasforma in questione di ingegneria costituzionale al servizio dell’efficienza dei mercati, i quali hanno bisogno di costituzioni reattive alla loro continua instabilità, di decisioni pronte, assolute e cieche, cioè di interventi esecutivi. Una volta si sapeva e si diceva che l’ingegneria costituzionale non esiste in quanto tale; che non si deve far finta che abbia a che fare solo con questioni di efficienza. Ogni questione di natura propriamente costituzionale è sempre una questione di allocazione di potere. Oggi, quella verità vale pur sempre, ma la si nasconde negli interminabili convegni, tavole rotonde, pubblicazioni, dichiarazioni che sembrano tutti rivolti a una idea vuota di “vita costituzionale buona”, per l’appunto l’idea di “governabilità”, ed invece mirano a nuove e interessate allocazioni di potere.

Gustavo Zagrebelsky    Repubblica 21.10.15

 

 

Zagrebelsky e i governanti “inutilmente spensierati”

“MOSCACIECA”  Il nuovo saggio del giurista   Senza progetti,tirano a campare. Per“durare sempre ancora un giorno in più”

C’è il gioco che facevamo, bendati, da bambini. Ma c’è anche la metafora di Wittgenstein: il nuovo libro di Gustavo Zagrebelsky s’intitola Moscacieca. E fa davvero pensare all’insetto nella bottiglia di cui il filosofo austriaco parla nelle Ricerche filosofiche.La mosca si dibatte,in cerca di una via d’uscita. Così noi: “Non siamo sicuri nemmeno di quali siano le incognite con le quali dobbiamo fare i conti. Contrasti e conflitti scoppiano qua e là, per ora perifericamente, ma sempre più numerosi; minacciano esplosioni sempre più grandi e mirano al cuoredelmondocheabbiamo costruito. Il pensiero vacilla. Il caos inghiotte la comprensione e la volontà si smarrisce”.

Provando a guadagnare la salvezza (la via d’uscita attraverso il collo della bottiglia) il panorama non è dei più rassicuranti: “Poteri economico-finanziari e tecnologici mossi da inesausta,illimitata e cieca volontà di potenza che seminano tempeste; organizzazioni criminali che controllano interi settori di attività illegali e accumulano ricchezze ingenti con le quali avvelenano la vita economica e i rapporti politici; circolazione incontrollata di armi micidiali che alimenta conflitti; violenza che dilaga anche in forme terroristiche”. Quadro fosco, foschissimo: dunque l’autore potrebbe essere immaginato nel pantheon dei gufi viste,per esempio, le sue posizioni sulla riforma del Senato (sul tema, indimenticabile l’intervista al Corriere del premier Renzi, quando disse “Si può essere in disaccordo con professoroni o presunti tali senza diventare anticostituzionali. Io ho giurato sulla Costituzione,non su Rodotà o Zagrebelsky”).

Invece il movente di questo libro è rasserenante, perché è la ricerca di una strada per il domani, possiamo dire Contro la dittatura del tempo presente, trappola pericolosa perché trasforma società e governi in cicale dissipatrici. Il potere economico ha sopravanzato quello politico, ci si è alleato subordinandolo: “Negli organi di governo, nelle posizioni-chiave, siedono ormai solo uomini di fiducia dell’oligarchia finanziaria”. Quello dei governi esecutori è anche un Tempo nichilista –come s’intitola un capitolo di Moscacieca – dove il mezzo e lo scopo coincidono: “Se lo scopo del denaro è sempre altro denaro, la ricerca della sua crescita e dell’accumulazione è una forza devastatrice: nichilista e, al tempo stesso, devastatrice. Con i suoi templi (Wall Street o Piazza Affari), dove gli adepti, perfino i capi di governo, si recano per ‘fidelizzarsi’ e ricevere la consacrazione”. E poi “sacerdoti, sacramenti, parole d’ordine, catechesi, vittime sacrificali e capri espiatori, fede ‘cattolica’ con i suoi custodi, propagandisti e missionari (i brokers), le sue Inquisizioni (le agenzie di rating), promesse di vita futura indefinita, se non proprio eterna.”.

Anche se ateo e nichilista , può essere assimilato a una religione, con la sua ortodossia di cui la moneta è il simbolo. Ha le sue liturgie, celebrate in occasioni rituali, meeting, conferenze, forum cui partecipa un pubblico selezionato di persone di sicura fede. Ha modelli di vita esclusiva, pervasivi dell’immaginazione dei deboli, ha i suoi status e sex symbols, i suoi centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tank, uffici di marketing politico, culturale e commerciale, in cui vivono e prosperano gli ‘intellettuali’ e gli opinionisti del nostro tempo, in realtà consulenti e propagandisti che, consapevoli o inconsapevoli, partecipano alla formazione di una vera e propria ideologia”.

Dunque ecco i nostri nuovi Stati confessionali,dove dio è il denaro, i Paesi sono imprese (cfr “l’Azienda Italia”) e dunque possono perfino fallire. E una banca d’affari come JP Morgan (nel Report 2013) può permettersi di manifestare tutta la propria insofferenza nei confronti delle costituzioni democratiche del dopoguerra, “socialiste”, senza che nessuna voce critica si alzi. Del resto anche quando, un anno prima, il presidente Mario Monti disse allo Spiegel che i governi avevano il dovere di educare i propri parlamenti, nessuno (in Italia) proferì parola.   Il rapporto presente-futuro si può leggere anche attraverso la nuova contrapposizione “ottimisti versus pessimisti”. A cui il professore dedica l’epilogo del suo pamphlet. Con quella che solo in apparenza è una battuta, Norberto Bobbio disse:“Non tutti gli ottimisti sono sciocchi, ma certo tutti gli sciocchi sono ottimisti”. Dopo una breve analisi delle categorie possibili (pessimisti, sciocchi e non; ottimisti, sciocchi e non) Zagrebelsky si dedica ai politici…

da   Il Fatto Quotidiano    23/10/2015.

 

vedi: Tra politica ed economia

La maschera democratica dell'oligarchia

Tentazioni, consumo, mercato e religione

La democrazia dell’indifferenza

Non umiliate il parlamento

Vivere in un mondo non di cittadini, ma di consumatori

Come cambiare la sinistra di destra

Votare per contare

Nel Paese che ha bandito la parola onestà

Democrazie di facciata

Il paradosso della Costituzione


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