La politica sembra spezzata tra un dentro che decide e un fuori che sente di avere un ruolo irrilevante

OSCAR Wilde diceva che «il problema del socialismo è che impegna troppe serate ». L’accusa di far perdere tempo ai cittadini occupandoli di politica troppi giorni all’anno era ancora più calzante per la democrazia, anche per questo tradizionalmente poco apprezzata. A giudicare da quel che registriamo nelle nostre società, il problema della panpolitica sembra definitivamente risolto. La situazione è anzi rovesciata: la democrazia non interessa più così intensamente, e la politica occupa pochissimo del tempo dei cittadini, lasciandoli anzi progressivamente più indifferenti.

La fine della democrazia dei partiti ha completato il ciclo dell’interesse per la politica e sancito l’età del disimpegno. L’indifferenza verso la politica è oggi l’emozione più popolarmente estesa, ha scritto Peter Mair nel suo ultimo libro, Ruling the Void (“Governare il vuoto”).

La democrazia dei partiti è passata. I partiti persistono, benché siano sconnessi dalla società larga, protagonisti di battaglie che sempre più spesso mirano a rafforzare il loro potere istituzionale. La fotografia che ci consegna l’inchiesta recente svolta da Ilvio Diamanti per Repubblica conferma questo stato di cose: «La marcia di Matteo Renzi al governo procede senza scosse e senza accelerazioni particolari. Da tempo non riesce più a sollevare entusiasmo. Le speranze, attorno a lui, si sono raffreddate. Ma, per ora, non sembra in pericolo». Senza entusiasmo, raffreddamento dell’interesse, ma stabilità. Continuità per forza di inerzia.

L’indifferenza è la cifra della democrazia odierna. Impoverita di partecipazione, depotenziata di efficacia a causa della fine della democrazia dei partiti, la cittadinanza è resa ad arte luogo di emotività a sostegno o come contorno di leader, svuotata di effettivo interesse perché depauperata del potere di influenza. I “partiti cartello” svolgono essenzialmente solo la funzione di cooptazione del personale politico da portare nelle istituzioni, che cercando di adattare più che possono a questa nuova loro identità, sancendo nelle norme la diminuita rilevanza del cittadino come agente di sovranità. A questa riconfigurazione del partito tutta interna alle istituzioni corrisponde una caduta di interesse dei cittadini per la politica, in larghe fasce di popolazione una vera e propria indifferenza verso la democrazia e le sue regole.

Un termine, questo di “indifferenza”, che non denota necessariamente reazione contro la politica, uno stato emotivo che è tutto sommato espressione di una qualche pulsione mobilitante. Del resto, gli avvenimenti politici appaiono impermeabili all’influenza dei cittadini e lo stesso voto sembra poco incisivo e di fatto non identificato con la più importante espressione di sovranità. Fareed Zakaria ha addirittura scritto che il modello occidentale di democrazia potrebbe a questo punto fare a meno anche degli elettori, poiché il suo centro sono gli istituti di controllo più che gli organi elettivi.

Alcuni studiosi parlano infine di una trasformazione della rappresentanza, sempre meno associata alla formazione delle assemblee legislative e al voto e sempre più intesa come rappresentazione simbolica di questioni o rivendicazioni ( claim representation ), mezzo per sollevare problemi più che per convogliarli verso la decisione.

La politica si spezza in due: quella che determina le decisioni che è sempre più un affare dei pochi che i partiti-cartello captano e cooptano; quella che giudica e commenta da fuori con scarsa o alcuna influenza e che è esercitata dai cittadini nei luoghi di opinione non direttamente politici, come le associazioni, i blog o i social network.

Con l’esito che chi decide non ascolta e chi da fuori osserva e giudica non è ascoltato. È prevedibile che neppure la democrazia dell’audience reggerà alla caduta di interesse. Poiché assistere a uno spettacolo fatto da altri comporta in fondo interessarsi presumendo che le opinioni del pubblico non siano inermi. Questa ulteriore trasformazione della democrazia da audience a democrazia indifferente è misurata dagli studiosi in relazione a due fattori: la partecipazione al voto e l’arruolamento nei partiti. L’astensione elettorale è una piaga generalizzata in tutti i paesi a cosiddetta democrazia matura.

A partire dagli anni Novanta, e senza interruzione, il trend di questo declino ha marcato i comportamenti elettorali dei cittadini di tutti i paesi europei. Parallelamente, è consolidata l’emorragia degli iscritti ai partiti (l’inversione di tendenza recepita nel Labour in seguito all’elezione di Corbyn conferma questo trend). L’abbandono dei partiti è stato in alcuni casi esemplari accompagnato dalla creazione di partiti non-partiti, di partiti-movimento. Questi hanno generano attenzione polemica e mosso l’opinione, ma senza dimostrare di riuscire a ridare efficacia alla cittadinanza, senza riuscire a rompere l’incantesimo della politica spezzata tra un dentro che decide e un fuori che sente di avere un ruolo irrilevante, indifferente all’andamento delle cose politiche.

Nadia Urbinati     Repubblica 18.9.15

 

vedi:  Il cortocircuito tra i sovranisti e il popolo

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