Repubblica: res publica: la “cosa”comune a tutti e proprietà di nessuno. Lo spirito che anima dall’interno ogni interesse particolare, ogni professione, gli affetti e le idee di ciascuno, senza che nessun carattere possa imprigionarlo in sé, presumere di esserne l’incarnazione.

La repubblica è la molteplicità dei punti di vista che si incontrano e scontrano, ma punti di vista responsabili, capaci di riflettere l’intero e di cercare di rispondere ai problemi comuni. Il repubblicano ha come proprio nemico mortale chi ritiene che proprio quella molteplicità sia fonte di debolezza, di impotenza a decidere, di latente anarchia.

Il repubblicano tiene per certo che essa invece è azione, energia, coscienza vitale, che da essa soltanto può venire la creatività del nostro lavoro, delle nostre fatiche.

La Repubblica Romana del 1849

Il più saggio degli uomini, secondo Nietzsche, Spinoza, diceva che la repubblica democratica è il regime più vicino alla libertà che la natura umana ci conceda. La nostra libertà ci appare a volte non molto più di una vaga idea; nella vita ci ritroviamo condizionati da ogni lato. E sono i governi spesso a conculcarla.

Lo spirito della repubblica ci incita contro quei governi che ritengono la res publica affare loro e parlano di libertà e di diritti come fossero graziose concessioni. Ancora più il repubblicano insorgerà contro quei regimi che promulgano imperativi assurdi, che contrastano il nostro bene supremo, l’esser dotati di ragione.

La repubblica democratica afferma che i nostri diritti naturali sono inalienabili e che ognuno di noi ha liberamente deciso di trasferirlo alla maggioranza della società di cui fa parte. In ciò consiste l’uguaglianza fondamentale.

L’idea di repubblica contrasta radicalmente con ogni ideologia paternalistica e organicistica della società. Non esiste Monsieur Le Peuple; esistono interessi, parti, coscienze personali, capaci di dar vita a corpi autonomi, ma che, proprio perché coscienti, sanno di dover interagire tra loro, cooperare, intendersi. Il repubblicano detesta il linguaggio dell’indifferenziato, del grumo, della massa.

Che è sia il linguaggio del servo, sia di chi vorrebbe ergersi a padrone. Se il servo non ha voce propria, il padrone non ha che quella astratta della volontà di dominio. Ma dominare è possibile soltanto sui morti. Il repubblicano lotta per un governo di viventi, armoniche o dissonanti che ci sembrino le loro voci. Concordia di opposti.

E come non è mai servo, il repubblicano non potrà essere neppure figlio. Le similitudini tra Stato e famiglia, tanto care a una millenaria retorica, gli sono radicalmente estranee. Il repubblicano forma il proprio governo, e non ne è affatto figlio. Un governo paterno o materno, che lo voglia educare, che lo ammaestri intorno a ciò che per lui sarebbe utile o dannoso, male o bene, è lontano dallo spirito della repubblica forse ancora più di una dittatura.

Poiché ogni forma di paternalismo misconosce la forza, l’autonomia, la responsabilità che esistono almeno in potenza nel nostro intelletto e quindi nelle opere di cui è capace. È il repubblicano, attraverso l’espressione del proprio voto, e prima ancora delle proprie autonome organizzazioni, a indicare al governo ciò che dovrà ritenersi utile alla durata e al rafforzamento della repubblica.

La Repubblica Napoletana del 1799

Ciò comporta alcune gravi conseguenze, ben presenti ai padri della nostra Repubblica, e le cui tracce sono chiare nella nostra Costituzione. Queste tracce vanno ricordate e fatte maturare oggi più che mai, occorre che divengano di nuovo spirito costituente, e così anche il presidente Mattarella celebra il 2 giugno.

La repubblica esige cittadini responsabili nel loro lavoro e insieme verso la res publica. Essere responsabili significa essere in reciproco rapporto, considerare l’essere in relazione come fattore essenziale della nostra stessa identità. Essere in relazione comporta capacità di ascolto, cura per la conoscenza dell’altro, prima ancora che per il suo stato economico o di salute.

Non si dà repubblica se mancano questi cives. Non si dà repubblica senza repubblicani.

Se abbiamo governi che legiferano irragionevolmente, o governi-padrone, o governi-padre, o pseudo-repubbliche oligarchiche-autoritarie, se questa è la deriva che si svolge sotto i nostri occhi, ciò non può avvenire che per nostra complicità.

La repubblica democratica è certamente il regime più vicino alla libertà, ma ha bisogno di soggetti che si vogliono liberi, che reagiscono all’altra tendenza della nostra natura, quella che per inerzia, pigrizia, viltà ci spinge alla servitù all’ombra del potere.

È una lotta in noi, che dobbiamo sostenere ogni giorno. Difficile, faticosa, ma il bello è difficile, diceva un altro saggio.

Massimo Cacciari, filosofo      La Stampa    02 Giugno 2020

 

 

La Repubblica che non siamo mai stati

Settantaquattro anni dopo, a scorrere l’elenco dei personaggi eccellenti che nel referendum del 1946 scelsero di schierarsi per la monarchia, per ragioni che avevano per lo più a che fare con la diffidenza nella maturità democratica dell’Italia e non con la devozione ai Savoia, e a confrontarlo con le leadership dell’Italia repubblicana che aspirano a succedere a Sergio Mattarella, la scelta di Benedetto Croce, Enrico Di Nicola o di Luigi Einaudi pare con gli occhi di oggi assistita da una particolare forza profetica.

È vero che la progenie del Re di maggio non ha dato prove di particolare brillantezza, ma i pretendenti al trono repubblicano che s’avanzano alle spalle di Mattarella non sembrano dotati di particolare tempra e virtù.

Se la scelta della Repubblica era una scelta di “garanzia democratica” la storia repubblicana si è incaricata in parte di smentire questa speranza (proprio dal Quirinale Scalfaro e Cossiga hanno l’uno tentato, e l’altro realizzato veri e propri oltraggi alla legalità costituzionale) e in ogni caso di escludere che l’accesso non ereditario alle stanze del Quirinale mettesse la democrazia italiana al sicuro da ogni pericolo.

In quest’ultima legislatura, il voto sulla Presidenza della Repubblica è diventato da oltre un anno l’alibi di un governo di continuità populista, che continua a fare tutto quello che Salvini aveva deciso andasse fatto all’Italia e dell’Italia, ma che è risoluto a rimanere in carica fino all’ultimo giorno di legislatura, con la missione patriottica di impedire a Salvini (che peraltro nel 2022, come Gigliola Cinquetti, non avrebbe ancora l’età) di mettere le mani sul sommo scranno della Repubblica.

Così il Quirinale nella retorica politica è diventato, da luogo in cui si compie l’unità costituzionale della Repubblica, l’alibi che consente di trascinare l’unità populista di una delle più paradossali e disgraziate legislature repubblicane.

Di tutte le buone e sacrosante ragioni e opportunità per diventare una Repubblica – e non semplicemente una non-monarchia – l’Italia ne ha colte e meritate ben poche, in questi decenni, rimanendo nel suo funzionamento istituzionale e nei suoi processi politici “profondi” legata a un modello di infedele sudditanza e non di leale cittadinanza, appresa in lunghi anni di dominazione straniera e mai del tutto dismessa neppure dopo l’indipendenza.

Continuiamo a inseguire il sogno di avere un Re che faccia il bene del popolo, non l’ambizione di essere un popolo che si faccia il bene da sé. Anche l’intensità della febbre populista in Italia rispetto agli altri paesi europei è un sintomo di questa antica malattia.

E per ironia della storia, l’ultimo della lunga serie di autoproclamati sovrani amici e salvatori del popolo, quello senza corona ma con la pochette, è uno dei candidati (o auto-candidati) più autorevoli alla presidenza di quella Repubblica, che non siamo mai riusciti a diventare.

Carmelo Palma    in www.stradeonline.it 2/6/2020

 

 

 

“Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti  nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.”

Sandro Pertini (1896- 1990), dal messaggio di fine anno agli italiani del 1979.

 

“L’ Italia: una Repubblica moribonda, ma ancora piena di risorse suicide.”

Roberto Gervaso (1937- 2020), giornalista e scrittore

 

 

 

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