Adesso basta. L’incredulità e la vergogna suscitate dagli irripetibili messaggi d’odio antisemita indirizzati senza nessuna pietà, al ritmo di duecento al giorno, contro Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz dove morì suo padre, per la sola colpa di essere ebreo, mi costringono a riconoscere un errore di sottovalutazione.

Per anni ho respinto le amichevoli critiche di Betti Guetta, la coordinatrice dell’Osservatorio Antisemitismo del Cdec (Centro di Documentazione Ebraica di Milano), perplessa dalla mia scelta di ignorare gli insulti razzisti che infestano quotidianamente sui social network ogni mio intervento.

Liliana Segre

Denunciarli, pensavo, avrebbe dato importanza a pochi imbecilli, per lo più anonimi. Non volevo far loro pubblicità. E non volevo attirarmi l’accusa di vittimismo. Tanto più che al giorno d’oggi l’ostilità xenofoba si accanisce con maggiore sistematicità contro altre minoranze etniche e religiose. Ma ormai è evidente che mi sbagliavo.

L’antisemitismo si conferma essere la matrice originaria e insopprimibile di un odio generalizzato. Siamo in presenza di un fenomeno certamente minoritario e però diffuso, organizzato. Che recupera gli antichi stereotipi sugli ebrei amanti del denaro, li nutre con l’avversione rivolta contro lo Stato d’Israele, ma trova il suo culmine nello scherno per le vittime della Shoah e nell’ammirazione tributata ai carnefici.

La nomina di Liliana Segre a senatrice a vita ha indispettito questi fanatici. Ma bersaglio sistematico delle loro invettive, non a caso, è anche Emanuele Fiano, figlio di Nedo, un altro sopravvissuto al lager. L’attacco alla sinagoga di Halle, in Germania, nel giorno del digiuno del Kippur (“gli ebrei sono all’origine di tutto”), e ancora mercoledì scorso l’assalto di cinquanta neonazisti in divisa a un centro culturale ebraico di Budapest, confermano che l’antisemitismo propagandato online cammina sulle gambe di un’estrema destra pronta a trasformare le minacce in azione violente.

Non illudiamoci che l’Italia ne sia immune. Gli adolescenti che si divertivano a intitolare “Shoah party” la loro chat fanno il paio con gli ultras da stadio profanatori dell’immagine di Anna Frank. Gli stessi che prima di una partita di calcio della Lazio hanno marciato per le vie di Glasgow facendo il saluto romano. E che, dalle loro curve, rivolgono in coro agli avversari il grido “ebrei!”, come se si trattasse di un insulto.

All’astro nascente della destra italiana, Giorgia Meloni, non deve essere più permesso di fare la finta tonta, quando adopera l’epiteto “usuraio” all’indirizzo di George Soros. E il partito di governo M5S non può permettersi di ospitare nelle proprie file un senatore come Giancarlo Lannutti che condivide come veritiera la citazione del falso libello antisemita sui “Protocolli dei Savi di Sion“.

Stroncare la propaganda del veleno razzista, come ha chiesto ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, deve essere assunta come priorità assoluta da parte di tutte le forze politiche che finora avevano ignorato la richiesta, formulata un anno fa da Liliana Segre, con una apposita proposta di legge, di istituire una “Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo e antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza“. E non sarebbe male, nella circostanza, se il Senato della Repubblica restituisse alla sua Commissione Diritti Umani la preziosa funzione che svolgeva nella scorsa legislatura.

Spiace che per ottenere questo minimo risultato sia stata necessaria la denuncia del Cdec pubblicata ieri su Repubblica da Piero Colaprico. Non avremmo mai voluto leggere quell’immondezzaio di contumelie rivolte a una donna che porta tatuato sull’avambraccio il numero 75190 e che da anni, ben prima di onorare con la sua presenza le nostre istituzioni, svolge opera di testimonianza nelle scuole italiane.

Adesso basta. Basta anche con chi sfregia la memoria definendo un “derby” tra fascisti e comunisti la Resistenza, come se la storia non avesse più nulla da insegnarci. È venuto il momento di far seguire allo sdegno i fatti.

Gad Lerner       Repubblica    27/10/2019

 

 

“Liliana Segre, ebrea. Ti odio” Quegli insulti quotidiani online.

Leggiamo da un post una raffica di insulti irriferibili: «Questa (…) ebrea di m. si chiama Liliana Segre, chiedetevi che cazzo a fatto (così è scritto, senza h, ndr) per diventare senatrice a vita stipendiata da noi ed è pro invasione? Hitler non ai (ancora senza h, ndr) fatto bene il tuo mestiere».

Come definire questo messaggio? Però viene scritto, letto, circola, resta dov’è. «Mi chiedo perché non sia crepata insieme a tutti i suoi parenti »: anche questa frase è dedicata alla senatrice. Il 19 gennaio 2018 è stata nominata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e tre giorni dopo un blogger si chiede: «Chissà quanto ci costerà». Classico attacco sui vitalizi, finché si arriva al punto. E cioè alla senatrice: le «sarebbe piaciuto – scrive il blogger – avere subito qualche milioncino, visto che la passione dei nasoni sono ‘li sordi’».

Questione minore, questa degli insulti, si obietterà, perché ormai di un linguaggio crudo, volgare, feroce, variamente fascista è piena la Rete. C’è chi augura il cancro all’ex ministro, che ne è guarita, e la procura che chiede di non procedere contro le offese alla coppia Fedez-Ferragni con la motivazione che «sui social si può». Quindi, bisogna rassegnarsi, si sente ripetere.

Ma c’è un ma. Di messaggi come quelli qui riportati contro Liliana Segre, superstite dell’Olocausto, testimone del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ogni giorno ne partono duecento. Ogni giorno si registrano attacchi politici e religiosi, insulti, maldicenze contro una donna di 89 anni, sempre moderata nel linguaggio, testimone dell’orrore, ancora adesso incapace di “sopportare” i fotogrammi di alcuni documentari di guerra.

A prenderla di mira, a farla diventare un target, sono antisemiti protetti dall’anonimato, altri che lanciano i messaggi da blog e siti di estrema destra, e anche attivisti che credono alle teorie più deliranti. L’osservatorio antisemitismo è stato costretto a realizzare un rapporto sugli attacchi e Repubblica ha potuto leggerlo. Dichiariamo un senso di malessere, nel riportare le frasi tratte da Internet, ma pensiamo che, oggi più che mai, bisogna tracciare una sorta di “dove siamo” e di “come siamo arrivati” in questo catalogo di deliri, cattiverie, meschinità, dove non mancano i professori.

Ne sono segnalati due. Uno, Sebastiano Sartori, lavora al celebre istituto alberghiero “Barbarigo” di Venezia: «La senatrice a vita Segre sta bene in un simpatico termovalorizzatore ». È un ex esponente di Forza Nuova, dice anche che «la Costituzione è un libro di merda buono per pulircisi il culo».

Sulla stessa lunghezza d’onda Marco Gervasoni. È un docente di Storia contemporanea all’università degli studi del Molise e dopo l’intervento della senatrice a vita a sostegno del Governo Conte, si legge nel report dell’osservatorio antisionismo, «ha twittato una serie di malevoli post cui sono seguiti decine di insulti contro Liliana Segre. Qualche esempio: ebrea di professione, stronza, vecchia rincoglionita, sionista pensa ai palestinesi, senatrice senza meriti che lucra sull’Olocausto, vecchia ignorante e in malafede, personaggio squallido, vecchia demente, Alzheimer».

Non pochi tra gli antisemiti digitali se la prendono anche con altri ebrei entrati nella luce dei media, come il giornalista Gad Lerner, il politico pd Lele Fiano, l’imprenditore George Soros, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, e ultimamente anche sul presidente del parlamento europeo David Sassoli piovono insulti.

Ma è la senatrice a subire il record negativo: «Liliana Segre morirà, ma il vittimismo giudaico durerà ancora secoli». A sostenerlo è Roberto Duria, un animalista convinto che i quattrozampe siano trattati malissimo per colpa di non meglio precisate tradizioni ebraiche. Secondo il sito, «strisciando come serpenti, gli ebrei ebbero la loro rivalsa sugli antichi persecutori». Uno che si firma Paolo Sizzi Lombardista, ed è già condannato nel 2013 per istigazione all’odio razziale e vilipendio al capo dello Stato, quando Liliana Segre pronuncia il suo discorso al Senato, dichiara che «i campi di sterminio sono una fandonia come l’11 settembre ». Un altro aggiunge: «Nessuno attualmente è più razzista delle blatte israelonazisioniste. Vivere nell’ombra dell’Olocausto ed aspettarsi di essere perdonati di ogni cosa che fanno, a motivo della loro sofferenza passata, mi sembra un eccesso di pretese».

Questa mareggiata d’odio fa emergere due questioni. Una, se sia democrazia consentire insulti ed espressioni simili, in quanto protette dal diritto fondamentale della libertà di pensiero. O, viceversa, se sia democrazia rendere più difficile, attraverso identificazioni, perquisizioni, eventuali richieste di rinvio a giudizio, la diffusione di razzismo e antisemitismo.

Seconda questione: se i giornali osassero pubblicare articoli che contengono simili orrori ed insulti, prenderebbero denunce e condanne. Come mai non accade lo stesso agli antisemiti del web?

Una spiegazione che riguarda la logica del diritto penale sta nel fatto che a gestire le piattaforme sono aziende americane, quindi si applica il diritto d’Oltreoceano. Però questi “sputi” virtuali volano in Italia, addosso a italiani. C’è stato anche un ex senatore che raccontava come gli ebrei praticano l’omicidio rituale. La domanda «Ma si può?» non è più da bar, diventa da amministrazione della giustizia.

Piero Colaprico       Repubblica  26/10/2019

 

Vedi:   Chi non rispetta la storia di Liliana Segre non è degno di rappresentarci in Parlamento

I vampiri di Goya nemici della ragione

Liliana Segre, una lezione al Senato: “Chi salva una vita, salva il mondo”

Come il governo ricorda la Shoah

Quando l'Italia divenne razzista

Pensiero Urgente n.284) L'invasione degli imbecilli.

Le pallottole verbali dell'odio quotidiano


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