Dna modificati in laboratorio, uomini cyborg e desideri monitorati dalle macchine. Il nostro futuro secondo lo storico e saggista israeliano Yuval Noah Harari.

 

Guardate l’essere umano. Guardate le sue dita dei piedi, questi ditini fragili, nulla a che vedere con gli artigli di un puma; questo corpo spelacchiato, così diverso dal manto di un orso; questo petto che per quanto gonfio nulla è rispetto ai pettorali corazzati di un gorilla; l’occhio miope che si acceca alla prima penombra, incapace di vedere nella notte come un gufo; queste scapolette umane che non hanno nulla a che vedere con le magnifiche ali di un falco pellegrino. Basta guardarci per capire quanto poco sia dotato questo orrendo essere umano che non sa volare, si arrampica a fatica e nuota peggio dell’ultimo dei pesci rossi. E il fiuto? Sentiamo odori a pochi metri da noi, mentre un cane è capace di sentire a distanza di due campi da calcio.

Yuval Noah Harari (1976)

 

Eppure, questo esserino chiamato Sapiens è riuscito a imporsi su tutti gli altri. Davvero la storia dell’uomo è l’epica storia del debole che trionfa sul forte? È una domanda a cui nessuno meglio di Yuval Noah Harari, storico israeliano che con i suoi libri ha letteralmente riscritto il percorso umano su questa Terra, può rispondere. «Il potere degli uomini non è determinato dal singolo individuo ma da una collettività, poiché gli esseri umani da soli sono creature deboli. Un uomo non è solo più debole di un mammut o un elefante, ma anche degli scimpanzé o dei lupi. Noi umani riusciamo a dominare il mondo perché cooperiamo meglio di qualsiasi altro animale sul pianeta».


Eccolo il segreto del successo dell’uomo: la sua capacità di fare comunità. Il suo intelligere, ossia la capacità di legare il molteplice attorno a sé, ha portato il Sapiens a essere un animale in grado di costruire civiltà. La fantasia e la creatività sono i pilastri della costruzione del suo dominio, ma è uno il tratto distintivo di questa razza: la capacità di sterminare i suoi rivali.

Non è una storia pacifica quella dell’evoluzione dell’essere umano. Ricordate quell’immagine sui libri di scuola in cui, in una timeline di milioni di anni, vedevamo alzarsi i vari ominidi dalla scimmia all’Homo sapiens? Tutto falso. Come Harari descrive nel primo libro della trilogia sulla macrostoria umana, Sapiens. Da animali a dèi (Bompiani), l’Homo sapiens ha convissuto con altri ominidi ed è riuscito ad emergere facendo strage di tutti.


Yuval Noah Harari: Cinquantamila anni fa la Terra non era popolata da una sola specie umana ma almeno da sei differenti specie ominine, tra cui i nostri antenati Homo sapiens in Africa. L’Italia era popolata dai Neanderthal e in Estremo Oriente si trovava Homo erectus e così via. Quando Homo sapiens si è diffuso sul pianeta le altre specie ominine sono scomparse. E sono scomparsi anche molti altri animali. In effetti sembra che Homo sapiens sia una sorta di killer ecologico che ha annientato sistematicamente altri animali, specialmente quelli che ci assomigliano di più. Più un animale ci assomiglia, più costituiamo un pericolo per quella specie.

Roberto Saviano: Viene da sorridere pensando che molti saranno infastiditi dall’idea che tutti gli italiani discendano dagli africani. Ma i Neanderthal sono stati solo sterminati o sono stati anche assimilati?

YH: Esistono prove che mostrano come in qualche caso Homo sapiens abbia avuto relazioni sessuali con membri di altre specie ominine. Per esempio, la maggior parte degli europei contemporanei e la maggior parte degli italiani hanno qualche antenato neanderthaliano. Il 96-98 per cento del patrimonio genetico appartiene a Homo sapiens, mentre il 2-3 per cento a quello di Neanderthal. Quindi, circa quarantamila anni fa, i nuovi immigrati dall’Africa Homo sapiens ebbero qualche relazione romantica o sessuale con i Neanderthal da cui discese prole fertile.

RS: L’uomo, quindi, si è fatto avanti a “sportellate” nella storia, facendo stragi su stragi per arrivare dove è arrivato. Mi chiedo se faccia parte del patto per dominare questo pianeta la ferocia dell’uomo…

YH: Non sono sicuro che sia necessario. Credo che gli esseri umani abbiano sempre la possibilità di scegliere. Nella storia, gli umani hanno scelto di eliminare certi gruppi etnici o religiosi. Ma non era necessario, non era inevitabile. È noto che un secolo fa i nazisti pensavano che, per creare un mondo migliore, fosse necessario sterminare quelle che secondo loro erano razze umane inferiori.

RS: In realtà, quindi, quello che conta nell’evoluzione è come uccidere, come controllare l’altro. Il Sapiens non poteva tollerare che esistessero cugini. Noi siamo la razza frutto del grande massacro dei nostri simili. Vince chi ammazza di più?

YH: Non è proprio così. Gli uomini hanno creato un mondo migliore nel corso degli ultimi decenni grazie alla cooperazione, non grazie alla guerra, alla violenza e allo sterminio.

cyborg

 

RS: Cooperazione come frutto dell’evoluzione, della maggiore intelligenza, così credevo. Dai suoi libri, invece, è chiaro che pensare che il nostro antenato preistorico fosse meno intelligente è assolutamente un errore. Il progresso ha finito per renderci più stupidi?

YH: A livello individuale è così. Probabilmente siamo meno intelligenti e meno capaci dei nostri antenati dell’Età della pietra: non sapremmo sopravvivere in quelle condizioni. Occorreva sapere molte cose ed essere dotati di capacità intellettuali e fisiche eccezionali. Capacità di cui è priva la maggior parte di noi. Per esempio, se mi prelevaste e mi gettaste nella savana africana e dovessi sopravvivere confidando solo sulle mie forze, morirei in pochi giorni. Io non so come procurarmi da mangiare, non so come cucire i vestiti che indosso. Non so come costruire un qualsiasi strumento. Io sono uno storico e so scrivere libri. Mi pagano per scrivere libri e tenere conferenze sulla storia. Da queste attività ricavo i soldi con i quali vado al supermercato e per qualsiasi cosa di cui abbia bisogno dipendo dagli altri. La maggior parte di noi sa fare soltanto poche cose. Per questo come individui, in effetti, siamo meno capaci dei nostri antenati. Ma come collettività di individui, come società umane, siamo mille volte più potenti. Quello che abbiamo davvero imparato a fare è riuscire a cooperare efficacemente, con modalità sempre più sofisticate, su larga scala.


RS: Osservare il pensiero strategico dei Sapiens, che gli ha permesso di costruire la lancia migliore, di ragionare su come soggiogare gli altri animali, può indurci a interpretare la capacità di dominio umana come fondata sulla sola qualità logica. Lei, invece, riesce a dimostrare che la specificità umana è un’altra.

YH: La cosa davvero stupefacente è il modo in cui cooperiamo: la cooperazione che ci contraddistingue rispetto agli altri animali si fonda sulla nostra capacità di creare storie inventate. Se si guarda a qualsiasi esempio di cooperazione umana nel corso della storia, si vede che non è necessariamente fondata sulla verità, ma piuttosto sull’abilità di persuadere un numero significativo di persone della stessa storia inventata, frutto della nostra immaginazione.

RS: È l’immaginazione, quindi, ciò che rende il Sapiens diverso da qualsiasi altra specie animale con cui condivide questa Terra. La capacità di fabbricare miti che permettono la costruzione di identità e tracciano una direzione comune è determinante nell’evoluzione biologica. Noi crediamo ai miti non perché siano veri, ma sono veri perché li raccontiamo. Ma è stata proprio la capacità di racconto a rendere l’Europa centrale nella storia dell’umanità?

YH: Al riguardo esistono teorie di ogni tipo, ma nessuna è davvero convincente. Non sembrano esserci ragioni geografiche o biologiche europee. Se fosse stato qualcosa di profondamente radicato nella biologia degli europei, come si spiega allora il fatto che prima del XIV e del XV secolo nessun importante sviluppo abbia avuto luogo in Germania o Francia o Spagna e che anche oggi assistiamo a una riduzione dell’influenza dell’Europa?

RS: Perché tra tutti i continenti è stata proprio l’Europa a marcare il segno di una superiorità militare e tecnologica? In fondo c’erano anche altri imperi – cinese, mongolo, indiano, inca… – che non erano meno ricchi e vasti dei nostri, eppure il colonialismo è un’invenzione europea…

YH: In realtà questa idea del colonialismo e dell’imperialismo non è solo europea, la troviamo in quasi tutte le culture umane. È vero che nell’età moderna l’Europa divenne il centro più importante per gli sviluppi tecnologici e scientifici e aumentò anche il suo potere militare e il suo domino politico. È un fenomeno nuovo. L’Europa non aveva mai ricoperto un ruolo così fondamentale nella storia. Basta risalire a prima del XIV o del XV secolo. Ma poi avvengono due rivoluzioni: quella scientifica e quella capitalista ed entrambe portano alla rivoluzione industriale che dà all’Europa il potere di conquistare e dominare il mondo intero. Non disponiamo di una buona teoria che spieghi il motivo per cui la scintilla di queste rivoluzioni si accese in Europa.

RS: E ora che ne è della centralità europea?

YH: L’Europa non sarà la potenza dominante del prossimo secolo. L’era della dominazione europea è stata piuttosto breve nell’arco della storia umana. È durata solo tre o quattro secoli al confronto dei tanti millenni di storia trascorsi. I poli più influenti oggi sono gli Stati Uniti e l’Asia orientale. Eppure, anche gli Stati Uniti sono il risultato o il frutto dell’imperialismo europeo e persino l’attuale Asia orientale può essere considerata una derivazione europea. Le istituzioni di queste aree sono in gran parte il risultato delle idee e delle istituzioni europee. Basti pensare alla scienza, ai sistemi finanziari e ai sistemi politici che oggi troviamo in Cina, Corea e Giappone.


RS: Il latino fu lingua franca, la lingua dell’Impero; il francese fu la lingua imposta da Bonaparte, la lingua della diplomazia; la Spagna impose sul continente americano il castigliano; l’inglese si è poi imposto con il commercio; il cinese mandarino, la lingua più diffusa al mondo, è parlato da oltre 800 milioni di persone. Ma nessuna di queste, imposta dal denaro o dalla quantità di persone che la parlano, ha raggiunto una vera universalità.

YH: Oggi tutti coloro che vivono sul pianeta Terra parlano una sola lingua: questa lingua è la matematica. Che abitiate in Cina, Australia o Brasile, non fa differenza: la lingua che domina le istituzioni, l’economia e la politica è la matematica ed è precisamente questo il linguaggio di cui l’imperialismo europeo ha favorito la diffusione in tutto il globo.

RS: Dalla lingua universale della matematica nasce la rivoluzione degli algoritmi, forse paragonabile a quella dell’identificazione del primo frumento addomesticato, che permise all’uomo da semplice cacciatore e raccoglitore di diventare agricoltore. È dal frumento addomesticato che si è sviluppata la società così come la concepiamo oggi.

YH: Io penso che ciò a cui assistiamo oggi ha probabilmente un impatto evolutivo persino maggiore di quello dell’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento, perché l’attuale rivoluzione dell’intelligenza artificiale e della biotecnologia ci offre la possibilità di cambiare l’umanità stessa, e non soltanto la nostra economia, quello che mangiamo, la società e la politica. Le precedenti rivoluzioni, sia che si tratti della rivoluzione agricola, dell’ascesa dell’Impero Romano o della diffusione della cristianità, hanno cambiato le società ma non hanno modificato il corpo e la mente umani. Ma ora queste nuove conoscenze renderanno possibile per la prima volta la trasformazione del corpo, del cervello e della mente. Verranno così create nuove forme di entità con un numero di caratteristiche diverse da noi maggiore di quello che ci differenzia dagli altri ominidi o dagli scimpanzé.

RS: Quindi sta per nascere una superspecie? Noi siamo gli ultimi esemplari di una specie destinata a essere superata? La velocità della tecnologia ha reso il Sapiens inadatto, troppo limitato?

Homo Sapiens e Neanderthal

 

YH: La trasformazione del Sapiens potrà prendere avvio da piccoli cambiamenti, per esempio la modifica del nostro Dna tramite l’ingegneria genetica. Del resto, l’unica differenza tra i Neanderthal e noi consiste in un ristretto numero di differenze genetiche: i Neanderthal erano in grado di produrre soltanto dei coltelli di selce, ma noi produciamo navette spaziali e bombe atomiche. Ma può verificarsi un evento ancora più estremo, quando entra in azione l’intelligenza artificiale in combinazione con la biotecnologia: creare cyborg, entità che mescolano l’organico con parti inorganiche, ovvero qualcosa che non abbiamo mai visto prima nel corso di quattro miliardi di anni di vita sulla Terra. Finora tutte le evoluzioni della vita si sono basate su componenti organiche. Adesso siamo sul punto di poter progettare entità che almeno in parte non lo sono.

RS: Abbiamo intravisto la commistione tra corpo umano e robot nella letteratura di Isaac Asimov, di Ursula Le Guin, di Philip Dick, di Aldous Huxley. Ora umano e tecnologico si stanno fondendo, e sta accadendo nel nostro presente.

YH: Questo è il cambiamento nell’evoluzione della vita più rilevante che si sia mai verificato. È un mutamento che la grande maggioranza della gente non riesce a cogliere, non comprende l’enormità della rivoluzione sulla quale ci stiamo affacciando. Se la mia mano viene staccata dal corpo e viene posta in un’altra stanza non funzionerà, ma questo non accade a un cyborg. A un cyborg non occorre la coincidenza spaziale per funzionare, quindi è possibile connettere il cervello organico a un braccio bionico. Il braccio non deve essere necessariamente attaccato al resto del corpo, può trovarsi nella stanza accanto o nell’abitazione a fianco o anche nella città più vicina o addirittura in un altro Paese e tuttavia può continuare a funzionare. Pertanto, l’idea complessiva di quello che significa essere un organismo vivente cambierà quando disporremo della capacità di connettere direttamente, per esempio, i cervelli ai computer.


RS: Declinata in questo modo, la fusione di umano e tecnologico potrebbe sembrare un supporto in grado di aiutare l’uomo a superare i suoi limiti biologici. Eppure, leggendo il suo Homo Deus, è chiaro che già stiamo assistendo a un’inversione dei rapporti tra umano e tecnologico: supporto sembra essere diventato l’organico e a dominare è sempre più l’inorganico, sotto forma di algoritmo o di intelligenza artificiale. Quando usiamo uno smartphone, non siamo solo noi a guardarlo, ma è lo smartphone che sta guardando noi.

YH: Oggi le persone entrano in contatto tra loro attraverso i loro smartphone, i loro computer e un numero crescente di decisioni sulle nostre vite sono prese da questi strumenti. Ma tra venti o trent’anni la tecnologia contenuta in uno smartphone sarà inserita direttamente nei nostri cervelli tramite elettrodi e sensori biometrici. Sarà in grado di monitorare quello che accade all’interno del corpo e del cervello in ogni momento. Potrà conoscere i miei desideri, le mie sensazioni, i miei sentimenti persino in modo più accurato di quanto io stesso ne abbia percezione, e sempre più questa tecnologia si troverà nelle condizioni di prendere decisioni al mio posto. Pensiamo alle applicazioni nel campo della prevenzione medica o negli affari o nelle relazioni sentimentali. Potendo fare affidamento sulla potenza di questi computer e algoritmi, ci lasceremo guidare in misura crescente da loro, che diventeranno così parti integranti di noi stessi.

RS: È il totalitarismo delle macchine? La dittatura dell’algoritmo? Possono i social network e le società informatiche che possiedono i nostri dati arrivare a controllare ogni aspetto della nostra vita? Siamo ormai consapevoli di essere guidati dall’algoritmo ogniqualvolta siamo indotti a comprare o a vedere ciò che il nostro computer ci suggerisce. Ma quando si può parlare di una situazione di regime?

YH: I sintomi di una situazione pericolosa sono sostanzialmente di due tipi. Il primo è quando troppo potere e informazione si concentrano nelle mani di sempre meno persone o di una minoranza o di una singola istituzione. Se una singola istituzione, che sia un governo o un’azienda o un gruppo religioso, ha troppo potere sulla società, questa è la premessa per un regime totalitario. L’altro sintomo dell’ascesa di un regime totalitario si verifica quando diventa impossibile cercare la verità o pubblicare la verità. Il dittatore, o il partito autoritario al potere, affermando di rappresentare la volontà popolare, usano questo argomento per fermare le persone o le istituzioni che hanno il compito di trovare la verità. Affermano che la gente non è interessata alla verità. È importante ricordare che persino le elezioni democratiche non ruotano attorno alla ricerca della verità, bensì ai desideri della gente.

RS: Nel suo ultimo libro, 21 lezioni per il XXI secolo, lei dimostra che i dati sono per l’epoca contemporanea quello che era la terra un tempo, cioè la risorsa più importante. E mette in guardia: se i dati si concentreranno nelle mani di pochi, non si avrà una divisione in classi sociali, come accaduto in passato, ma una divisione dell’umanità in specie differenti.

YH: In precedenza, nella storia, la disuguaglianza è stata principalmente di ordine economico e politico. Alcuni individui detenevano grandi ricchezze e potere politico e altri individui non possedevano né le une né l’altro. Ma si trattava pur sempre degli stessi esseri umani, con le stesse caratteristiche biologiche. Il pericolo è che nel XXI secolo la disuguaglianza economica si trasformi in disuguaglianza biologica. Avremo la tecnologia che ci permetterà di potenziare il nostro corpo e il nostro cervello. E i ricchi potrebbero evolvere per diventare biologicamente diversi dalle masse della popolazione. E in questo modo il genere umano si suddividerebbe in differenti caste biologiche. Questo è qualcosa che non abbiamo mai visto prima nella storia dell’uomo: potremmo avere degli esseri umani potenziati e degli esseri umani ordinari con capacità differenti.


RS: Fino a quando l’uomo controlla la tecnologia, la tecnologia può essere al suo servizio, ma ora che la tecnologia controlla l’umano, cosa potrebbe accadere?

YH: Stiamo acquisendo la capacità tipicamente divina di creazione e distruzione e il rischio è che non sapremo maneggiare questi immensi poteri e finiremo con usarli male. In fondo è all’incirca lo stesso processo che ha riguardato il sistema ecologico: possiamo dire di aver acquisito poteri divini sul resto degli animali e delle piante, dei fiumi e delle foreste, e possiamo anche dire di aver usato male i nostri poteri. E ora il sistema ecologico è completamente squilibrato ed è prossimo al collasso. Stiamo acquisendo il potere di cambiare il nostro mondo interiore, il nostro cervello, e di nuovo potremmo fare un cattivo uso di questo potere e invece di questi esseri umani potenziati potremmo finire col creare qualcosa che non sarà migliore di noi: potenti come divinità ma irresponsabili e insoddisfatti.

RS: Mi piace la sua abilità nel tracciare interpretazioni macrostoriche, come se dipingesse una tela impressionista il cui unico protagonista è la nostra specie. In questa complessità d’analisi le chiedo uno sforzo di sintesi: mi indichi l’immagine che più di tutte descrive il nostro tempo.

YH: Un’immagine che mi ha colpito è quella della consacrazione di papa Ratzinger: nella foto, un migliaio di persone in Vaticano ha gli occhi puntati sul pontefice; otto anni dopo, alla consacrazione del nuovo Papa, nella stessa identica situazione, nella stessa immagine, tutti tengono in mano uno smartphone. La realtà è mediata dallo smartphone.

Roberto Saviano          La Repubblica Robinson   28 Luglio 2019

 

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