Il 29 ottobre del 1799 viene giustiziato in piazza del Mercato a Napoli FRANCESCO MARIO PAGANO (51 anni) avvocato, giurista, filosofo, docente, autore teatrale e Padre della Repubblica Napoletana del 1799.

Pagano nacque in una famiglia di notai a Brienza ( oggi in Basilicata, provincia di Potenza)) ma si trasferì ancora bambino a Napoli dove uno zio prete curò la sua formazione. Fece studi classici molto approfonditi e venne introdotto alla lettura delle opere di Giovan Battista Vico (1668- 1744), che fu il riferimento principale per tutta la sua vita.

 

Giovan Battista Vico

Si laureò in giurisprudenza e già in un suo libro del 1768 descrisse i suoi ideali illuministici e la sua visione storico-filosofica del diritto romano legata ai problemi etici del momento. Inoltre cominciò ad indicare l’estrema necessità di un’istruzione pubblica.

Nel 1769 venne nominato lettore straordinario di etica presso l’Università di Napoli. Successivamente intraprese il lavoro di avvocato e cominciò a scrivere anche opere teatrali ( ne comporrà sei) perchè sempre più forte in lui era la convinzione della funzione civile e pedagogica del teatro.

Nel 1785 divenne docente universitario di diritto criminale poi nel 1789 fu nominato avvocato dei poveri presso il tribunale dell’Ammiragliato e Consolato del mare. In seguito diverrà anche giudice di questo tribunale mentre scriverà opere di carattere economico per esprimere le sue convinzioni su un progresso civile e fondato sull’equità sociale. Le sue arringhe come avvocato erano particolarmente seguite per la profondità e la passione che esprimeva e per la ricchezza di citazioni filosofiche, per cui venne soprannominato “Platone di Napoli“.

Con i proventi di avvocato acquistò un terreno all’Arenella di Napoli dove costruì un ‘accademia di libero confronto e partecipazione dove insegnò anche un altro futuro grande protagonista della Repubblica Napoletana, DOMENICO CIRILLO (1739- 1799).

In quegli anni furono molte le opere dedicate a problemi giuridici in cui sviluppava la sua visione dello Stato come protettore delle persone, della repubblica  come convivenza civile e luogo di giustizia sociale,  del diritto penale come mezzo per garantire vita e libertà personale. In questo Pagano divenne il massimo esponente di ciò che verrà definito “illuminismo meridionale”.

Dopo aver pubblicato tra il 1785 e il 1792 due edizioni di Saggi politici ( la sua opera più importante) dovette difendersi dall’accusa di aver espresso dottrine contrarie alla religione e di aver biasimato l’aristocratico e monarchico governo lodando soltanto la democrazia”.

Pagano esprimeva nei Saggi l’idea che la monarchia non avesse nessuna attrattiva e che la repubblica fosse la vera dimensione politica dell’emancipazione umana: come spazio privilegiato del vivere civile, secondo virtù, giustizia e libertà.

Queste convinzioni furono espresse anche nelle sue opere teatrali di questo periodo rappresentando le opposizioni tra libertà e oppressione, tra arbitrio e giustizia, tra desposta e cittadino.

Nell’opera Considerazioni sul processo criminale rifletteva sulle involuzioni dell’ordinamento politico romano e avvicinava le monarchie del suo tempo all’epoca decadente degli imperatori romani che avevano distrutto i valori dell’antica Repubblica romana, affermando che i regimi attuali cancellavano “ il nome di patria e cittadino”.

Continuamente Pagano scriveva sul nesso tra difesa delle libertà individuali e limitazione del potere affermando il principio di legalità in forma fortemente antiassolutistica. Pagano fu uno dei più grandi contestatori, nel suo tempo, del monopolio monarchico della sovranità e uno dei maggiori assertori della necessità di Costituzioni per assicurare i diritti degli individui e delimitare i poteri dello Stato. Per questo Pagano concepì un “tribunale supremo” come “baluardo della costituzione” che doveva sorvegliare la” linea, che non debbon oltrepassar coloro che esercitano le sovrane funzioni”.

Quindi Pagano, all’epoca dei suoi Saggi,  innalzò l’uomo a titolare di diritti inalienabili che dovevano essere tutelati in ogni modo come fonte legittima di potere. Il diritto penale aveva un solo scopo: la protezione dei “sacri, ed inviolabili diritti dell’uomo”. Quindi la sua forte prospettiva garantista determinava a che il legislatore fosse vincolato a stabilire proibizioni legate alla legge naturale ( le azioni veramente offensive) e a comminare pene proporzionate alla gravità dei reati.

Quindi Pagano teorizzava un ordine giudicante privo di ogni discrezionalità personale del giudice che doveva soltanto applicare meccanicamente la legge unica fonte del diritto attraverso una codificazione basata sui principi “eterni, ed immutabili” del diritto di natura.

L’opera e l’azione politica e giuridiszionale di Pagano era diretta all’assoluta protezione degli innocenti e alla condanna dei veri colpevoli: per questo si opponeva alla carcerazione preventiva, alla posizione d’inferiorità della difesa nei confonti dell’accusa, alla confusione tra giudici inquirenti e giudicanti. Pagano prospettava un processo basato sulla presunzione d’innocenza, sulla libertà personale dell’imputato, sulla pubblicità del processo, sulla parità e il contraddittorio tra le parti e su un organo giudicante autenticamente imparziale.

Così’ scrisse in questo periodo:

“Voglia il cielo che un tempo, come le varie società e nazioni d’Europa sono ora così unite tra loro per non separabili interessi e costumi, che formano quasi un popolo solo”, allo stesso modo “l’America, l’Asia e l’Africa siano di stretti rapporti con l’Europa congiunte“. Ma, perché le leggi e il diritto, così come le altre forme dello spirito, possano assolvere a tale funzione, bisogna che siano rispettosi della libertà e della democrazia, e garantiscano la giustizia.”

Dalla cattedra di diritto criminale, Pagano poté diffondere queste idee per un decennio: fino a quando, insieme con la docenza e la carica di giudice, perse la libertà poiché fu travolto dalla repressione seguita alla scoperta di una congiura antimonarchica nel 1794. Pagano venne denunciato come filo giacobino ed incarcerato. Quasi certamente egli fu partecipe della congiura viste le sue idee antimonarchiche e la sua militanza massonica.

Durante la carcerazione continuò a scrivere e il 25 luglio 1798 fu rimesso in libertà per mancanza di prove a suo carico. Successivamente Pagano si rifugiò a Roma dove trovò accoglienza nella neonata prima Repubblica Romana, di carattere giacobino. Scrisse un testo sui problemi del commercio e sulla necessità della progressività delle imposte e berevemente insegnò presso il Collegio Romano con una cattedra di diritto pubblico creata proprio per lui.

Ma gli eventi bellici di quel periodo costrinsero Pagano a fuggire prima a Milano poi ritornando a Napoli, dopo che il 1 gennaio del 1799 le truppe francesi avevano conquistato il regno di Napoli.

Il 23 gennaio del 1799  nacque la REPUBBLICA NAPOLETANA di cui divenne subito un assoluto protagonista: venne nominato membro del Governo provvisorio e presidente del Comitato di legislazione, poi della Commissione legislativa. Con questo ufficio in particolare s’impegnò a modificare tutta l’impostazione feudale del diritto proprio del vecchio regno borbonico.

Obiettivo di Pagano era la realizzazione di una profonda redistribuzione delle ricchezze, a partire da un’incisiva riforma perequativa degli assetti della proprietà terriera: la sua aspirazione, con gli altri responsabili della Repubblica, era di dare vita ad una società repubblicana fondata sull’equità, sulla piccola proprietà e sulla preminenza dei diritti e dei doveri verso il bene comune. S’impegnò per l’abolizione della tortura e, naturalmente, per l’organizzazione del potere giudiziario secondo le idee che sempre aveva espresso.

Il documento più rilevante della sua attività di legislatore resta il Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana, presentato al Governo provvisorio dal Comitato di legislazione all’inizio di aprile 1799.

Con questo testo Pagano si discosta dalla Costituzione rivoluzionaria francese, che tutte le repubbliche giacobine del periodo seguivano, dando un respiro più ampio e moderno alle innovazioni normative ed istituzionali. Il Progetto era integrato, infatti, dalla Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo, del cittadino, del popolo e de’ suoi rappresentanti, dalle norme sull’”educazione pubblica” ( ritenuta fondamentale per la vita della Repubblica) e dall’introduzione del “tribunale di censura” che doveva intervenire a salvaguardia del dettato costituzionale. Previde, inoltre, l’istituzione dell’Eforato, organo collegiale ( ripreso dall’antica Sparta) chiamato a vigilare sull’applicazione della Costituzione, con potere di monito sugli organi dello Stato, di proposta di eventuali modifiche e di abrogazione delle leggi ritenute incostituzionali. L’Eforato è il precursore dell’odierna Corte Costituzionale.

Con Pagano la Costituzione viene vista ancorata alla dottrina illuministica della limitazione giuridica del potere in funzione dei diritti individuali a differenza di quella francese  centrata principalmente sulle nuove leggi rivoluzionarie.

Statua di Francesco Mario Pagano a Brienza (PZ)

Quando la Repubblica Napoletana cominciò ad essere attaccata dai Sanfedisti borbonici e dagli inglesi Pagano s’impegnò nella sua difesa sempre con l’attività legislativa e con le armi. E quando la Repubblica cadde il 13 giugno 1799 Pagano fu tra i primi arrestati dagli inglesi che lo consegnarono ai borbonici, appena reintegrati a Napoli. Pagano venne  rinchiuso nella “fossa del coccodrillo”, la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. Venne in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e ai primi di agosto nel Castel Sant’Elmo.

Molti appelli di clemenza giunsero da parte dei regnanti europei: lo zar russo Paolo I così scrisse al re Ferdinando IV: “Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea; non ammazzare Mario Pagano, il più grande giurista dei nostri tempi”.

Pagano, invece, subì  un processo sbrigativo e approssimato, venne condannato a morte ed impiccato il 29 ottobre del 1799 in piazza del Mercato a Napoli insieme con altri grandi Protagonisti della breve esperienza repubblicana: DOMENICO CIRILLO, GIORGIO PIGLIACELLI, IGNAZIO CIAIA. I resti di Mario Pagano furono seppelliti nella chiesa del Carmine Maggiore a Napoli e finirono successivamente in un ossario comune insieme con i resti di altri Protagonisti della Repubblica.

Così scrisse VINCENZO CUOCO (1770- 1823) altro grande Protagonista della Repubblica Napoletana:

Il suo nome vale un elogio. Il suo processo criminale è tradotto in tutte le lingue, ed è ancora uno dei migliori libri che si abbia su tale oggetto. Nella carriera sublime della storia eterna del genere umano voi non rinvenite che l’orme del Pagano, che vi possano servir di guida per raggiungere i voli di Vico”.

 

Dal Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana del 1799 di Francesco Mario Pagano:

“Dichiarazione dei dritti e doveri dell’Uomo, del Cittadino, del Popolo, e de’ suoi Rappresentanti. L’immobile base di ogni libera Costituzione è la dichiarazione de’ dritti, e doveri dell’Uomo, del Cittadino, e quindi del Popolo. Perciocchè il principale oggetto d’ogni regolare Costituzione dev’essere di garantire sì fatti dritti, e di prescrivere tali sacri doveri. Perciò la Provvisoria Rappresentanza della Repubblica Napoletana alla presenza dell’Essere Supremo, e sotto la sua garanzia proclama i dritti, e doveri dell’Uomo, del Cittadino, del Popolo, e fa le seguenti dichiarazioni.”

“La libertà non si conquista che col ferro e non la si mantiene che col coraggio. La Libertà di opinare è un dritto dell’uomo. La principale delle sue facoltà è la ragionatrice. Quindi ha il dritto di svilupparla in tutte le possibili forme e di nutrire tutte le opinioni che gli sembrano vere.”

La libertà è la facoltà dell’Uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche, come gli piace, colla sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso. Contro l’oppressione ogni Uomo ha il dritto d’insorgere, il Popolo ha diritto di insorgere, ma quando diciamo Popolo, intendiamo parlare di quel Popolo che sia rischiarato ne’ suoi veri interessi, e non già d’una plebe assopita nell’ignoranza, e degradata nella schiavitù, non già della cancrenosa parte aristocratica. L’uno, e l’altro estremo sono de’ morbosi tumori del corpo sociale, che ne corrompono la sanità. “

“L’Uguaglianza politica non deve far sì, che venga promosso all’esercizio delle pubbliche funzioni colui, che non ne ha i talenti per adempirle. Il diritto passivo di ogni Cittadino è, secondo la nostra veduta, ipotetico, vale a dire che ogni Cittadino, posto che rendasi abile, acquista il diritto alle pubbliche cariche”.

Il fondamentale diritto del Popolo è quello di stabilirsi una libera Costituzione, cioè di prescriversi le regole, colle quali vuol vivere in corpo politico. La Sovranità è un dritto inalienabile del Popolo, e perciò o da per sé, o per mezzo de’ suoi Rappresentanti può farsi delle Leggi conformi alla Costituzione, che si ha stabilita, e può farle eseguire, da che senza l’esecuzione le Leggi rimangono nulle”.

“Il fondamentale dovere dell’uomo è di rispettare i dritti degli altri. L’uguaglianza importa, che tanto valgono i nostri, quanto i dritti degli altri.”

“È obbligato ogni uomo d’illuminare e d’istruire gli altri”.

 

Vedi:  Una Repubblica a Napoli

Una donna per la Repubblica: ELEONORA FONSECA PIMENTEL

Il poeta Repubblicano: IGNAZIO CIAIA

 

Vedete il nostro video  ” Il dovere della Memoria“: QUI

 


 


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