Svolta autoritaria o svolta impunitaria? L’espressione “svolta autoritaria” è stata recentemente esposta al rischio di suscitare sarcasmi amari. Perché adottata, cinque minuti dopo la scucitura di un opaco accordo fra un leader spregiudicato e uno pregiudicato, da quello dei due che l’astuzia dell’altro rischiava di turlupinare. E questo basta a riassumere l’alto livello della riflessione in atto fra principali nuovi Padri Costituzionali italiani.

Ma questa espressione l’hanno usata anche persone serissime. Nadia Urbinati in diverse occasioni, Maurizio Viroli in altre – per esempio in un ottimo articolo uscito domenica sul Fatto – molti costituzionalisti, ad esempio Gustavo Zagrebelsky, autore anche di una articolatissima e costruttiva riflessione su una riforma più razionale del Parlamento (che la ministra Boschi non si è degnata di ricevere). Esponenti di spicco di associazioni devote agli ideali della democrazia, come Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia, e molti altri. Tutte queste persone hanno parlato a più riprese di “svolta autoritaria”.

NE HANNO parlato soprattutto in relazione al metodo con cui si sta procedendo, fra forzature di regolamenti parlamentari e prepotenti riduzioni dei tempi di discussione, alla riforma del Senato, oltre che in parte al contenuto di questa riforma, ma anche in relazione alla “crisi trentennale che attanaglia insieme Costituzione, sistema politico, etica pubblica” (Giovanni Ferrara, Il Manifesto, 14-02-15). Zagrebelsky è arrivato a denunciare “un degrado, quasi il punto zero della democrazia”, a proposito della decisione del presidente del Consiglio di andare avanti nonostante le polemiche dell’opposizione (Il Fatto Quotidiano, 14/02/15).

Sabino Cassese invece ha voluto rassicurare tutti sul fatto che la democrazia, per il momento, non corre pericoli e che non è in atto una svolta autoritaria (Corriere della Sera, 12-02-15) – e infatti è stato ripreso da tutti i media con insolita enfasi. Alessandro Pace gli ha obiettato la possibilità che il combinato disposto dell’Italicum e della riforma costituzionale pregiudichi “quei principi supremi ai quali lo stesso Cassese si richiama”. E non solo il principio di rappresentanza, ma lo stesso articolo 1 della Costituzione, dato che i senatori non saranno eletti più dal popolo, ma dai così detti “grandi elettori” che non sono altro che i consiglieri regionali, un migliaio di persone. O infine l’idea stessa di deliberazione, dal momento che “nel procedimento legislativo alla Camera dei deputati viene eliminato del tutto il passaggio nelle commissioni in sede referente” – il cuore stesso del processo legislativo.

Ci si può chiedere: ne parlano persone troppo diverse, di “svolta autoritaria”? Il fatto che ne parli anche il politico che fino a cinque minuti prima ci aveva le mani in pasta svaluta l’obiezione? E perché fra le persone serie i costituzionalisti non sono unanimi? Di fronte a questi dubbi, forse non è peregrina una mossa di approfondimento concettuale, che per una volta può rendere utili i poveri mezzi della filosofia rispetto al sapere specifico – giuridico e politologico.

Ma nessun approfondimento concettuale dovrebbe prescindere dai dati. E c’è un fenomeno specificamente italiano che scienze e filosofia pura non avevano previsto: il lungo processo, giunto forse al “punto zero”, di svuotamento graduale del senso e anche dell’efficacia delle istituzioni. A volte le parole non dicono veramente quello che vogliono dire. La parola “svolta autoritaria”, che spesso viene usata in riferimento al presente italiano, evoca un rafforzamento unilaterale dell’esecutivo a danno della rappresentanza e dell’equilibrio dei poteri.

Ma ciò cui assistiamo più che una svolta è un processo che sembra senza fine, il cui limite già si vede: la completa erosione dello spirito delle leggi tutt’intero, del rule of law: non a vantaggio di un tiranno o di una compatta oligarchia, ma a vantaggio dell’arbitrio di molti e spesso briganteschi amministratori pubblici (locali e nazionali) di interessi particolari, anzi spesso di particolari pulsioni a delinquere.

C’è un’essenza nazionale anche nello stile delle degenerazioni, forse: e la nostra sembra resti del tutto… guicciardiniana, per parlar colto. O insomma per parlar chiaro basata sul carisma del menefreghismo (rispetto alle norme e forme) e sulla libertà dei servi cui serve approvare, come giustamente suggerisce Viroli. Senato, Parlamento, Divisione dei Poteri: parole alte e antiche. Guardiamo però che non servano a dimenticare che i Neo-Padri Costituzionali stanno negoziando sulle percentuali di frode allo Stato cui si toglierà il nome di frode e la sanzione. Come se non bastasse la straordinaria crescita dei nostri primati, che avanza inarrestabile: primo posto in Europa e nell’intero Occidente per corruzione percepita, 69° per grado di tutela dell’interesse pubblico. Ultimo risultato il passaggio – a proposito di libertà dei servi – dal 57° al 74° posto nella classifica dell’indipendenza dell’informazione, che ci mette gloriosamente a ridosso del Nicaragua.

A conclusione dell’analisi, proporrei di sostituire l’espressione “svolta autoritaria” con la più realistica constatazione della caduta dei veli nella gestione rapace e auto-assolutoria del potere: “Svolta impunitaria”.

Roberta De Monticelli       Il Fatto Quotidiano  17/2/2015

 

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