“ Uomini di Galilea, perché ve ne state a guardare verso il cielo? ”  (Atti 1, 11)

Il rimprovero dei due bianco-vestiti – perché state a guardare in alto? – intercetta l’altra linea di evasione:  quella di pensare al Paradiso, di pensare all’aldilà. Noi siamo convinti, per abitudine, che è religioso l’uomo  che pensa soprattutto all’aldilà, mentre ci è stato detto, nel giorno in cui il Figlio dell’uomo ha superato il  crinale che separa il tempo dall’eternità, di non guardare in alto. Il nostro compito è di guardare la vita che  facciamo, il mondo in cui siamo, perché è in questo spazio che si consuma in pieno il nostro impegno con Dio.

Le nostre interrogazioni sull’aldilà sono frutto della nostra immaginazione impaurita e concupiscente che si vuol costruire, secondo i casi, inferno o paradiso in cui si proietti, in uno schema amplificante, l’alterna vicenda interiore della nostra coscienza. Non è però di queste cose che Gesù è venuto a parlarci. Fateci caso: Gesù non ha speso parole per descriverci l’inferno, il paradiso e il purgatorio, mentre la nostra predicazione tradizionale di questo parlava soprattutto e in questo modo veniva come giustificata, anzi sollecitata, una forma di indifferenza per questo mondo, una indifferenza molto utile a chi in questo mondo aveva radicato e impiantato i propri interessi. Ecco perché si dava una specie di malefica simmetria tra lo spirito religioso del popolo e l’autoritarismo dei poteri. Più un potere mirava ad espropriare i sudditi dei loro diritti e più la religione trovava spazio per prosperare.

Noi siamo contro una religione che guarda all’aldilà come ragione del messaggio cristiano. Il messaggio cristiano ci esorta ad assumerci la responsabilità del tempo che è il nostro, di questo tempo, senza né la fuga nel futuro apocalittico né la fuga nella verticale: noi siamo chiusi nel tempo. Questo è il nostro spazio. E nemmeno la fuga all’indietro, nel rimpianto di Gesù, perché Egli dice: «E’ bene che io me ne vada». L’assenza di Gesù dal mondo fu spiegata ai primi cristiani come una necessità, perché i cristiani realizzassero la Parola del Signore nel presente che è il loro tempo, è lo spazio della responsabilità: altro tempo non è dato. Né il passato, né il futuro: è nel presente che il passato trova senso ed è nel presente che il futuro si dischiude come una gemma che si apre ma solo sulla base della serietà e della radicalità del nostro impegno di uomini che vogliono ora il futuro».

Ernesto Balducci (1922-1992),  1989

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