In ogni caso, il taglio dei parlamentari si colloca in alta classifica tra le pessime modifiche della Costituzione tentate o fatte. Dimostra come di una sola vera riforma il paese avrebbe bisogno, ed è mettere in sicurezza la Costituzione innalzando il quorum della metà più uno dei componenti sufficiente in seconda deliberazione per la sua modifica.

Già se ne parlava dopo l’approvazione del Mattarellum. Bisogna stabilizzare il paese, prima che i governi. E questo si fa solo sottraendo la Costituzione alle mutevoli pulsioni di maggioranza.

Ovviamente il paese si stabilizza anche recuperando una cultura politica non fondata sull’urlo, l’insulto, e il richiamo costante alle tifoserie.

Quale stabilità e governabilità ci può essere nelle istituzioni, se il sistema politico vive di colpi di teatro mediatici e di tweet, e un leader si comporta come un influencer ?

dall’articolo di   Massimo Villone   Il Manifesto  8/10/2019


 

La sforbiciata ai parlamentari scatena la rivolta dei piccoli Comuni

Politici locali, dalla Lombardia alla Campania, pronti alla raccolta firme per un referendum

Una riforma da correggere e non soltanto per i collegi da ridisegnare completamente, anche perché quelli attuali sono riferiti ancora al censimento del 2001. Già partito il dibattito per cambiare la legge elettorale così come il confronto per una modifica dei regolamenti parlamentari, i contrappesi istituzionali da affiancare a una riforma che ha forti effetti sulla rappresentanza. Un aspetto su cui sono subito scattati gli allarmi nelle comunità locali, alcune delle quali avranno pesanti riduzioni, in particolare quelle porzioni di territorio a bassa densità di popolazione. Escludendo i parlamentari eletti all’estero che da 18 scendono a 12, le simulazioni fatte dai servizi studi della Camera dei Deputati e del Senato evidenziano una riduzione percentuale media del 36,6, effetto di un taglio che porterà quindi a 400 deputati e 200 senatori già nella prossima legislatura.

Chi è penalizzato

Ma la media nazionale non dice abbastanza, perché i calcoli a collegi invariati portano a sforbiciate ben più consistenti con regioni, specialmente per quello che riguarda il Senato, che vengono colpite pesantemente come per esempio la Basilicata che perde 4 seggi su 7 (ovvero il 57 per cento), il Friuli Venezia Giulia con 3 senatori su 4 in meno (riduzione del 42,9 per cento) e la Calabria quasi dimezzata, passando da 10 passa a 6. Ma la simulazione sul Senato colpisce anche regioni più popolose come la Lombardia, che registra una perdita secca di 18 senatorio il Piemonte, il Veneto e l’Emilia Romagna azzoppate di 8 seggi ciascuna. Alla Camera i collegi maggiormente colpiti sono Lazio 2 e Sicilia 1, dove la rappresentanza viene ridotta del 40 per cento (passano rispettivamente da 20 a 12 onorevoli e da 25 a 15), ma è ancora il Friuli Venezia Giulia in testa ai tagli con 5 scranni cancellati, sui tredici complessivi.

Le conseguenze del voto

Il voto a favore dell’altro ieri ha raggiunto numeri con pochi precedenti, ma per deputati e senatori tornare nei collegi di elezione a spiegare questa scelta non sarà facile. Molti di loro hanno votato «di malavoglia» come il vicepresidente del Senato Ettore Rosato, mentre, se avesse potuto, avrebbe votato “no” anche la compagna di partito, la senatrice friulana Tatjana Rojc. Dalle comunità locali affilano le armi del referendum e già numerosi consiglieri regionali, dalla Lombardia alla Campania si sono schierati trasversalmente contro la riforma e pronti alla raccolta di firme. «Ho votato a favore seguendo l’indicazione del mio partito ma è giusto che i cittadini si esprimano» dice il coordinatore di Forza Italia in Veneto, Davide Bendinelli.

Da sempre contrario a una riduzione dei parlamentari senza correttivi, il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi. «Così è solo un taglio netto alla rappresentanza che renderà la nostra regione marginale nel parlamento italiano: dietro al taglio dei costi si nasconde un taglio alla democrazia».

Nicola Corda     La Stampa  10/10/2019

 

 

E anche la democrazia rappresentativa non si sente troppo bene

Il declino del modello di stato che ha caratterizzato l’occidente dalla metà del ’600 ad oggi. Equivoci e confusioni si sono sedimentati nel linguaggio comune e ora si insinuano in quello degli studiosi. Ma cosa significa «rappresentanza»?

E’  tempo di malgoverno. Non (solo) in Italia, nel mondo. La fioritura o rifioritura contemporanea di antiche e nuove forme di malgoverno — in senso lato, di cattiva politica, in senso stretto, di regimi deviati e degenerati — appare accompagnata quasi dovunque dall’erosione della forma di stato che si è affermata come prevalente nella modernità: lo Staro rappresentativo.

In un saggio presto divenuto classico, Norberto Bobbio scriveva: “Lo Stato rappresentativo quale si è venuto formando in Europa negli ultimi tre secoli è ancora oggi il modello ideale delle costituzioni scritte che si sono venute affermando in questi ultimi decenni”.

Detto in estrema sintesi: il carattere specifico che identifica questo modello di Stato è la presenza in posizione eminente, nell’architettura delle istituzioni, di un organo collegiale elettivo, titolare della suprema funzione politica, ossia del potere legislativo, la cui composizione è determinata dai cittadini in quanto «individui politici», membri della civitas, egualmente dotati del diritto di partecipare alle decisioni collettive, ossia alle decisioni vincolanti erga omnes, specificamente mediante l’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo, e non in quanto membri di ceti o corporazioni.

Etimologia di oclocrazia

Proprio perciò e in questo senso il collegio elettivo titolare della funzione legislativa— il Parlamento o Assemblea nazionale o Congresso, o comunque lo si voglia chiamare — si pone come organo della «rappresentanza politica»: rappresentanza della polis e del suo interesse generale, non di interessi particolari e frazionari.

L’organo collegiale legislativo «rappresenta» la collettività come tale. Ma che cosa significa che il parlamento rappresenta la collettività? Che cosa significa «rappresentanza»? Equivoci e confusioni si sono sedimentati nel linguaggio corrente e si insinuano anche in quello degli studiosi.

Riunendo in una formula intuitiva le tre principali dimensioni di significato che troviamo nel nucleo della nozione di rappresentanza quale si è modellato nella modernità, possiamo dire che l’organo legislativo agisce in nome della collettività, in quanto è autorizzato dai membri della collettività a legiferare per conto e in vece di questa, perché (o meglio: se) la rispecchia, essendo prodotto dalla trasformazione (corretta: cioè proporzionale) dei voti dei cittadini in seggi dei parlamentari.

Naturalmente, ciascuna di queste tre componenti semantiche è problematica e controversa, e a maggior ragione la loro relazione.

Negli ultimi decenni, la forma di stato rappresentativo ha subito un po’ dovunque un processo di degenerazione, che ha per un verso deformato, e per l’altro depotenziato l’organo della rappresentanza politica.

Per effetto combinato delle distorsioni indotte (e spesso invocate, in nome della cosiddetta «governabilità») attraverso i sistemi elettorali, e delle trasformazioni nelle dinamiche dell’aggregazione del consenso (la cosiddetta «crisi dei partiti», che ha cause molteplici e complesse), gli organi rappresentativi, i parlamenti, sono in moltissimi casi divenuti via via meno rappresentativi: l’immagine — appunto, la «rappresentazione» —della collettività politica che essi esibiscono nella loro composizione risulta (in diverse misure) deformata, per esclusione di alcuni orientamenti che non superano soglie di sbarramento, e per alterazione delle proporzioni relative tra quelli che vi accedono.

Parallelamente, il baricentro del potere politico si è spostato in modo sempre più accentuato dalle assemblee rappresentative agli organi cosiddetti esecutivi, che diventano i veri organi decisivi. Questo processo, che peraltro ha origini lontane nel tempo, nel periodo più recente ha raggiunto esiti estremi: in alcuni casi, i parlamenti appaiono non solo depotenziati ma pressoché esautorati dai vertici governativi.

Le patologie attuali della rappresentanza possono essere viste nel loro insieme come il volto istituzionale complementare, e rivelatore, di quel fenomeno polimorfo eppure sostanzialmente omogeneo che molti studiosi hanno da qualche tempo preso a chiamare «dis-intermediazione». In breve: l’istituto stesso della rappresentanza politica non è altro che la forma della mediazione tra il cittadino e lo stato, tra la volontà individuale e la volontà collettiva, è il modo— il medium — attraverso cui le molte volontà individuali si trasformano nella volontà collettiva. E’ il «mezzo» (di nuovo: il medium) con cui i moderni hanno provato a realizzare, per gradi, la democrazia.

Polibio (206- 118 a.C.)

Ma per alcuni—le nuove «élites del potere» —, la democrazia dei moderni è troppo esigente e va addomesticata, per l’appunto snaturando e depotenziando la rappresentanza, fino a ridurla ad una apparenza di democrazia che riveste e traveste il potere immediato di una autocrazia elettiva.

Aggiungo: chi sostiene che anche gli organi (cosiddetti) esecutivi «rappresentano» la polis (il popolo, la nazione, parole ambigue e demagogiche) impiega un significato di «rappresentanza» diverso da e incompatibile con quello che viene attribuito alla nozione di «rappresentanza politica» per definire la funzione dei parlamenti.

Un esecutivo, un governo-cabinet, «rappresenta» (è espressione de) le fazioni vincenti nelle competizioni politiche, al massimo una maggioranza (al netto delle distorsioni delle leggi elettorali), certo non la collettività; e se prevarica le funzioni del parlamento, il governo si pone come organo di una tirannia della maggioranza.

Per altri soggetti—molti cittadini confluiti in movimenti di protesta, perché sfiduciati dal funzionamento effettivo degli istituti della rappresentanza —, la democrazia rappresentativa si è rivelata impossibile, anzi è un inganno, e bisogna trovare il modo (il mezzo, la via) per fare a meno della mediazione rappresentativa.

Cominciando con l’erodere progressivamente i poteri dell’organo della rappresentanza: ridurre il numero dei parlamentari, abolire il divieto di mandato imperativo, decidere per referendum, designare per sorteggio…

In questo modo, si suggerisce implicitamente di considerare i rappresentanti in quanto tali come usurpatori, almeno potenziali, della volontà del popolo sovrano, e dunque della democrazia. E si evoca il modello rousseauiano della democrazia diretta, o un suo ectoplasma virtuale, «in rete».

Ma in questo ectoplasma forse non è difficile riconoscere alcuni dei caratteri degenerati di quella che Polibio chiamava oclocrazia.

Michelangelo Bovero      La Stampa  8/10/2019

 

Vedi:  Taglio dei parlamentari, se la politica diventa uno spot

Se la democrazia diventa solitudine dei numeri esigui

La moltitudine degli uomini erranti non costituisce nazione

Pensiero Urgente n.284) L'invasione degli imbecilli.


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