Caro direttore, sono la mamma adottiva di due figli nati in Africa. Negli ultimi mesi, noi madri di figli di etnie diverse stiamo vivendo sulla nostra pelle e quella dei nostri figli, esperienze viste e raccontate nei film americani degli anni Cinquanta e Sessanta sulla condizione dei neri.

Proprio la settimana scorsa a Recco, in Liguria, mio figlio Fabien, tredicenne, è stato vittima di due episodi forte razzismo. In vacanza con la nonna, giocava spensieratamente a calcio con gli amici nella piazzetta sul lungomare. Una signora passa in mezzo ai ragazzi e una pallonata la colpisce al viso. La sorte ha voluto che il piede che calciava fosse quello di mio figlio, unico nero del gruppo. Il marito, ancora prima di chiedere come stesse la moglie, si è scagliato contro il ragazzo urlando: “Dammi i documenti, fammi vedere il permesso di soggiorno». La situazione è degenerata e sono state addirittura chiamate la polizia e l’ambulanza. Vi lascio immaginare il terrore e la vergogna negli occhi di Fabien e l’incredulità della nonna nel doverlo difendere mostrando alle forze dell’ordine i documenti comprovanti la sua nazionalità italiana.

Il secondo episodio è avvenuto due giorni dopo in spiaggia. Un ragazzo sui 30 anni lo ha improvvisamente spintonato dicendogli: “Negro di merda, torna casa tua, questo paese è nostro! Peccato che non sei affogato con gli altri». La sera mio figlio mi ha raccontato tutto con rassegnazione ma con il dolore negli occhi. È difficile spiegare la sensazione di impotenza che prova un genitore davanti ad una situazione del genere.

Ma come siamo arrivati sino a qui? È più di un anno che una certa politica ha deciso di nascondere le proprie mancanze creando dei nemici da combattere, distogliendo l’attenzione con falsi problemi. L’immigrazione è improvvisamente diventata la ragione di tutti i mali dell’Italia.

L’inasprimento del linguaggio e della comunicazione contro lo straniero stanno rovinando la vita ai nostri figli e a tutti gli immigrati regolari che sino ad ora vivevano una vita normale ed integrata.

Quando un Ministro della Repubblica, sul palco di un comizio, davanti a centinaia di persone si permette di affermare «Non vogliamo più bambini confezionati dall’Africa, non accetteremo sostituzione di popoli con popoli!», dà uno schiaffo alla nostra genitorialità adottiva. Con la conseguente legittimazione di attitudini manifeste non ponderate. In una parola “intolleranti”.

C’è una vera e propria caccia al nero, ormai nero è uno straniero, nero è un immigrato, nero è un delinquente. Come riconoscere un malfattore da uno studente quando hanno la stessa sfumatura di pelle? Potremmo pensare di tatuare sulla fronte dei nostri ragazzi “sono italiano” ma qualcosa mi rimanda indietro di 60 anni alla stella di David cucita sui vestiti.

Come possiamo far crescere dei giovani che saranno il futuro di questo Paese in una società che li rifiutata o li guarda con sospetto perché di colore diverso?

Ormai i nostri figli sono condizionati dal questo clima e hanno paura persino di uscire o prendere i mezzi di trasporto da soli. Gli atti di razzismo in Italia sono aumentati in modo esponenziale e noi siamo la testimonianza di questa atroce realtà. Per questo abbiamo fondato un’associazione che si chiama “Mamme per la pelle” e che nasce proprio dall’esigenza di combattere questa nuova onda di razzismo e xenofobia in Italia.

Mi piacerebbe incontrare il ministro dell’Interno e, parlando da madre a padre, fargli capire che le parole hanno un peso e ad ogni azione corrisponde una reazione. Gli sforzi che proviamo a fare per educare i nostri figli al rispetto degli altri vengono vanificati ogni qual volta una persona li insulta e li denigra e ogni qualvolta lui non condanna pubblicamente queste azioni, ma al contrario, le esalta.

Camminiamo insieme verso il loro futuro, abbiamo tutti troppo da perdere in questa battaglia.

Gabriella Nobile        La Repubblica  6/7/2019

 

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