Quando nei giorni scorsi sentivo proporre per il nuovo Papa il nome Francesco, dicevo subito a chi mi stava vicino: questo è impossibile. Nessun Papa avrebbe la faccia tosta di attribuire a sé un nome di questo stampo, per ragioni storiche e ideali. La figura di Francesco resta nella storia della Chiesa una figura troppo distinta e autorevole perché proprio un Papa possa con un gesto di annessione farla tranquillamente sua. Esistono figure diverse nella storia e quella di Francesco d’Assisi sta bene in quanto attesta una dimensione sua propria. Proprio il cattolicesimo è fatto di queste tensioni. Le dissonanze giovano alla dialettica storica e spirituale.

Sorpresa. Il primo papa gesuita si è imposto il nome Francesco, smentendo in un colpo ogni remora. Il potere papale si estende anche ai nomi e può far suo, senza alcun rispetto, tutto ciò che decide di fare suo. C’è stato un bell’episodio però alla presentazione del nuovo vescovo di Roma, quando il neoeletto ha chiesto al popolo di piazza San Pietro prima di tutto un momento di preghiera per lui. Questo è serio e bello.

Il resto è risaputo. Ciò che piace sono le folle acclamanti, indistinte, cui è facile affibbiare il nome di Popolo di Dio (questo accade anche in politica, con altri nomi). Ma fortunatamente non è tutto qui, neppure nel cattolicesimo. Il popolo è fatto di persone. Un intenso lavoro di sensibilizzazione e di ripresa profonda dei temi del cristianesimo può continuare in vari continenti. Vedremo fino a che punto le diverse sensibilità religiose e non religiose potranno incontrarsi. Parallelamente c’è dappertutto nel mondo un grande bisogno di diaconia, di aiuto sociale. Sono due cammini paralleli che interessano tutte le religioni.

Ci auguriamo che sia possibile incontrarsi con i cattolici in piena fratellanza, senza il sospetto che il potere papale sempre e ovunque si preoccupi di far sentire il suo peso. Nelle varie chiese sembrano avere molto successo gli slogan del tipo: torniamo alle origini! Torniamo al primitivo, alla purezza! Questi richiami sono puramente illusori e servono solo ad addormentare le coscienze nell’idea che esista una primitiva età della purezza senza compromessi. Sono idee oscurantiste e reazionarie. Chi pensa così si crede forse molto progressista e autentico, ma non sarà accontentato.

La realtà è invece quella del presente e soprattutto quella del futuro. Qui siamo interpellati con la nostra intelligenza e con la nostra dedizione, senza ritorni al passato e qui si vedrà chi farà meglio. Per entrare nel futuro occorre libertà e coraggio. Certo l’ispirazione può venire da lontano, da Pietro come da Francesco, per non dire niente di Gesù, ma la soluzione non è la nostalgia del passato, bensì la piena consapevolezza dell’avvenire. Gli strumenti di un cristianesimo consapevole sono nel lavoro, nell’elaborazione, nel dialogo aperto. Più che di guide, il popolo ha bisogno di maturità e di fiducia nella propria capacità di fare esperienza e renderne conto consapevolmente. Il resto seguirà necessariamente. Non siamo chiamati al passato, ma al presente. E qui soltanto la libertà può
garantire l’aiuto di Dio.

Sergio Rostagno    (teologo, professore emerito alla Facoltà valdese di teologia di Roma)   in “NEV” (Notizie Evangeliche) del 14 marzo 2013j

 

 

“Un papa con luci ed ombre”, tra le ambiguità del periodo dittatoriale e la difesa dei poveri

L’opinione di Gabriela Lio (pastora argentina, vice presidente della FCEI)

“Chi, come me, attendeva un Papa rivoluzionario, certamente non lo incontrerà in papa Francesco”. E’ quanto afferma la pastora argentina Gabriela Lio, vice presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). “Bergoglio – prosegue Lio – è un personaggio con luci ed ombre. Non appartiene all’ala più conservatrice della chiesa cattolica argentina, ma neppure può essere annoverato tra i progressisti; è in prima linea per i diritti dei poveri, ma la sua condotta nei confronti della dittatura militare degli anni ‘70 non può essere definita limpida”. In particolare è la vicenda di due sacerdoti gesuiti, sequestrati e torturati dal regime, a far emergere dubbi su Bergoglio. Secondo alcuni, egli avrebbe tolto ai due la sua protezione, lasciando via libera ai militari, accuse che il cardinale ha respinto, anche durante un’udienza in tribunale nel 2010. “Qualunque siano le sue responsabilità su questo caso specifico, a molti argentini e certamente agli attivisti dei diritti civili non è piaciuta la richiesta di perdono che nel 2012 la chiesa argentina ha pubblicamente espresso per non aver difeso il proprio gregge durante la dittatura. Un dichiarazione arrivata troppo tardi e che, soprattutto, metteva insieme la violenza del regime a quella delle sue vittime”.

“Accanto a queste ombre, non da poco per noi argentini, è innegabile che negli anni della crisi economica Bergoglio si distingue per la chiamata alla lotta contro la povertà e la risurrezione morale del paese distrutto da una crisi politica, sociale ed economica”, riconosce Lio. Nel 2009, Bergolgio affermava: “I diritti umani si violano non solo per il terrorismo, la repressione, gli assassini bensì anche per la esistenza di condizioni di estrema povertà e di condizioni economiche ingiuste che originano grandi disugualianze.” “Questo mi sembra un pensiero importante in un mondo lacerato dalle disuguaglianze”, ha concluso Lio.

in  “NEV” (Notizie Evangeliche) del 14 marzo 2013

 

 

Il teologo valdese Fulvio Ferrario ne apprezza la sobrietà

commento di Fulvio Ferrario

“Come tutti i cristiani partecipiamo nell’intercessione a questa fase importante della vita della chiesa di Roma”: queste le parole con cui il teologo valdese Fulvio Ferrario, coordinatore della Commissione ecumenica delle chiese battiste, metodiste e valdesi, ha accolto l’elezione del nuovo papa.
“Certamente il saluto che Francesco ha rivolto alla città di Roma e al mondo suscita viva simpatia ha proseguito il teologo -. Ritengo poterebbe essere onorato da commenti che mantengano la stessa sobrietà. Constato che ancora una volta così non è stato. Le analisi chilometriche e dettagliate che g ià abbiamo subito relativamente a questo o quel particolare sull’autopresentazione di Francesco sono a dir poco premature. Avremo tutto il tempo di dialogare con lui nelle forme che si mostreranno più feconde”.

in  “NEV” (Notizie Evangeliche) del 14 marzo 2013

 

 

“Documenti e testimoni: collaborò con i dittatori”

intervista a Horacio Verbitsky a cura di Giampiero Calapà

«Una disgrazia, per l’Argentina e per il Sudamerica”. È feroce il giudizio di Horacio Verbitsky, intellettuale, scrittore e giornalista di Buenos Aires, su Jorge Mario Bergoglio eletto papa della Chiesa cattolica. Verbitsky – autore di venti libri tra cui Il Volo (che riporta la confessione del capitano Scilingo sui voli della morte) – è il principale accusatore di Bergoglio: il neo pontefice, per lo scrittore – come ricostruito e documentato nel capitolo “Le due guance del cardinale” del suo libro L’isola del silenzio – “è stato collaborazionista della dittatura argentina dei generali”.

Verbitsky, Bergoglio papa è “una disgrazia per l’Argentina e il Sudamerica”. Perché?

Perché il suo populismo di destra è l’unico che può competere con il populismo di sinistra. Immagino che il suo ruolo nei confronti del nostro continente sarà simile a quello di Wojtyla verso il blocco sovietico del suo tempo, sebbene ci siano differenze fra le due epoche e i due uomini. Bergoglio combina il tocco populista di Giovanni Paolo II con la sottigliezza intellettuale di Ratzinger. Ed è più politico di entrambi.

Che cosa facevano i due gesuiti Yorio e Jalics nella baraccopoli di Bajo Flores?

I gesuiti vivevano in comunità ed evangelizzavano gli abitanti dei quartieri marginali, come parte dell’impegno “terzomondista” della Compagnia di Gesù.

Per quale motivo Bergoglio avrebbe dovuto denunciarli?

Con l’avvicinarsi del golpe, Bergoglio chiese loro di andarsene, a quanto racconta lui allo scopo di proteggerli. Secondo loro, per smantellare quell’impegno sociale che disapprovava. Venne nominato superiore provinciale della Compagnia all’inusuale età di 36 anni e da quando arrivò, iniziò a svolgere un compito di sottomissione alla disciplina, a uno spiritualismo astratto. Un documento di un servizio di intelligence che ho trovato nell’archivio della Cancelleria si intitola “Nuovo esproprio dei gesuiti argentini” e afferma che, “nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la compagnia in Argentina non si è ripulita. I gesuiti di sinistra, dopo un breve periodo, con grande appoggio dell’estero e di certi vescovi terzomondisti, hanno intrapreso subito una nuova fase”. Si tratta della Nota-Culto, cassa 9, bibliorato b2b, Arcivescovado di Buenos Aires, documento 9.

I documenti che ha trovato, nella sua lunga indagine, negli archivi del ministero degli Esteri di Buenos Aires, per lei sono la prova definitiva del collaborazionismo di Bergoglio con il regime di Videla?

Sì. Ho trovato una serie di documenti che non lasciano dubbi . In uno, Bergoglio firma la richiesta di rinnovo del passaporto di Jalics senza necessità che venisse dalla Germania. In un altro, il funzionario che riceve la richiesta consiglia al ministro di rifiutarla. In un altro ancora, lo stesso funzionario spiega e firma che Jalics, sospettato di contatti con i guerriglieri, ebbe conflitti con la gerarchia, problemi con le congregazioni femminili (la qual cosa è molto suggestiva), che fu detenuto nella Esma, la Escuela de Mecánica de la Armada (non dice sequestrato ma detenuto) e che si rifiutò di obbedire agli ordini. Finisce dicendo che queste informazioni gli vennero fornite proprio da Bergoglio, oggi papa Francesco.

Da Bergoglio arrivarono le scuse per gli anni della dittatura, nel 2000, quando la chiesa argentina “indossò” le vesti della pubblica penitenza. Crede che non basti?

Non c’è mai stata una vera richiesta di perdono, sempre ambiguità. Non è la Chiesa, ma sono alcuni dei suoi figli ad aver peccato e per loro chiedono il perdono.

Personaggi molto popolari come Maradona o Messi hanno espresso felicità per l’elezione di Bergoglio al Pontificato. La cosa le ha dato fastidio?

No. Aspetto di vedere cosa diranno Pirlo e Balotelli. È ovvio che c’è un trionfalismo generalizzato: il papa è argentino, la regina d’Olanda è argentina, Maradona e Messi sono argentini. Ma questo non dice nulla su Bergoglio e sui suoi meriti.

La Kirchner non lo ama, ha avuto degli scontri su temi come le nozze gay con Bergoglio. Crede che ci sarà mai un incontro tra la presidenta e il papa argentino?

Suppongo di sì, lei è molto conciliante con la Chiesa. Non nasconde mai quello che pensa, ma cerca di mantenere buoni rapporti ed è contraria all’aborto. Il matrimonio omosessuale fu un’iniziativa di Néstor Kirchner, il marito, ex presidente.

Bergoglio ha scelto il nome di Francesco. Molti lo apprezzano per uno stile di vita umile.

Naturalmente, è uno tra mille simboli. Il papa austero, come il poverello di Assisi, che viaggia in bus e metropolitana, che usa scarpe consunte, che celebra messa nella stazione ferroviaria per i più poveri, dei quali ha pietà tra l’indifferenza dei soddisfatti e dei corrotti. Populismo conservatore, imprescindibile per sbiancare i sepolcri vaticani, aperti per il riciclaggio del denaro, la pedofilia e la lotta tra fazioni. Sarà semplice come Giovanni, severo come Paolo, sorridente come Giovanni Paolo I, iperattivo e populista come Giovanni Paolo II e sottile come Benedetto.

Bergoglio disse di aver molta stima di lei, ma che il suo libro è “un’infamia”. Non ha mai avuto modo di incontrarlo? Lo farebbe adesso che è papa?

Quando pubblicai L’isola del silenzio inviò un sacerdote a chiedermi perché lo avessi fatto, nonostante avessimo un bel rapporto e amici in comune che ci presentarono. Replicai con un’altra domanda: che avrei dovuto fare con i documenti che avevo trovato? Bruciarli? Fingere di non averli visti? Questa sì che sarebbe stata un’infamia.

il  Fatto Quotidiano  15 marzo 2013

 

 

Il gelo con i Kirchner Le divisioni argentine

Conservatore sui diritti di libertà individuale che la Chiesa cattolica non considera tali, dall’aborto alle nozze gay. Progressista nella promozione dell’equità sociale e del riscatto dei poveri e degli emarginati. Sono i due volti del Papa argentino. E anche i due aspetti dell’annoso contrasto con la parte politica prevalente nel suo Paese. Non a caso mercoledì, mentre le Chiese e le piazze di Buenos Aires si riempivano di fedeli esultanti, in Parlamento la maggioranza dei deputati respingeva la richiesta di sospendere i lavori avanzata dall’opposizione, che intendeva immediatamente celebrare l’elezione a pontefice del cardinale Jorge Mario Bergoglio, anche a costo di interrompere un’altra funzione in corso, in onore del defunto leader venezuelano Hugo Rafael Chavez.

Non a caso la presidente Cristina Fernandez, vedova Kirchner, non ha ritenuto urgente dedicarsi alla notizia, continuando per circa un’ora a occuparsi di questioni locali su twitter, prima di affidare al social network un omaggio non troppo caloroso. Con l’auspicio che il nuovo pontificato coincida con un periodo di «giustizia, uguaglianza, fraternità e pace nel mondo». Con Cristina Fernandez che governa da sei anni, e con il marito Nestor Kirchner che la precedette alla Casa Rosada fra il 2003 e il 2007, l’arcivescovo di Buenos Aires ha avuto rapporti molto tesi. Così descritti da Sergio Rubin, vaticanista del Clarin, principale quotidiano nazionale: «Lui e Kirchner non si rivolsero la parola per tre anni. Nestor diceva che Bergoglio rappresentava la vera opposizione al governo, nascosta nell’ombra. Con Cristina le relazioni sono un po’ più cordiali, ma solo sul piano formale».

I media internazionali hanno dato risalto nel 2010 allo scontro fra la Casa Rosada e l’arcivescovo di Buenos Aires circa il riconoscimento giuridico dei matrimoni omosessuali. Bergoglio definì la legge «una guerra contro Dio», e aggiunse: «Non siamo ingenui, non è una semplice questione politica ma un tentativo di distruggere i piani divini». Intransigente l’ostilità del capo della chiesa argentina anche sulle norme che tutelano l’interruzione di gravidanza. Nel 2009 Bergoglio ammonì contro il «rischio di omologazione del pensiero», riferendosi agli atteggiamenti populisti di un governo poco tollerante del dissenso. Ma nel mirino erano anche le scelte in materia economico-sociale. «Da anni – disse – il governo non si fa carico della gente». Particolarmente aspre le critiche al programma del partito peronista per l’aiuto ai poveri. Misure insufficienti a suo giudizio per risolvere il problema. «Il nemico è la povertà, non i poveri», affermò, implicando l’inutilità propagandistica dei sussidi previsti dalle autorità. Su questo terreno era stata completa in passato la rottura con Nestor Kirchner, di cui criticava «l’esibizionismo e gli annunci stridenti» con la realtà, in un periodo in cui il Paese viveva ore drammatiche dopo la bancarotta del 2001. Kirchner arrivò a paragonare Bergoglio al demonio che «è dappertutto, fra quelli che portano i pantaloni come tra coloro che indossano la tunica». L’arcivescovo non fu meno tagliente: «I diritti umani non sono solo violati dal terrorismo, dalla repressione, dagli omicidi, maanche da strutture economiche ingiuste che creano ampie disuguaglianze».

Sui diritti umani violati però, in Argentina non manca chi attribuisce pesanti colpe al neo-papa, L’accusa è di avere collaborato con la dittatura. Ma soprattutto gli viene contestato di non avere protetto i preti progressisti vittime della violenza di Stato, o addirittura di avere favorito l’arresto di alcuni di loro. In una biografia di Bergoglio, Sergio Rubin racconta invece che il nuovo Papa si espose a notevoli rischi per salvare persone in pericolo. Diede la propria carta d’identità a un ricercato che gli assomigliava fisicamente, così che potesse rifugiarsi all’estero. E quando incontrò Videla fu per intercedere per il rilascio di due religiosi, che in precedenza aveva vanamente cercato di convincere ad abbandonare la baraccopoli in cui prestavano la loro attività pastorale, sapendo che rimanendo sarebbero finiti nei guai.

L’episodio è controverso. Uno dei due preti, Orlando Yorio, nel frattempo deceduto, sostenne di essere stato catturato e torturato proprio perché Bergoglio non lo aveva difeso. Adolfo Perez Esquivel, che vinse il premio Nobel per la pace nel 1980 proprio per avere documentato le atrocità della giunta militare, si schiera dalla parte di Bergoglio: «Forse non ebbe lo stesso coraggio di altri sacerdoti, ma non collaborò mai con la dittatura. Non si può accusarlo di complicità». D’accordo con lui Jorge Ithurburu, presidente dell’Associazione 24 marzo, che è parte civile nei processi contro i militari argentini in Italia. «Una cosa è la responsabilità della Chiesa cattolica come organizzazione – dichiara -. Un’altra è quella dei singoli. Bergoglio all’epoca non era neanche vescovo e di sue responsabilità personali non c’è traccia». Di opinione diversa Estela Carlotto, presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, che ha instancabilmente indagato sulla sorte dei bambini che venivano sottratti agli oppositori incarcerati: «Non abbiamo mai sentito da lui una parola sui nostri nipoti, né sui desaparecidos». Ora comunque, aggiunge Estela Carlotto, «l’importante è sapere che vuole lottare per la pace, la convivenza, l’amore per il prossimo».

Gabriel Bertinetto     l’Unità   15 marzo 2013

 

 

Martiri e silenzio così la chiesa si strinse ai golpisti

L’America Latina è il continente dove la religione è vissuta in pubblico: chiese, radio, tv. Accompagna e determina la politica in uno spazio aperto alla folla dei cristiani più grande del mondo. Chiesa cattolica che sta con la gente, ma quale tipo di gente?

Le analisi divergono anche se la scelta in apparenza sembra semplice. Se i governi sono l’espressione dei popoli, la stessa folla si affida alla Chiesa, ma se i governi soffocano la gente dovrebbero soffocare anche la Chiesa il cui annuncio accompagna l’impegno alla solidarietà. Tocca ai governi decidere quale ruolo scegliere e alla Chiesa quale solidarietà esercitare. La pratica si sforza di non isolare le buone relazioni fra Roma e il Vaticano. Scelta non semplice nel continente spagnolo sospeso tra il passato della Teologia della Liberazione non gradita alla Roma di Giovanni
Paolo II e Benedetto XVI e la realpolitik di tanti governi.

Cronaca degli ultimi anni nell’Argentina in transito dai militari alla democrazia dei Kirchner. Nella Buenos Aires 1976, giorno prima del golpe, la conferenza episcopale incontra il generale Videla e l’ammiraglio Massera, affiliato alla loggia di Licio Gelli. Si formalizza l’accordo per una “serena convivenza”. Garantisce monsignor Tortolo, vescovo militare. Gran parte dei vescovi e il nunzio apostolico Pio Laghi assistono all’insediamento di dittatore accanto all’ammiraglio Massera.

Laghi è il solo diplomatico presente. Manca il vescovo Angelelli ucciso poco dopo. Non c’è il vescovo Carlos Ponce assassinato in un finto incidente stradale. Ma il primo a morire è don Carlos Mungica fondatore del movimento sacerdoti terzomondisti. Poi tocca a padre José Tedeschi e all’intera comunità dei pallottiniani: 3 preti, 2 seminaristi. Mentre altri preti si nascondono o finiscono nelle prigioni segrete, l’omelia del nunzio Pio Laghi rasserena gli animi. “L’Argentina ha un’ideologia tradizionale e quando qualcuno impone idee estranee, la nazione reagisce. I soldati adempiono al loro dovere primario di amare Dio e la Patria”. Laghi è un tennista disinvolto. Due volte la settimana sfida l’ammiraglio Massera. Quando torna a Roma diventa cardinale.

Paolo VI, stanco e malato, viene tenuto all’oscuro e solo un anno dopo si rivolge alla commissione episcopale con una lettera insolitamente arcigna: perché tacete? La commissione risponde condannando i delitti senza parlare del governo. Il Vaticano non viene informato dei ragazzi che spariscono: migliaia. E se qualcuno sa, tace per non turbare il pontefice. Tina Boitano, e altre madri di Piazza di Maggio decidono di arrivare a Roma per informare il nuovo papa Giovanni Paolo II dei figli che militari in borghese hanno portato via mentre uscivano dalla messa o dall’università. Del nunzio e dei vescovi ormai non si fidano. Risposte vuote. Per sopravvivere in Italia fanno le perpetue. Qualcuno le infila in un’udienza e la Boitano allunga un foglio al Wojtyla che la sfiora. E nell’Angelus della domenica Giovanni Paolo II pronuncia per la prima volta la parola “desaparecidos” e chiede spiegazioni al cardinale Aramburu. Chiesa divisa: la paura e l’obbedienza dovuta al primate argentino non sdegnoso verso i militari, frena chi si ribella alla violenza.

Non tutti hanno il coraggio della protesta. E quando i golpisti perdono il potere, la reticenza della Chiesa continua. Parlo col vescovo Laguna, portavoce della commissione episcopale, mentre il default inginocchia l’Argentina. Prima del colloquio fa sapere: “Appartengono all’ Opus Dei”. 2001: due vescovi chiedono perdono. Il vecchio Karlik e Novak ormai sul letto di morte. Hanno aiutato nell’ombra le vittime impaurite ma riconoscono di aver taciuto quando “dovevamo parlare”. Monsignor Laguna non è d’accordo sulla forma della confessione. “ Potevano invocare perdono per la loro diocesi, non nel nome della Chiesa. La Chiesa è stata chiara con la dovuta cautela. Bisogna riconoscere che certe complicità hanno aiutato il silenzio: piccoli preti ma anche membri della gerarchia frequentavano i comandanti con amicizia”.

RIFIUTA L’AMBIGUITÀ di Pio Laghi: “So quanto si è prodigato per salvare chi poteva salvare…”. E l’opacità continua fino ai nostri giorni. Christian von Wermich, sacerdote che “consolava” nella confessione gli studenti destinati a sparire nei sotterranei della tortura, Scuola Meccanica della Marina (oggi museo Nunca Mas), sta scontando l’ergastolo per aver ingannato con trappole sacrileghe 34 ragazzi. Sette non sono mai tornati. Usava la confessione per sapere i nomi degli amici nascosti. Subito li faceva arrestare. Accompagnava le “sue” vittime a morire invitando alla serenità: “Volontà del Signore”. Un anno fa scrive una lettera ai giornali: lamenta la costrizione di non celebrare messa davanti ai carcerati. “La Chiesa conferma la mia piena dignità sacerdotale, perché il Direttore dell’Istituto mi impedisce di esercitarla?”.  Ancora un anno fa sopravviveva la curiosità senza risposta: come mai non è stato sospeso a divinis come è successo a ogni teologo della liberazione?

Maurizio Chierici      il  Fatto Quotidiano  15 marzo 2013

 

 

“Anche sui desaparecidos italiani quella Chiesa fu responsabile”

L’ombra dei desaparecidos argentini s’allunga sull’esordio del papato di Francesco. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio aveva quarant’anni durante l’epoca buia della dittatura. È stato provinciale gesuita tra il 1973 e il 1979, in un periodo in cui era difficile non essere a conoscenza dei crimini perpetrati dalla giunta militare, dei sequestri e delle sparizioni, delle torture e del rapimento di centinaia di bambini partoriti in clandestinità. L’avvocato Giancarlo Maniga, origini sarde e studio a Milano, è stato legale di parte civile nel processo sui casi di sei desaparecidos di origine italiana, che si è concluso a Roma nel 2004 con la condanna all’ergastolo dei generali Guillermo Suàrez Mason e Santiago Omar Riveros e di altri ufficiali argentini. Maniga ha seguito anche le sorti di tre cittadini di origine italiana nell’ambito del processo Esma, con cui sono stati condannati all’ergastolo, tra gli altri, l’ex capitano di corvetta Alfredo Astiz e il “Tigre” Jorge Acosta, uno dei più efferati torturatori dei tempi della dittatura.

L’avvocato conosce a fondo quell’epoca oscura: ha ascoltato le testimonianze di decine di familiari di desaparecidos ma anche di studenti, sindacalisti, professori universitari, persone comuni sopravvissute alla crudeltà dei centri clandestini. “In quel momento storico drammatico, la Chiesa argentina ha brillato per la sua assenza”, commenta oggi Maniga dal suo studio di fronte al tribunale di Milano: “Un’assenza così marcata da sconfinare nella complicità. A Buenos Aires, ma anche a Rosario o Cordoba, ogni giorno spariva qualcuno. La Chiesa non poteva non sapere”, continua il legale. “Tanto più che vi sono testimonianze secondo cui ai desaparecidos, prima di venire lanciati in mare dai famigerati vol della morte, veniva data l’estrema unzione da sacerdoti convocati ad hoc”. Quello che alcuni
definiscono un silenzio prudente si traduce, nei ricordi dell’avvocato sardo, in colpevole omertà.
F ino al mea culpa in occasione del 30° anniversario del golpe, quando papa Francesco , allora arcivescovo di Buenos Aires, incoraggiò la Chiesa a pubblicare un documento in cui ammetteva in parte le proprie responsabilità. Secondo Maniga non è sufficiente: “I credenti di allora avevano diritto a una posizione più netta e più attiva. Ad esporsi furono solo sconosciuti sacerdoti e parroci di provincia. Rappresentanti del basso clero. Che in molti casi hanno pagato con la vita il loro coraggio”. Una macchia, quella dei desaparecidos, che rischia di compromettere la popolarità del nuovo papa? L’avvocato Maniga non ci crede più di tanto: “Bergoglio è un politico molto abile”.

Anna Vullo      il  Fatto Quotidiano  15 marzo 2013

 

Papa Francesco, una partita ad alto rischio

Un ateo quale io sono non è la persona più indicata per esprimere auspici su quanto potrebbe/dovrebbe fare il nuovo Papa. Il “bene della Chiesa” non rientra tra le mie preoccupazioni, fingerlo sarebbe pura ipocrisia. Del resto il “bene della Chiesa” significa anche per i credenti le cose più diverse e financo opposte: quello che con tale espressione intendono le eminenze Bertone e Bagnasco credo sia inconciliabile con quanto vorrebbero don Gallo e don Ciotti, esattamente come alternativo era “il bene della Chiesa” versione cardinal Siri e don Gianni Baget Bozzo con quello di
Dom Giovanni Franzoni e di don Mazzi dell’Isolotto. Ma anche “ateo” nasconde le scelte di valore più variopinte. Ateo era il mio maestro Lucio Colletti, finito malinconicamente parlamentare di Berlusconi, e ateo clericalissimo, ratzingeriano devoto, è Giuliano Ferrara.

UN ATEO “auspica” secondo i propri valori, nella convinzione (opposta a quella del Papa e di ogni autentico credente) che tutto si giochi nella breve durata dell’esistenza, perché con la morte tutto si conclude e ogni aldilà di riscatto, premio, punizione, è pura illusione, pura superstizione. Dunque, anche rispetto a quanto potrebbe fare Papa Francesco, io posso solo ragionare a partire dai valori che sono la mia bussola, Giustizia e Libertà.

Sotto il profilo delle libertà dal nuovo Papa non mi aspetto nulla. Potrei aggiungere un “quasi”, ma credo che in campo etico le “aperture” di Jorge Mario Bergoglio al massimo riguarderanno i fedeli praticanti e il loro accesso ai sacramenti (ad esempio la comunione ai divorziati). Per il resto Francesco continuerà a confondere peccato e reato, e a opporsi con ferocia, come ha fatto anche recentissimamente da primate dell’Argentina, a una legislazione liberale e democratica in fatto di matrimonio egualitario (cioè anche tra omosessuali), di pro choice della donna rispetto alla propria gravidanza, di libertà di decidere sul proprio fine vita. Per il matrimonio omosessuale ha tirato in ballo Satana che aggredisce Dio, e sarebbe ancora il meno, se avesse con ciò voluto ricordare al gregge che un omosessuale finisce all’inferno (del resto anche il sesso eterosessuale fuori del matrimonio è peccato mortale). Il fatto è che si è scagliato contro le autorità politiche e i cittadini che una legge per il matrimonio egualitario vorrebbero introdurla. Insomma, inutile illudersi che Papa Francesco possa prendere sul serio il principio di laicità che è a fondamento delle democrazie liberali.

Diverso, invece, il discorso in tema di giustizia. Molto diverso, probabilmente. Un Papa che osa scegliere il nome del poverello di Assisi, violando un timore e tremore di secoli, pronuncia con questo gesto un giuramento solenne al miliardo e duecento milioni di credenti, e a tutti “gli uomini di buona volontà” a cui fin dalla sua apparizione al balcone di san Pietro ha voluto rivolgersi. Testimonia e promette di voler prendere sul serio il vangelo, quando dice che non si può servire a due padroni, a Dio e a Mammona (Matteo, 6,24), cioè oggi allo Ior e alle “opere di religione”. Aut, aut: o le speculazioni dei banchieri e la copertura a corruzione e riciclaggio, o l’elemosina ai poveri, la metà del proprio mantello agli ultimi.

L’auspicio è perciò che in tema di giustizia Francesco abbia la forza di “implementare” il programma di autentica rivoluzione che è già contenuto nelle prime e incredibilmente impegnative scelte simboliche compiute. La volontà è esplicita, la capacità la misureremo con le prime decisioni di “governance”.

LA NOMINA del Segretario di Stato, in primo luogo. Da cui capiremo se in conclave il partito della curia è stato davvero sbaragliato, o se per piegarsi ha ottenuto “l’onore delle armi” di un “primo ministro” non troppo inviso (come sarebbe, invece, un non-italiano non-curiale o un italiano come mons. Viganò, esiliato a Washington per la sua azione anti-corruzione). Il controllo dello Ior, subito dopo: blindato da Bertone con uno spudorato blitz nelle ultime ore del papato di Ratzinger (cacciando l’unico oppositore, il cardinal Nicora), ma che il nuovo Papa può spazzar via nel fiat di un motu proprio. E infine un atteggiamento pastorale capace di imporre lo standard della povertà e dell’impegno accanto agli “ultimi”, oggi praticato esclusivamente dai “preti di strada”, come la normalità della vocazione ecclesiastica.

Come la metterà però con i potentissimi e opulentissimi “Cavalieri di Colombo” assai cari a molti cardinali statunitensi che figurano tra i suoi grandi elettori? E con le altre mondanissime organizzazioni cui andavano i favori di Wojtyla e Ratzinger, che ne hanno canonizzato i fondatori, l’Opus Dei e Comunione e Liberazione ? Un Papa gesuita è nelle migliori condizioni per ridimensionare queste vere e proprie “Chiese nella Chiesa”, ma avrà il coraggio delle rotture
necessarie? E al rilancio di una Chiesa assai più “spirituale” e assai meno “mondana” saprà associare la necessaria attenzione per gli apparati di sicurezza del Vaticano, che quanto a “deviazione” talvolta fanno concorrenza a quelli italiani? Perché sarà blasfemo anche il solo pensarlo, ma un Papa che nella Curia e in Vaticano faccia la terribile pulizia che il nome di Francesco evoca, apre una partita ad altissimo rischio.

Paolo Flores d’Arcais     il  Fatto Quotidiano  15 marzo 2013

 

 

vedi:  Non facciamone un santo

Tra gesuitismo e pauperismo

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