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Il 6 agosto 1980 muore ucciso da sicari mafiosi in una via di Palermo con tre colpi di pistola GAETANO COSTA (64 anni), magistrato e Partigiano.
Vedi: L’uomo di cui si poteva comprare solo la morte: GAETANO COSTA
Il 6 agosto 1980 muore ucciso da sicari mafiosi in una via di Palermo con tre colpi di pistola GAETANO COSTA (64 anni), magistrato e Partigiano.
Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo, fu un magistrato siciliano di assoluta dirittura morale e professionale e per questo venne visto come modello di riferimento da uomini e magistrati come GIOVANNI FALCONE e PAOLO BORSELLINO e da ROCCO CHINNICI, suo grande amico (che ne continuò l’impegno di alto valore morale e giuridico come consigliere istruttore di Palermo), tutti uccisi anch’essi da Cosa Nostra in anni seguenti.
Fu anche punto di riferimento per BORIS GIULIANO, capo della squadra mobile di Palermo e suo stretto collaboratore, ucciso da Cosa Nostra nel 1979.
Costa era nato a Caltanissetta e sin da ragazzo aderì al PCI negli anni in cui, sotto il regime fascista, era un partito clandestino. Poi, già laureato in giurisprudenza, partecipò alla lotta partigiana in Piemonte. Negli anni quaranta divenne magistrato a Roma appena liberata ma chiese di essere trasferito alla procura di Caltanissetta dove restò dal 1944 al 1978. Quindi nella sua città natale compì la parte più lunga della sua attività di magistrato prima come sostituto procuratore poi come procuratore capo.
Nel 1978 fu nominato procuratore capo di Palermo. Da subito venne accusato, anche dentro il palazzo di giustizia di Palermo, di essere un “procuratore rosso”, con conseguenti forti ostacoli alla sua attività. Ma la determinazione di Costa fu assoluta. Così dichiarò appena insediato a Palermo:
«Vengo, disse, in un ambiente dove non conosco nessuno, sono distratto e poco fisionomista. Sono circostanze che provocheranno equivoci. In questa situazione è inevitabile che il mio inserimento provocherà anche dei fenomeni di rigetto. Se la discussione però si sviluppa senza riserve mentali, per quanto vivace, polemica e stimolante, non ci priverà di una sostanziale serenità. Ma ove la discussione fosse inquinata da rapporti d’inimicizia, d’interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fatalmente alla lite».
Nonostante apparisse freddo e distaccato e con poca inclinazione ai rapporti sociali, dimostrò sempre una grande umanità ed attenzione soprattutto nei confronti dei soggetti più deboli.
Cosa Nostra lo vide subito come un grosso pericolo per le sue attività criminali perchè Costa intuì per primo che per poter colpire con efficacia la mafia occorreva penetrare la sua attività patrimoniale e scoprire le banche colluse nel percorso del denaro sporco che accompagnava i traffici di droga: fece condurre approfonditi accertamenti su precisi intrecci di interessi economici, finanziari, bancari e societari e su un giro di appalti miliardari gestiti dalle ditte di facoltosi imprenditori e boss mafiosi.
Questo fatto fu colto appieno, in seguito, da Giovanni Falcone che condusse una formidabile attività investigativa sui percorsi oscuri del denaro dei boss di Cosa Nostra.
La sua attività era talmente disturbante per i mafiosi che nel 1980 Costa fu l’unico magistrato a cui, in quel momento, furono assegnate un’auto blindata e una scorta; ma le rifiutò, perché non riteneva giusto che la sua protezione potesse mettere in pericolo altre vite umane.
Una sera, a Palermo, l’allora questore Vincenzo Immordino lo vide mentre camminava tra i vicoli della Vucciria e gli ricordò i pericoli a cui andava incontro. Costa replicò di esserne consapevole. Ma si disse sereno: perché «ci sono uomini che hanno il diritto di avere paura ed altri che hanno il dovere di avere coraggio».
Inevitabilmente si arrivò alla sua uccisione: Costa fu assassinato il 6 agosto 1980. Alle 19:30, passeggiando da solo e a due passi da casa sua, fu colpito con sei colpi di pistola P38 sparatigli alle spalle da due killer poi fuggiti. Costa stava sfogliando dei libri su una bancarella e morì dissanguato su un marciapiede di via Cavour a Palermo Al funerale parteciparono poche persone e soprattutto pochi magistrati.
La causa ultima del suo feroce assassinio fu il fatto che Costa aveva firmato personalmente e coraggiosamente la convalida dei mandati di cattura nei confronti del pericoloso boss Rosario Spatola ( che aveva rapporti anche con Michele Sindona e gestiva con altri boss di grande importanza un grosso traffico di eroina con gli Stati Uniti i cui proventi venivano reinvestiti nell’edilizia) e di altri 54 dei suoi uomini proprio perchè i suoi sostituti e colleghi, impauriti, si erano rifiutati di firmare.
Il suo impegno sarà continuato da Falcone e Chinnici, che erano stati tra i pochi magistrati che lo avevano capito ed appoggiato. Falcone poi riuscì a portare a processo e a far condannare i mafiosi colpiti dai mandati di cattura firmati da Costa.
La cosa peggiore è stata che molti settori, compresa la Magistratura, hanno cercato di farlo dimenticare probabilmente per nascondere le colpe di coloro che lo lasciarono solo e, come disse Leonardo Sciascia, lo additarono alla vendetta mafiosa.
Nessuno è stato condannato per la morte di Costa, nonostante il processo celebrato presso la Corte di assise di Catania. I resti di Gaetano Costa riposano nel cimitero di Sant’Orsola di Palermo.
Nonostante tutto lo Stato ha onorato il suo sacrificio con il conferimento della Medaglia d’oro al merito civile “per aver esercitato la propria missione ispirandosi al principio dell’indipendenza della funzione giudiziaria, con profondo impegno ed appassionata dedizione, distinguendosi per la particolare fermezza ed il rigore morale, pur consapevole dei rischi personali connessi alla sua funzione di Pubblico Ministero“.
“Era riuscito a capire la mafia più di altri che non volevano capire“. Così scrive di lui il giornalista Dino Paternostro sul quotidiano La Sicilia nell’agosto 2010, a trent’anni dalla morte. Le sue riflessioni Costa, le espose negli anni sessanta alla prima Commissione antimafia dove sostenne, come riporta Giuseppe Casarrubea, che “la mafia aveva subito una radicale mutazione e che ormai si era annidata nei gangli vitali della pubblica amministrazione, controllandone gli appalti, le assunzioni e la gestione in genere“. “Inutilmente“, aggiunge Casarrubea, “Costa richiamò l’attenzione delle massime autorità sul fatto che un’efficace lotta alla mafia imponeva la predisposizione di strumenti legislativi che consentissero di indagare sui patrimoni dei presunti mafiosi e di colpirli“.
Un suo sostituto scrisse che Costa era un uomo “di cui si poteva comprare solo la morte“.
Mario Farinella, scrittore e giornalista siciliano (1922-1993) all’indomani dell’assassinio, su L’Ora di Palermo così descrive Costa: “Era l’antisimbolo per cultura, per educazione, per naturale disposizione. Si considerava ed era soltanto un caparbio amministratore della giustizia, un uomo apparentemente comune, disadorno, dalla vita semplice, essenziale nelle parole, nei gesti, nel lavoro e perciò era un magistrato di audace modernità, razionale e puntiglioso, di raro rigore morale e intellettuale“.
L’uccisione del giudice Gaetano Costa fu preceduta dall’uccisione da parte di Cosa Nostra del procuratore generale di Palermo PIETRO SCAGLIONE (Palermo, 5/5/1971) e dall’uccisione del Consigliere presso la Corte di appello di Palermo CESARE TERRANOVA (Palermo, 25/9/1979).
Palermo 6 Agosto 1980: L’omicidio del Giudice Gaetano Costa
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