Venerdì Il Fatto ha pubblicato numerose lettere arrivate in redazione dopo l’annuncio del Sì al Tav da parte del premier Conte, accompagnato dagli interventi di Tomaso Montanari e Stefano Feltri sul tema delle responsabilità dei Cinque Stelle in questa fase storica. Il dibattito continua: ecco cosa ci scrive un lettore e cosa risponde Montanari.

Caro Montanari, sono terrorizzato dall’idea che, nonostante la resistenza, tra quattro anni ci ritroveremo comunque con Salvini a palazzo Chigi, e soltanto perché nel frattempo il M5S sarà percepito come il freno a mano che ha impedito alla Lega di “cambiare” davvero l’Italia. Sostenevo il ritorno alle urne in tempi non sospetti, fin da quando nessuno volle fare un governo con il M5S, quando i sondaggi prevedevano un Movimento in viaggio vero il 40%, o un governo che non avesse bisogno di tutti i dem per essere avviato. Adesso, l’unica possibilità per il M5S è smetterla di giocare pulito con un alleato che gioco sporco e porre fine a questa sudditanza. L’unica speranza giace nello stracciare il contratto (o lasciarlo nelle mani di Conte), imporre ovunque la loro agenda e fare a gara con Salvini a chi finisce prima le cartucce, costringendo il Pd a essere la sponda di qualcuno. E se il governo deve cadere, cada per colpa degli altri.

G.C.

 

Caro lettore, lo scenario che lei prospetta è quello, teoricamente, preferibile. Restare al governo col coltello tra i denti, e fare quello che non si è fin qui fatto: far rispettare le proprie idee e i propri numeri. Ma queste idee ci sono mai state? E, se sì, ci sono ancora? Questi mesi hanno mostrato che il ceto dirigente di un Movimento senza democrazia interna è animato quasi solo da ambizione personale.

Per resistere come lei suggerisce, ci vogliono invece una determinazione e una volontà straordinarie. Prendiamo la questione cruciale: è in grado Toninelli di mettersi di traverso ad ogni passaggio verso il Tav, con una guerriglia istituzionale efficace? È nella posizione di farlo, se vuole. Ma ne è capace?

Ho potuto constatare personalmente come anche nei ministeri del Movimento (penso ai Beni culturali), il Movimento stesso non sia riuscito a imporre la sua politica: per mancanza di chiarezza mentale, per divisioni profonde, incapacità, timidezze, scelte di personale sbagliato.

Questo in tempo di pace: figuriamoci se si scende in trincea contro il condomino di governo. Si tratta ora di scommettere sul male minore, e avendo visto il Movimento al governo, francamente penso che difficilmente si farà più male all’opposizione.

Ma il problema è più di fondo: tutti conosciamo ormai la visione – distopica e nera – della Lega di Salvini. Nulla abbiamo invece capito dell’idea di società e di mondo dei Cinque Stelle: e senza una visione, un obiettivo, un progetto è impossibile non dico vincere, ma anche solo combattere. Le macerie del Pd stanno lì a dimostrarlo.

Tomaso Montanari    Il Fatto 28 7 2019

 


Questo è l’intervento di Tomaso Montanari nel Il Fatto del 26 luglio 2019.


È l’ultima guerra persa: M5S finirà disintegrato se non lascia il governo

Il momento è ora. Se il Movimento 5 Stelle vuole sperare di avere un qualsiasi futuro, deve uscire dal governo sul Tav. Il presidente del Consiglio non è riuscito a invocare una sola ragione tecnica che ribalterebbe la famosa analisi costi-benefici. Ha invocato vaghe decisioni dell’Europa (prima ancora che la nuova Commissione decida), ha prospettato “costi” del recesso non precisati e non dimostrati: ha solo fatto sua la solita fumisteria di chiamparini e madamine.

Conte ha fatto dunque una scelta politica: arrivati alla resa dei conti, il garante del patto di governo ha scelto uno dei due contraenti. Non quello che l’ha portato a Palazzo Chigi: ma il più forte. E ha scelto l’arma-fine-di-mondo: perché restare in un governo che fa il Tav significa, per i 5 Stelle, il suicidio.

E c’è di peggio: presentarsi non più come l’avvocato difensore dei cittadini, ma come l’avvocato d’affari del Tav significa schierarsi non solo con la Lega, ma con il sistema di cui la Lega è parte. Con il Pd, con Confidustria e (ahimé) con i sindacati: con il presidente della Repubblica e con tutti i garanti dello stato delle cose.

Perché i 5 stelle dovrebbero rimanere al governo? L’unica ragione nobile sarebbe la quasi certezza che votare ora significherebbe consegnare il Paese a Salvini. Con questa legge elettorale – superando il 40% dei voti, ad elezioni che avrebbero un’astensione record – qualcosa come un quarto degli aventi diritti al voto potrebbe esprimere parlamentari sufficienti a eleggere il Presidente della Repubblica e a cambiare la Costituzione. Ma se l’unico modo di fermare Salvini è trasformare il governo Conte in un governo Salvini, allora conviene rompere ora.

Perché andando avanti così l’esito sarà lo stesso, con l’aggravante di un Movimento 5 Stelle letteralmente disintegrato. Al contrario, se il Movimento rialzasse la bandiera dei suoi valori fondanti, a partire dall’ambiente, uscisse dal governo sul Tav (ma anche sulla corruzione dilagante nella Lega; sulla sudditanza di Salvini alla Russia di Putin; su un’autonomia differenziata che ha l’unico scopo di fottere definitivamente il Mezzogiorno) e cambiasse il leader (perché Di Maio ha credibilità zero) potrebbe ancora giocarsi la partita.

A suo favore gioca ancora la totale assenza di alternative: alle Europee Salvini si è preso i voti di destra del Movimento, ma sono invece finiti nell’astensione i milioni di voti di tutti coloro che vorrebbero davvero cambiare il sistema.

Sono tra coloro che, da sinistra, aveva provato a credere che il Movimento avrebbe potuto giocare un ruolo nello scardinamento dello stato delle cose. Non ho mai accettato le cariche che mi hanno proposto, e non ho mai fatto dichiarazioni di voto a loro favore (se non per la Raggi a Roma: e, in quella situazione, la rifarei mille volte). Ma trovandomeli accanto in mille battaglie per l’acqua, l’ambiente, i beni comuni avevo sperato che potessero giovare. Una speranza ingenua: della quale tuttavia non mi pento, anche solo perché – in attesa delle condizioni, ancora assai lontane, della ricostruzione di una qualche sinistra politica – non c’era altro in cui sperare. Anche oggi – diciamolo chiaro – l’alternativa è l’astensione.

Ma la sudditanza (e l’esplicita complicità, a tratti disgustosa) alla politica di estrema destra di Salvini sui diritti umani, un reddito di cittadinanza lontanissimo da quello che avevano proposto prima di essere al governo (e realizzato all’insegna del ‘sorvegliare e punire’), la ripresa della svendita del patrimonio pubblico, una riforma costituzionale che piccona ulteriormente il ruolo del Parlamento, e in generale una velocissima trasformazione in casta di potere (con mandato, e competenza, zero) hanno distrutto quella speranza.

Restava solo la casamatta del Tav, che non investe solo il destino della Val di Susa ma l’idea stessa di democrazia: subire il tradimento di Conte sarebbe la fine del Movimento, respingerlo è l’ultima occasione di una palingenesi. Che non sarebbe facile, ma sempre meglio di una fine vergognosa.

Tomaso Montanari      Il Fatto  26/7/2019

 

Vedi:  M5S-PD, accordo possibile o accordo suicida?

È finito il governo più incompetente della nostra storia. Il prossimo sarà peggio.

M5s, il documento dei senatori a Di Maio.

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