Prima i russi. L’ukase del Cremlino e la straordinaria inadeguatezza di Giuseppe Conte

La tenue e insignificante risposta del governo italiano, ma non di Palazzo Chigi, alle minacce di Mosca al giornalista della Stampa mostrano che quando sarà tutto finito il premier dovrà togliere il disturbo

Quando tutto sarà finito – a maggio, a giugno, a settembre o il prossimo anno – Giuseppe Conte dovrà togliere il disturbo. Di nuovo, non entriamo nella questione della risposta alla pandemia o della palese incapacità di indicare una strategia sanitaria nazionale né nell’aver delegato a oscuri funzionari la comunicazione pubblica e neppure nella mancanza di un progetto per la ripartenza e nemmeno per essersi incartato con gli alleati europei pretendendo miliardi su miliardi a fondo perduto, e senza condizioni, come se l’Italia avesse vinto al totocalcio invece che essere stata travolta dalla più grande crisi della sua storia repubblicana.

Il virus è un evento gigantesco, ben fuori dalla portata del nostro premier e di chiunque altro. Donald Trump, per esempio, ha messo suo genero a capo delle operazioni di salvataggio degli americani, uno che avrebbe già dovuto portare la pace in Medio Oriente, avendo letto perfino 25 libri sul tema, e sul quale ieri il New York Times ha titolato: «Jared Kushner ci ucciderà tutti quanti».

Quindi non è solo la pandemia: quando sarà possibile Giuseppe Conte dovrà togliere il disturbo per il guaio combinato con i russi. Palazzo Chigi ha consentito a Vladimir Putin di sbarcare in Italia con mezzi militari, medici, soldati e agenti dei servizi, per la prima volta nel dopoguerra in un paese occidentale, facendogli fare la ola in favore di telecamere sulle autostrade nazionali e senza nemmeno sapere che tipo di aiuti avrebbe portato.

Conte è uomo di studi umanistici, avrebbe dovuto ricordarsi di «timeo danaos et dona ferentes», temo i greci, in questo caso i russi, anche e soprattutto quando portano doni. Invece niente. Via libera.

Come hanno ricostruito Nicola Biondo e Mario Lavia ( vedi articolo sotto, n.d.r.), Conte ha agito da solo, senza coordinarsi con il ministero della Difesa né con la Farnesina, nell’imbarazzo dei vertici di entrambi i ministeri, i quali a lungo hanno provato a non farsi macchiare dalla vicenda, senza però evitare di confezionare una gaffe internazionale con americani e Alleanza Atlantica per aver fatto circolare lungo la penisola, con il paese in lockdown, un contingente straniero con mezzi militari e 104 uomini, di cui soltanto 32 operatori sanitari e il resto 51 “bonificatori”, qualsiasi cosa voglia dire, e 21 altro personale di supporto.

I russi si comportano così, in modo rozzo e imperiale, lo sanno tutti, tranne che a Palazzo Chigi: averglielo consentito è una colpa senza precedenti per un presidente del Consiglio italiano, anche considerata la straordinaria situazione che stiamo vivendo. Questo lasciapassare ha fatto credere al Cremlino di potersi permettere di minacciare un giornalista italiano, com’è suo uso e costume, a prescindere da che cosa ha scritto quel giornalista.

La minaccia con toni da gangster, denunciata da Linkiesta ieri mattina, è stata criticata aspramente da buona parte della stampa italiana e da qualche politico di rilievo, nel silenzio dei grandi partiti di maggioranza e di opposizione. Per ore il governo non ha detto una parola, tentando fino all’ultimo di non rispondere alle intimidazioni russe.

Quando all’ora di pranzo, Conte e i ministri degli Esteri e della Difesa hanno deciso di riunirsi per formulare una risposta all’ukase ( editto perentorio, n.d.r.) russo, hanno partorito una blanda e insipida nota a firma dei due dicasteri, ma non di Palazzo Chigi, che per tre quarti è di elogio e di ringraziamento ai russi e soltanto nell’ultimo paragrafo dice che «non si può, allo stesso tempo, non biasimare il tono inopportuno di certe espressioni utilizzate dal portavoce del ministero della Difesa russo».

Leggete bene, di fronte a una minaccia di un governo straniero a un giornale italiano, la risposta del governo italiano è stata affidata a due insulse negazioni, «non si può non biasimare», e a due altrettanto tenui rabbuffi, «il tono inopportuno di certe espressioni», che dimostrano in modo straordinariamente chiaro l’inadeguatezza di Giuseppe Conte a guidare l’Italia.

Christian Rocca      LINKIESTA   4/3/2020

 

 

Zitti e Mosca. La vera storia dello sbarco dei russi in Italia e della gaffe di Conte

Il 22 marzo arriva in Italia un contingente di 104 unità, di cui 32 operatori sanitari, 51 bonificatori e altro personale di assistenza. Chi sono? Il materiale che portano serve? Domande senza risposta, anche perché Palazzo Chigi ha gestito l’operazione senza curarsi delle ricadute geopolitiche

La minacciosa intemerata di Mosca nei confronti della Stampa e di Jacopo Iacoboni è stata un clamoroso autogol politico del governo italiano, di comunicazione e di credibilità. Ma ha il pregio di svelare non solo l’incapacità diplomatica russa (troppo spesso lodata) ma la leggerezza con la quale da Palazzo Chigi affrontano questioni assai delicate. La cronologia dei fatti spiega molto.

La scorsa settimana Giuseppe Conte ha inaugurato la diplomazia degli aiuti a suo modo e con precisi obiettivi. Preoccupato sia dalle voci che lo ritengono sul viale del tramonto sia dalla lentezza della Protezione civile (i cui vertici sono sua diretta espressione) nell’acquisizione di materiali sanitari (mascherine e respiratori), ha chiamato Vladimir Putin.

militari russi

Si è consultato con altri ministri? La risposta è no. Tutto è rimasto a uso e consumo della leadership di Conte. Per ora. Quello che è andato in onda dall’aeroporto di Pratica di Mare, dove domenica 23 marzo atterrano 9 aerei cargo militari provenienti da Mosca, va raccontato. Chi vede le operazioni di sbarco si fa una semplice domanda. Che diavolo di aiuti ci stanno mandando, a che servono le jeep militari, a che serve questo numero così elevato di personale militare?

A nessuno sfugge che quello è uno “sbarco”, non solo l’invio di aiuti.

E ha un grande significato politico: è un ponte aereo, è il primo per l’emergenza Covid dalla Russia in occidente, ha una forte valenza simbolica e politica. All’aeroporto Conte non c’è, non c’è il consigliere militare di Palazzo Chigi, non c’è il ministro della Difesa. C’è Luigi Di Maio, forse anche per rubare la scena a Conte. In quel momento e nelle ore successive nessuno sa con precisione in cosa consistono gli aiuti di Mosca, i russi non lo hanno fatto sapere.

Alla Difesa la tensione è alta. «Siamo stati trattati come chaffeur – dicono alla Difesa – ci è stato ordinato in tutta fretta che avremmo dovuto far acquartierare le truppe russe e scortarle, come è avvenuto, verso il nord Italia». L’esercito ha un reparto di eccellenza di grande e riconosciuta esperienza, il 7º Reggimento difesa CBRN Cremona specializzato nella difesa nucleare, biologica e chimica. «Che senso ha far venire una squadra russa?», si domandano nell’esercito. Sarà proprio il reggimento Cremona a lavorare con il contingente russo.

Il giorno dopo l’avvio della missione, lunedì 23 marzo, è il momento della propaganda. Dai suoi canali tv e social Mosca inonda il sistema informativo di immagini molto forti: mezzi militari russi, con annessa bandiera, sulle autostrade italiane e ufficiali di Mosca in briefing con soldati italiani chinati su una cartina dell’Italia. La comunicazione ufficiale di Palazzo Chigi però non appare.

La stessa notizia della telefonata tra Putin e Conte viene data dai media russi e solo da qui viene ripresa dai (pochi) giornalisti italiani. Per una volta, forse la prima, la comunicazione di Conte si tira fuori. Il motivo è semplice: Palazzo Chigi è sommerso di critiche. Non solo quelle della Stampa, ma anche di ampi settori della Difesa.

In quelle ore Linkiesta invia al Ministero retto da Lorenzo Guerini alcune domande: È possibile conoscere la lista dei componenti della missione russa? Da quale ufficio la missione russa viene gestita vista la presenza di militari? Altri paesi dell’Unione europea hanno accolto una missione russa? Fonti non italiane ci hanno riferito che il Centro di ricerca delle protezione biologica del Ministero della difesa russo opera sotto il comando diretto delle Forze Speciale del GRU, il controspionaggio di Mosca. Il Ministero ne è a conoscenza lo può confermare o smentire?

La risposta arriva a voce: «Non è possibile rispondere a queste domande». Questioni di sicurezza nazionale.
Ma le frizioni nel governo iniziano a scemare. Anche perché i media russi, più che il governo, fanno la loro mossa, azzeccata: comunicano l’entità degli aiuti, tra i quali ci sono decine di ventilatori polmonari e altro materiale sanitario. Rimane però la domanda. Era necessario l’invio di un centinaio di ufficiali russi e mezzi militari? Conte era a conoscenza di quella parata dal chiaro significato propagandistico

L’irritazione, e la sorpresa, dell’Ambasciata americana in Italia è al massimo. Conte decide di correre ai ripari: parte una telefonata a Donald Trump a cui strappa l’annuncio di 100 milioni di euro in aiuti. Ma anche qui si ripropone la stessa domanda: in che cosa consistono questi aiuti? Cosa serve all’Italia? Conte questo problema non se lo pone: basta una telefonata, la promessa di aiuti, puntellare la sua leadership.

I militari che si occupano di guerra batteriologica dipendono dal GRU, il servizio informazioni delle forze armate russe. Il GRU a sua volta dipende direttamente dallo Stato maggiore delle forze armate della Federazione Russa.

Tutti i militari della missione italiana al loro ritorno in patria saranno sottoposti ad un “briefing” dagli analisti del servizio segreto. Particolare non da poco: il GRU è stato pesantemente sanzionato dalla Casa Bianca nell’ambito delle inchieste pre-Russiagate.  Il servizio russo ha gestito gli attacchi di spear phishing contro almeno tre campagne nelle elezioni americane del 2018 e l’operazione di hackeraggio delle mail del quartier generale democratico durante l’ultima campagna elettorale per le presidenziali.

La sua specializzazione sono le tecniche di guerra politica; operare perché l’avversario venga indotto a commettere errori, e nella capacità di creare agenti di influenza che hanno come loro compito sia quello di creare correnti di opinione sia quello di manipolare le classi dirigenti.

E siamo a oggi, alle minacce dirette del regime di Putin al giornalista Iacoboni. La reazione russa è spiegabile così. A Mosca non è sfuggita la collaborazione tra la Stampa e siti di informazione straniera come Coda story, un’organizzazione no-profit di giornalismo investigativo diretta da Natalia Antelava, vera spina nel fianco della propaganda russa e che ha firmato scoop clamorosi sulle attività spionistiche di Mosca.

Le incredibili dichiarazioni del portavoce del ministero della Difesa russo contro gli articoli della Stampa hanno messo in ulteriore imbarazzo il governo. Per molte ore nessuna replica alla minaccia esplicita a un giornalista italiano. Poi, all’ora di pranzo di ieri, una riunione a tre tra Giuseppe Conte, Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio con la decisione di rispondere in modo blando al portavoce del ministero della Difesa russo, il maggior generale Ivan Konashenkov, autore dell’intimidazione:

«L’Italia è grata alla Russia per gli aiuti – si legge – ma allo stesso tempo non si può non biasimare il tono inopportuno di certe espressioni utilizzate dal portavoce del ministero della Difesa russo nei confronti di alcuni articoli della Stampa italiana. La libertà di espressione e il diritto di critica sono valori fondamentali del nostro Paese, così come il diritto di replica. In questo momento di emergenza globale il compito di controllo e di analisi della libera Stampa rimane più che mai essenziale».

Il governo vuole chiudere il caso, ma lo fa in modo maldestro senza la voce di chi ha combinato questo guaio, Palazzo Chigi, e con una serie di puntigliose repliche alle accuse di Iacoboni, con la richiesta di un’autorevole fonte di governo di non essere individuata: «Gli operatori russi stanno portando il loro aiuto a Bergamo, un aiuto molto importante. Ma veramente si può credere che i nostri servizi e la Difesa non sappiano esattamente chi sta girando per l’Italia? Ma davvero si può credere che i russi vogliano fare una guerra batteriologica? E dove, a Bergamo, a Orzinuovi?».

Eppure, se le cose stanno così, viene da chiedersi perché dal governo non siano subito partite richieste di chiarimenti allo stesso giornalista o al direttore della Stampa, e come mai si siano lasciate correre domande inquietanti come quelle contenute negli articoli del giornale di Torino. È stata l’incredibile rispostaccia del portavoce della Difesa russo a far esplodere la polemica che ha portato la totalità del giornalismo italiano e gran parte della politica (con la luminosa eccezione dei leghisti, grandi amici di Putin) a chiedere una presa di posizione del governo. Ma la posizione del capo del governo non è arrivata.

Nicola Biondo, Mario Lavia    LINKIESTA  4/3/2020

 

 

Minacce russe a un giornalista, la Stampa e la libertà di stampa

Quanto accaduto al collega Iacoboni e quello che da mesi accade al direttore di questo giornale, oggetto di una sistematica e raffinata campagna di minacce, dimostrano quali sono i rischi per l’informazione nel nostro Paese

Chiunque attenti al lavoro di un giornalista, di un giornale, attenta alla libertà di ciascuno di noi. È un principio fondante delle democrazie, delle società aperte. Non negoziabile. Perché nell’oscurità e senza il suo ossigeno, che è l’informazione, una democrazia muore.

Ovvietà, si dirà. E tuttavia dover riaffermare l’assunto è la dimostrazione di quanto non lo si possa dare per scontato. Perché quanto accaduto al collega della “Stampa” Jacopo Iacoboni e quanto da mesi accade, per dire, al direttore di questo giornale e alla sua redazione, oggetto di una sistematica e raffinata campagna di minacce, dimostrano che nel nostro Paese quella libertà è diventata contendibile.

E lo è diventata non per la protervia di un generale, portavoce della forza armata di uno Stato che non prova neppure a dissimulare la natura illiberale del suo regime. O per la vigliaccheria di chi, nascondendosi nell’anonimato della Rete, minaccia questo giornale (magari scopriremo un giorno che i committenti delle intimidazioni alla “Stampa” e a “Repubblica” appartengono a uno stesso milieu di alfieri delle democrature che tiene insieme Mosca e i suoi pupazzi nel nostro Paese). Ma per il vuoto riduzionista in cui quelle minacce cadono, lasciando che ne sia obnubilata la posta in gioco.

Né è prova il comunicato di risposta a Mosca partorito dai ministri della Difesa e degli Esteri. Un compendio di mollezza e imbarazzo. Lo specchio di un Paese incapace di farsi rispettare, perché incapace di rispettare ciò che dovrebbe avere più a cuore: la propria libertà.

Tanto da considerare la difesa della stampa libera una faccenda di “opportunità” nel rapporto tra uno Stato sovrano e un giornalista, dunque da liquidare con un addendum di poche righe in coda alla prolissa riaffermazione di amicizia nei confronti di quello Stato che quella libertà ha appena offeso. Dovrebbe preoccuparsene un giurista come il Presidente del Consiglio, sin qui non pervenuto.

Carlo Bonini      La Repubblica   04 aprile 2020

 

 

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Vignetta di Makkox sul Foglio del 4/4/2020




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