Una chiusura solo parziale delle industrie fa nascere la protesta di Fiom, Fini e Uilm. Ma guai se si critica Conte, si è accusati di essere sciacalli da divano. Intanto per controllarci arrivano anche i droni.

Già in queste ore in diverse fabbriche, del Nord e del Sud i lavoratori stanno protestando e per domani i metalmeccanici, con tutte e tre le più importanti sigle sindacali, Flom Firn e Uilm, hanno deciso 8 ore di sciopero in Lombardia. Per loro, nonostante le restrizioni, si deve continuare ad andare a lavorare. E a rischiare.

L’ultimo decreto, presentato in maniera affrettata dal premier Conte, non è sufficiente ad accogliere le richieste del sindacato, in una fase in cui c’è in gioco il bene più prezioso, cioè la vita delle persone. Vediamo come reagirà l’esecutivo. Ma intanto sono diversi i settori che non si sentono garantiti e che sono pronti a allo sciopero, dal tessile al chimico, ai bancari.

Colpisce che proprio mentre è così difficile far valere il diritto alla sicurezza e alla salute delle persone, invece fuori della fabbrica trionfa la retorica – sì la retorica – del controllo. Il discorso pubblico è dominato non dall’attenzione ai diritti ma alle ordinanze, ai divieti, tutto per fomentare la paura che è altra cosa da informare e creare consapevolezza.

È un controsenso, perché da una parte lasci le fabbriche aperte, anche quando i lavoratori protestano e temono di essere contagiati, dall’altra fai tutto per creare un clima da peste manzoniana dove gli untori sono i runner rei di infettare il Paese.

Si cala un velo, o almeno ci si prova sulle questioni decisive e si fa leva sui sentimenti meno nobili della popolazione per distrarre dalle vere questioni. Il contagio c’è. la pandemia pure. Ma c’è anche l’infodemia come l’ha definita l’Organizzazione mondiale della sanità un contagio di bufale o se preferite fakenews che avvelena il dibattito pubblico.

In questa cornice, in cui i lavoratori devono lavorare e non protestare, rientra anche la criminalizzazione del dissenso politico. Se dici qualcosa contro il premier, se osi solo avanzare una critica sei un assassino che va arrestato senza neanche subire un processo. Il manovratore, Conte, non va mai disturbato e pazienza se siamo in una democrazia: sono orpelli oggi reputati secondari.

Secondo il maggior sostenitore “dell’avvocato del popolo”, cioè Marco Travaglio, coloro che hanno criticato la conferenza stampa di sabato sera rappresentano  “il ritorno degli sciacalli da divano che in tempi normali farebbe schifo, in quest’apocalisse fa soltanto pena”.

Nella lista ci sono Matteo Salvini, Matteo Renzi e persino l’ordine dei giornalisti che ha osato criticare una conferenza stampa in diretta facebook. Tutti dovrebbero tacere, dire solo di si. Da parte del Fatto quotidiano è tutto un rigirare la frittata: oggi che sono un giornale governista tutti devono stare buoni buonini e chi  viene criticato diventa un capro espiatorio, una vittima della caccia alle streghe, come recita il titolo di prima pagina.

In tempi normali sarebbe buffo che il giornale specializzato in linciaggi, accusi gli altri di fare altrettanto. Ma in questa apocalisse più che buffo diventa ridicolo, se non pericoloso. Perché è pericoloso che la gestione dell’emergenza sia associata all’impossibilità di protestare, scioperare, esprimere il proprio parere altrimenti si viene bacchettati.

Viene in mente una canzone di Edoardo Bennato. «In fila per tre». Fa parte dell’album Burattino senza fili del 1977. Siamo nel pieno della rivolta operaia giovanile e femminista. La canzone contesta l’ordine, la gerarchia, il controllo che c’è nelle istituzioni. Oggi siamo di nuovo in fila per fare la spesa, per entrare in farmacia, siamo in fila per salvarci la pelle. Ma sotto sotto riemerge quella voglia di ordine e controllo che Bennato descriveva cosi:

“È il primo giorno però domani ti abituerai/ E ti sembrerà una cosa normale/ Fare la fila per tre, risponder sempre di sì/ E comportarti da persona civile/ Ehi!/ Vi insegnerò la morale e a recitar le preghiere/E ad amar la patria e la bandiera/ Noi siamo un popolo di eroi e di grandi inventori.».

Ps: E per rendere il controllo ancora più performante arriva il via libera anche ai droni.  Il Grande Fratello ci fa un baffo…

Angela Azzaro       Il Riformista  24/3/2020

 

 

 

Patriottismo? Ricordo un viaggio in Argentina ai tempi di Videla…

Nel 1982 la Cgil mi incaricò di una missione in America Latina. Insieme a un funzionario dell’Ufficio internazionale dovevamo visitare i principali Paesi, allora sottoposti a feroci dittature militari, per prendere contatto e portare aiuti ai movimenti sindacali d’opposizione.

La missione iniziò in Cile (al tempo di Pinochet) dove era consuetudine recarsi dall’Italia per partecipare alla manifestazione del Primo Maggio promossa dalla Coordinadora Sindical (più o meno un Cln dell’opposizione dal momento che i sindacati avevano, nei fatti, un minimo di agibilità politica e organizzativa). La presenza di un sindacalista straniero – che poi si fermava qualche giorno a Santiago per avere degli incontri – costituiva una sorta di usbergo contro le violenze della Polizia, perché il governo Pinochet non voleva grane diplomatiche (la nostra ambasciata era d’esempio nel prestare soccorso ai ricercati e nello sfidare il regime).

Cosi svolsi indisturbato il mio comizio in una grande sala chiusa con migliaia di persone, mentre fuori vi erano scontri. La missione proseguì in Uruguay, poi in Argentina e si concluse in Brasile. Mentre in quest’ultimo grande Stato si viveva una fase di transizione verso il ripristino di libere elezioni e i militari stavano ritirandosi. l’Argentina era nel mezzo della Guerra delle Falkland (dette colà “Malvinas”).

A Buenos Aires c’era una grande confusione: ciò consentiva alle opposizioni di avere dei margini d’iniziativa nonostante che il feroce regime militare che aveva ficcato il Paese nell’avventura di una guerra con una grande potenza fosse ancora al potere. L’inflazione era esplosa, tanto che non vi era neppure il tempo di stampare nuove banconote: si accontentavano di mettere un timbro con il nuovo valore sulle vecchie. Per prendere la metropolitana occorrevano tubi “prefabbricati” di monete e gli acquisti, anche i più banali, si facevano a suon di milioni (lo ricordiamo a chi rivendica, adesso, una liquidità sempre crescente, stampando moneta).

Ma questa lunga ed estemporanea premessa serve a un altro scopo. Come ho ricordato era in corso una guerra (che poi avrebbe travolto il regime), ma nella capitale ferveva un clima di fervente patriottismo. Bandiere nazionali dovunque, tg che elogiavano gli atti eroici della popolazione, contestazione di tutto ciò che era inglés, fatwa civile per chi esibiva o vendeva oggetti provenienti dalla Perfida Albione e quant’altro.

Si capiva subito che il regime dittatoriale induceva questi comportamenti (come le adunate di massa e plaudenti a Piazza Venezia), ma sotto sotto, si coglievano anche i segnali di un’esaltazione collettiva, fagocitata dai mezzi di comunicazione, che garbatamente coinvolgeva anche gli esponenti dell’opposizione che incontravamo. Mi fermo qui. se non per dire che – mutatis mutandis e le differenze sono più che evidenti – che in questi giorni avverto in Italia quel clima tra il fasullo e l’esaltato che mi colpì tanti anni fa a Buenos Aires. Questo almeno per quanto riguarda l’opinione pubblica.

Quanto alle restrizioni – sarà pure un fenomeno mondiale – ma nessun regime autoritario era mai arrivato nel cul de sac in cui siamo finiti. Coprifuoco, confino nel Comune di residenza e caccia ai “runner” (che nell’odio collettivo, stanno prendendo il posto che fu degli appartenenti alla Casta, dei privilegiati, dei parlamentari e dei pensionati d’oro). Ci sono direttive che fanno accapponare la pelle.

A Roma, nel week end sono stati istituiti dei posti di blocco con l’ordine di fermare tutte le auto e controllare i motivi dello spostamento dei passeggeri. Queste e altre misure sono accompagnate da una propaganda mediatica assordante e da una retorica patriottarda insopportabile.

Abbiamo inventato il “patriottismo del divano”: la Patria, l’interesse pubblico si difendono stando a casa. I nemici del popolo sono i nostri vicini che pretendono di portare, troppe volte, il cane a soddisfare i propri bisogni fisiologici, mentre sarebbe necessario metterne in quarantena anche la vescica.

Ai tempi del Duce, quando il governo promuoveva le campagne per la coltivazione del grano e trasformava i contadini in servi della gleba, le canzoni inneggiavano alla vita campestre: era bello alzarsi con il gallo, lavarsi nel ruscello (sorvolando ovviamente sui servizi igienici). Fioriscono, in questi giorni, i contributi canori alla bellezza della quarantena.

Le grandi “penne” pubblicano degli elzeviri sulla riscoperta del focolare, sul piacere di sfogliare vecchi libri dimenticati o di rileggere le lettere d’amore scambiate da fidanzati con gli attuali coniugi, meglio ancora se si trovano in fondo a un cassetto le tracce di un amore lontano, magari clandestino.

Per fortuna ogni tanto sullo smartphone arrivano post che ironizzano sulla situazione. Sono le nuove “pasquinate”. In sostanza, la vera pandemia non è quella portata dal Covid-19 ma quella dovuta ad una psicosi ormai divenuta planetaria, fomentata da un’informazione distorta dei media.

Capisco benissimo che incamminarsi lungo questo percorso è insidioso perché si rischia di apparire cinici fino al disprezzo della via umana. Ma non si può andare avanti così.

Giuliano Cazzola      Il Riformista  24/3/2020

 

 

“Là dove l’ambiente è stupido, o prevenuto, o crudele, è un segno di merito essere in contrasto con esso.”

Bertrand Russel (1872- 1970) filosofo, matematico e attivista britannico

 

 

 

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