” Mi sono fatta furba”. La mamma bresciana che (su Facebook, naturalmente) si è vantata di avere falsificato il certificato relativo alle vaccinazioni della figlia, esibendo spiritosamente l’orgoglio, si è espressa così. Senza nemmeno entrare nello specifico — sempre più incendiato — della questione, vale la pena di fermarsi sulle parole. In una frase da niente — tutto sommato prevedibile, colloquiale e all’apparenza quasi inoffensiva — si travasa un modo di pensare storto.

Il vanto e la risatina che l’accompagna sono il segno di un piccolo ma decisivo, almeno agli occhi della mamma, trionfo; una vittoria personale sulla collettività, sul nemico pubblico. La legge, la giurisdizione, la Asl, lo Stato, e così via.

Prenderli per il culo è — per appoggiarmi alle locuzioni idiomatiche messe in campo dalla protagonista — l’unica strada percorribile. È l’unica soluzione. “Farsi furbi” rappresenta la felice via d’uscita, la rivalsa, la rivincita. Parte dell’autobiografia della nazione sta in questa convinzione e in questa frase: se non hai ragione, te la prendi come puoi; se non hai ciò che pretendi, lo agguanti con l’astuzia.

Si potrebbe riscrivere una storia d’Italia giocata su tale principio, senza nemmeno insistere sul grottesco e sul caricaturale, sul presunto “carattere” di un popolo. Basterebbe attenersi, diciamo pure così, ai fatti. O, ancora una volta, alle parole. Per cogliere tutte le sfumature connesse, nell’italiano colloquiale, alla parola “fesso”, uno scrittore, Giuseppe Pontiggia, aveva riaperto il ponderoso Grande dizionario Battaglia.

E aveva registrato che “fesso” è chi non sappia o non voglia approfittare delle “facili e vantaggiose occasioni”; chi è incapace di farsi valere, “spesso per mantenersi fedele ai propri ideali di giustizia e onestà”. Di qui le espressioni “fare il fesso”, “non fare il fesso”.

Pontiggia citava un suo acuto e aspro collega del passato, Giuseppe Prezzolini, evocando la distinzione categorica su cui impostò un surreale (e lucidissimo) Codice della vita italiana poco meno di cent’anni fa. “I cittadini italiani — scriveva Prezzolini — si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”.

Cavare suggestioni letterarie in proposito — dalla commedia dell’arte a Pinocchio, con l’infingarda e meschina Volpe in cui inciampa — risulta superfluo. Ma se Prezzolini, con una punta di cinismo, si era convinto che a mandare avanti l’Italia fossero dunque i fessi (“che lavorano, pagano, crepano”), la mamma di Brescia sarebbe pronta a smentirlo. L’Italia la mandano avanti quelli che si fanno furbi. Quelli, cioè, che non si fanno fare fessi.

Poco conta se quella “furbizia” produca danni a terzi, abbia conseguenze pericolose, effetti collaterali pesanti. L’importante è aver guadagnato il traguardo, no? Il fatto è che dentro quella piccola frase è accesa una spia che dovrebbe inquietarci. Non al passato, ma al presente.

Lampeggia nelle notti di questo tempo che è nostro e non è solo italiano, affollato di cittadini non solo “a basso tasso di informazione” ma incapaci di riconoscere i limiti del proprio sapere. “Tutti siamo rimasti intrappolati a una festa o a una cena in cui la persona meno informata tra i presenti ha tenuto banco”, senza mai dubitare della propria intelligenza e competenza.

L’immagine l’ha usata lo studioso americano Tom Nichols nel recente La conoscenza e i suoi nemici. Ma la festa è diventata cupa, se non perfino macabra. Il furbo viene confuso con l’intelligente; i nemici della conoscenza vedono solo nemici, e quelli che credono di avere vinto fanno perdere tutti.

Paolo Di Paolo       Repubblica 12- 8- 2018

 

 

Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia,  ed. LUISS, 2018,  € 17

Il grande sviluppo tecnologico della nostra era ci ha dato accesso a una quantità di informazioni senza precedenti. Il risultato, però, non è stato l’inizio di un nuovo illuminismo, ma il sorgere di un’età dell’incompetenza in cui una sorta di egualitarismo narcisistico e disinformato sembra avere la meglio sul tradizionale sapere consolidato. Medici, professori, professionisti e specialisti di ogni tipo non sono più visti come le figure a cui affidarsi per un parere qualificato, ma come gli odiosi sostenitori di un sapere elitario e fondamentalmente inutile.

Che farsene di libri, titoli di studio e anni di praticantato se esiste Wikipedia? Perché leggere saggi, ricerche e giornali quando Facebook mette a nostra disposizione notizie autentiche e di prima mano? L’”apertura” di Internet e la sua apparente libertà sono solo i primi colpevoli contro i quali Tom Nichols punta il dito. Oltre ai social network, alla democrazia dell’”uno vale uno” e ai semplicismi che la rete favorisce, Nichols attacca anche l’emergere del modello della customer satisfaction nell’educazione universitaria, la trasformazione dell’industria dei media in una macchina per l’intrattenimento aperta 24 ore su 24 e la spettacolarizzazione della politica. (IBS)

 

Vedi:  Il populismo e il pericolo dei movimenti "contro"

L'incompetenza non è la soluzione

Pensiero Urgente n.204)

La democrazia ha ancora bisogno di Maestri

 


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