Il 25 agosto del 1944 muore a Ravenna impiccato da un reparto di militi fascisti UMBERTO RICCI (22 anni, nome di battaglia Napoleone) studente e Partigiano.

Umberto Ricci era nato a Massalombarda (Ravenna) in una famiglia di modeste condizioni. Mentre studiava ragioneria fu chiamato alle armi come sottotenente di complemento ma subito dopo l’8 settembre 1943 entrò nella Resistenza del ravennate. Pur essendo sofferente di tisi fu accolto nei GAP e assunse il nome di battaglia di “Napoleone”.

Mostrò da subito un carattere taciturno, forte e deciso e qualità militari tanto che gli fu affidato il compito di uccidere nell’aprile del 1944, per ordine del CLN di Ravenna, il segretario del Partito Fascista Repubblicano  di Conselice (RA) Alfredo Graldi dopo avergli bloccato la strada con la sua bicicletta. Morirono anche le due guardie del corpo di Graldi.

Ricci mostrava una personalità tesa all’azione  ma unita ad  interessi intellettuali fuori del comune.  Un giorno i suoi compagni del GAP gli chiesero: “Perché leggi tutti quei libri?” Ed egli rispose: “Io voglio sapere perché combatto, voglio sapere perché sparo!”.

Nell’estate del 1944 dal comando  della 28a Brigata Garibaldi “M. Gordini” venne chiamato a sostituire il comandante del GAP volante di Ravenna WALTER SUZZI (19 anni, Sputafuoco) catturato dai tedeschi e fucilato.

Il GAP volante era un gruppo partigiano chiamato a compiere azioni particolarmente rischiose che a volte si univano ad una certa sfrontatezza e ad azioni dimostrative d’irrisione dei nazifascisti: assaliva posti di blocco, sequestrava  armi e giustiziava gerarchi fascisti e soprattutto torturatori. Il GAP volante creò nei nazifascisti insicurezza e apprensione.

Insieme al suo compagno GIUSEPPE BONDI (Nopi) Ricci uccise il fascista Primo Tabanelli, detto S’ciantè, un fanatico e feroce torturatore e assassino di Walter Suzzi.

Natalina Vacchi

Il 18 agosto del 1944 con la sua bicicletta Napoleone andò ad incontrare la compagna partigiana NATALINA VACCHI (30 anni) vicino al Ponte degli Allocchi a Ravenna. Improvvisamente Natalina indicò a Ricci che stava arrivando il milite fascista Leonida Bedeschi, tra i più spietati e sanguinari, che apparteneva alla Brigata Nera “Ettore Muti” ed era soprannominato “Cattiveria”.  Da tempo il CLN di Ravenna aveva emesso nei suoi confronti una condanna a morte.

Ricci, dopo l’indicazione di Natalina, sparò due colpi di pistola verso il Bedeschi, che passava sul ponte con la sua moto, e lo uccise. Purtroppo per fare questo fu costretto ad esporsi e mentre fuggiva fu intercettato da una pattuglia tedesca che lo consegnò ai militi fascisti.

Ricci venne rinchiuso nella sede di un ex circolo culturale chiamato “Sacca” e torturato ferocemente per vari giorni. Nonostante questo riuscì a fuggire per essere catturato poco dopo e rinchiuso nel carcere di Ravenna.

Il 24 agosto del 1944 Ricci venne condannato a morte e il giorno dopo impiccato presso il Ponte degli Allocchi ( oggi chiamato Ponte dei Martiri) insieme a Natalina Vacchi.

Per rappresaglia per l’uccisione di Bedeschi e di altri sei militi repubblichini vennero fucilati altri Antifascisti incarcerati a Ravenna:  DOMENICO DI JANNI (30 anni), AUGUSTO GRAZIANI (19 anni), MARIO MONTANARI (29 anni), MICHELE PASCOLI (39 anni), RANIERO RANIERI, ARISTODEMO SANGIORGI, VALSANO SIRILLI (28 anni), EDMONDO TOSCHI (40 anni), GIORDANO VALLICELLI (20 anni) e PIETRO ZOTTI (22 anni).

I fascisti propagandarono questo eccidio  come una reazione di legittima difesa e cercarono di screditare Ricci affermando che grazie alle sue delazioni furono scoperti

Monumento Commemorativo presso il Ponte dei, Martiri, Ravenna

alcuni partigiani poi fucilati presso il ponte. Tutto ciò risulterà assolutamente falso.

Giorni dopo un distaccamento della 28a Brigata Garibaldi verrà dedicato ad Umberto Ricci e il 2 maggio 1953 gli verrà conferita la Medaglia d’argento al valor militare.

Un monumento celebra la Memoria di Ricci e dei suoi Compagni giustiziati presso il Ponte dei Martiri a Ravenna. I resti di Umberto Ricci riposano presso il Cimitero monumentale di Massalombarda.

 

La mattina del 23 agosto del 1944 Ricci scrisse, nel carcere di Ravenna, una delle lettere più importanti della Resistenza Italiana:

Carceri di Ravenna, mattino 23.8•1944

Ai miei genitori ed amici,

quando questa vi sarà giunta (se lo sarà) io sarò già passato fra i molti. Io so cara mamma, che avrai passato molto dolore, tu mi amavi moltissimo anche perché ero il tuo demonio, il figlio che ti faceva arrabbiare ma che ti dava pure tante soddisfazioni. Vedi mamma, io non ho nulla da rimproverarmi, ed ho seguito la mia strada per l’idea che, detto senza mascheramenti, val la pena di viverla, di combattere, di morire. Nell’idea muoio!

Ora ciò che piú mi sorprende è la mia calma; non avrei mai creduto che di fronte alla mia morte certa riuscissi a ragionare ancora cosi: deve essere il mio forte ideale che mi sorregge. È dalla sera del 17 o del 18 che sono nelle loro mani. Se dovessi raccontare specificatamente in tutte le forme di torture usatemi avrei sei mesi a soffrire. L’altro ieri in ultima analisi mi hanno iniettato quattro punture che mi hanno reso semiincosciente. Queste punture non hanno fatto altro che diminuirmi la vista di cui ne risento ancora.

Un’altra cosa che mi sorprende ~ la mia forte costituzione fisica. Nonostante la mia malattia in corso ho resistito eroicamente. Ora mi pongono qui perché si rimarginino e si sgonfiano tutte le mie ferite che ho per il corpo. Indi mi presenteranno al pubblico appeso ad un pezzo di corda.

«Io ho l’onore di rinnovare qui a Ravenna l’impiccagione ». Però non ho nessuna paura della morte, quando penso che sono già morti Gigi e Arrigo gli amici, senza contare che come me ne sono morti per un’idea politica, le morte non la temo! Vorrei tanto una cosa: vorrei che il mio corpo fosse restituito ai miei parenti e tumulato vicino a quello di Arrigo e che anche Gigi fosse tumulato vicino a noi. Saremo certo un bel trio.

Ore 14 dello stesso giorno.

Ho una febbre da cane. Faccio sforzi immani per ragionare e per scrivere. È venuto piú volte il cappellano; mi ha detto se mi volessi confessare: ho risposto di no; comunque ho accettato la conversazione da uomo a uomo. Vorrei pure che nel marmo del mio tombino fossero incluse queste parole: « Qui soltanto il corpo, non l’anima ma l’idea vive». Dopo di ciò i miei amici e parenti aggiungeranno ciò che vogliono. Ripenso ancora alla forza del mio corpo e per simpatia penso alle ragazze che lo rifiutarono perché malaticcio.

Rivedo te, carissima Elsa, che tanto mi hai amato se pure ingenuamente e puramente, con disinteresse che mai altra donna arrivò a tanto. E tu, tu piú di tutti o mamma ora penso. Penso al tremendo dolore che ti do. Sopportalo, pensa che tuo figlio era un titano che non ha mai pianto, che tutto ha sopportato. Sopporta pure tu con coraggio e se puoi ama la mia stessa idea perché in essa troverai me. Ora penso soltanto ad una cosa ed è che uccidendomi essi non fermeranno il corso della storia; essa marcia precisa ed inesorabile.

lo me ne muoio calmo e tranquillo. Ma essi che si arrogano il diritto saranno tranquilli?

 



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