Il 4 agosto 1849 muore a Mandriole di Ravenna (Ravenna) per sfinimento fisico ANITA GARIBALDI (Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva il suo nome originale, 28 anni) rivoluzionaria brasiliana, Patriota italiana e Difenditrice della Repubblica Romana del 1849.

Anita era nata nello stato di Santa Caterina in Brasile nella cittadina di Laguna. Da subito mostrò il suo carattere forte e volitivo: battagliera nell’animo (sa cavalcare a pelo con una grande destrezza ed è anche una esperta nuotatrice) abbracciò gli ideali di giustizia sociale ai quali lo zio materno la iniziò.


Nell’anno 1839  GIUSEPPE GARIBALDI arrivò con tre lancioni per prendere Laguna e costituire la Repubblica Juliana. Il Brasile si era reso indipendente dal Portogallo ma le cose erano cambiate assai poco: il paese infatti era retto da un imperatore-dittatore. Alcuni stati aspirarono all’indipendenza compreso quello di Santa Catarina. Garibaldi, sfuggito a chi lo aveva condannato a morte in contumacia per avere partecipato ai moti carbonari e per essere iscritto alla Giovane Italia di MAZZINI dal 1833, si era rifugiato in America Latina prendendo subito parte a insurrezioni locali.

E fu proprio mentre festeggiava col popolo la liberazione di Laguna che Garibaldi vide Anita in un gruppo di ragazze che passeggiavano lungo la riva mentre dalla sua nave scrutava la terraferma con un cannocchiale. Fu un classico colpo di fulmine. Quando Garibaldi ricevette l’ordine di salpare Anita volle a tutti i costi imbarcarsi con lui a dispetto di ogni convenzione e di ogni regola perchè Anita era sposata dall’età di 14 anni con Manuel Giuseppe Duarte un calzolaio conservatore e reazionario. Il matrimonio era durato pochi difficili anni.

Complementari l’uno all’altra vissero del loro unico ideale: la libertà. Anita condivise veramente gli ideali politici del suo Josè, come lei lo chiamava, e lo seguì ovunque nei pericoli e nelle battaglie. Nel 1840 le varie spinte secessioniste brasiliane vennero definitivamente soppresse dal governo centrale e Garibaldi organizzò la ritirata.

Anita, che non riuscì a scappare con lui, riuscì però a sfondare l’assedio dei soldati brasiliani ma il suo cavallo venne abbattuto. Fu costretta ad arrendersi e, convinta che il suo Giuseppe era morto, pregò il nemico di poter cercare il corpo del marito tra i cadaveri nel campo di battaglia. Non lo trovò così decise di rubare un cavallo e , durante la notte, di tentare la fuga.

Anita era incinta di sette mesi e aggrappata alla coda di un cavallo guadò un grosso corso d’acqua affluente del fiume Uruguay. Finalmente raggiunse la fazenda di San Simon dove si ricongiunse con Garibaldi. È qui che nacque il primo figlio che venne chiamato Menotti in onore di CIRO martire del Risorgimento. Ad appena dodici giorni dal parto, mentre Garibaldi era assente, un’ improvvisa incursione dei soldati imperiali la costrinse a un’altra fuga. Avvolse il piccolo Menotti in un fazzoletto che legò a una spalla e stringendolo al seno fuggì a cavallo. Garibaldi la trovò esausta al margine di una foresta.

Anita e Giuseppe ebbero una vita disseminata di pericoli, sacrifici e povertà anche perché lui rifiutò sempre i compensi che i governi dei popoli da lui aiutati gli offersero spontaneamente. Quando la piccola famiglia si trasferì a Montevideo (Uruguay), in una piccola casa in affitto, nascono altri tre figli: Rosita, che  muore a due anni, Teresita e Ricciotti, cognome di un compagno dei FRATELLI BANDIERA.

Garibaldi trasporta sulle spalle Anita morente. Disegno ottocentesco.

Nel frattempo in Italia stanno maturando eventi nuovi e Garibaldi poteva essere di grande aiuto nel suo Paese. Decise di farsi precedere da Anita e dai bambini che si imbarcarono il 27 dicembre del 1847 per raggiungere Nizza dove li attendeva Rosa madre di Giuseppe. Quattro mesi dopo partì anche Garibaldi per partecipare ai moti del 1848 e alla prima guerra d’Indipendenza.

Quando nel 1849 fu proclamata la Repubblica Romana Garibaldi venne proposto come deputato costituente e organizzatore del neonato esercito della Repubblica. Anita poteva rimanere al sicuro a Nizza coi suoi figli ma più volte decise di raggiungere il marito a Roma, mossa dalla condivisione degli stessi ideali.

L’ultimo viaggio – da Nizza a Roma – lo compì in giugno. Era incinta di quattro mesi e la Repubblica Romana era già ai suoi ultimi giorni a causa dell’assedio francese. Garibaldi se la ritrovò di fronte inaspettata e tra il disappunto, la preoccupazione e la gioia la presentò alla sua truppa: “Questa è Anita. Da oggi avremo un soldato in più”.  Anita infatti si pose come un soldato, un capo, forte e coraggiosa, capace di imporre il suo volere e di contrapporlo anche al marito che fronteggiava con amore e caparbietà. Nonostante la gravidanza fece la staffetta portaordini tra le varie trincee di difesa sfruttando le sue ottime capacità di cavallerizza.

Quando la Repubblica cadde Garibaldi e le sue Camicie Rosse fuggirono da Roma: Anita si tagliò i lunghi capelli, si vestì da uomo e partì a cavallo a fianco di Josè che il 2 luglio 1849 aveva pronunciato a Porta San Giovanni il famoso discorso passato alla storia: «… Io non offro né paga, né quattrini, né provvigioni, offro fame, sete, marce forzate e morte. Chi ha il nome d’Italia non solo sulle labbra ma nel cuore mi segua».

Queste parole erano rivolte fatalmente anche ad Anita. I soldati di cinque eserciti li cercavano e l’intenzione di Garibaldi e della sua colonna fu quella di raggiungere Venezia e sostenere la Repubblica locale. Il generale e le sue truppe attraversarono l’Appennino trovando sempre sostegno nelle popolazioni. Molti avrebbero anche ospitato e curato Anita, che nel frattempo aveva contratto la malaria, cercando di convincerla a fermarsi ma lei volle proseguire.

Garibaldi, Anita e 160 volontari raggiunsero Cesenatico dove si imbarcarono, ma nei pressi di Goro (FE) iniziarono dei cannoneggiamenti austriaci e furono costretti a sbarcare a Magnavacca, oggi Porto Garibaldi. La fuga proseguì a piedi o con mezzi di fortuna aiutati da cittadini di ogni estrazione sociale, in un territorio più sicuro ma molto faticoso, attraverso zone paludose. Raggiunsero la fattoria dei conti Guiccioli presso Mandriole (Ravenna) e qui vennero ospitati da Stefano Ravaglia, fattore del conte. Anita ormai priva di conoscenza per la malattia, la gravidanza e gli stenti venne deposta su un letto dove morì poco dopo fra le braccia di un Garibaldi annichilito dal dolore che vorrebbe rimanere comunque accanto a lei ma che, sollecitato dal fedele capitano Leggero  ( suo compagno di fuga), dovette ben presto fuggire.

Monumento ad Anita Garibaldi, Gianicolo, Roma

Per timore di essere scoperti dagli Austriaci come aiutanti di Garibaldi i Ravaglia seppellirono il corpo di Anita in un campo da pascolo dove venne scoperto per caso da tre pastorelli.  Il corpo della donna “sconosciuta” venne allora sepolto nel cimitero di Mandriole per poi essere traslato all’interno della chiesa locale.

Dopo dieci anni, al termine della II guerra di indipendenza e dopo il plebiscito per le annessioni delle terre di Romagna al Regno d’Italia, Garibaldi, con i figli Menotti e Teresita, giunse a Mandriole per ritirare le spoglie di Anita e trasferirle al cimitero di Nizza dove rimasero fino al 1931. In quell’anno il governo fascista italiano chiese il permesso al sindaco di Nizza di spostare i resti a Roma sul Gianicolo sotto il monumento, realizzato da Mario Rutelli, che rappresenta Anita a cavallo con un figlioletto al collo in atteggiamento di galoppo.

Da una lettera di Giuseppe Garibaldi ad Anita (19 aprile 1849):

Ti scrivo per dirti che sto bene e che sono diretto colla colonna ad Anagni dove forse giungerò domani ed ove non potrei determinarti la durata del mio soggiorno. In Anagni riceverò i fucili ed il resto del vestiario della gente. Io non sarò tranquillo sino ad avere una tua lettera che m’assicuri esser  giunta tu felicemente a Nizza. Scrivimi subito: ho bisogno di sapere di te, mia carissima Anita, dimmi l’im­pressione sentita agli avvenimenti di Genova e di Toscana. Tu donna forte e generosa!

Con che disprezzo non guarderai que­sta ermafrodita generazione d’italiani, questi miei paesani ch’io ho cercato di nobilitarti tante volte e che sì poco lo merita­vano! È vero: Il tradimento ha paralizzato ogni slancio corag­gioso; ma comunque sia noi siamo disonorati! Il nome ita­liano sarà lo scherno degli stranieri d’ogni contrada. lo sono sdegnato veramente di appartenere ad una famiglia che conta tanti codardi; ma non creder perciò ch’io sia sco­rato! ch’io dubiti del destino del mio paese. Più speranza io nutro oggi che mai. Impunemente si’ può disonorare un indi­viduo; ma non si disonora impunemente una nazione. I tra­ditori ormai sono conosciuti. Il cuore dell’Italia palpita an­cora [...].

 

Nella Memoria di ANITA GARIBALDI vogliamo riassumere la Memoria di tutti i CADUTI per la difesa della Repubblica Romana del 1849.

 

Vedi:  La nostra Rosa sul Gianicolo (2019)


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