Il 13 giugno 1849 muore a Roma uccisa mentre combatte a Porta San Pancrazio per la difesa della Repubblica Romana COLOMBA ANTONIETTI (23 anni) fornaia e Patriota Risorgimentale..

Colomba nacque a Bastia Umbra, figlia di un fornaio, e giovanissima si trasferì con la famiglia a Foligno; qui conobbe il conte LUIGI PORZI che era un cadetto delle truppe pontificie. Tra i due ragazzi s’intrecciò una forte storia d’amore con molte difficoltà a causa del diverso ceto: ricco e nobile quello di Luigi (originario di Imola), borghese quello di Colomba. Sia la famiglia Porzi sia la famiglia della ragazza ostacolarono il loro matrimonio: fu deciso di trasferire il giovane Porzi a Senigallia ma non si riuscì infine ad impedire le nozze. Colomba e Luigi si sposarono a Foligno con l’assenza di quasi tutti i parenti: solo Feliciano, il fratello di Colomba, era presente.

I novelli sposi partirono subito alla volta di Bologna, città in cui abitava la madre di Porzi, ma vi rimasero solo due mesi prima di trasferirsi a Roma dov’era di stanza il battaglione di Luigi promosso tenente. Giunto a Roma il militare fu arrestato per avere contratto matrimonio senza la necessaria autorizzazione e rinchiuso a Castel S. Angelo con lo stipendio dimezzato. L’intervento di un suo zio prelato permise di revocare quest’ultima misura ma Porzi dovette scontare ugualmente la reclusione alleviata dalle quotidiane visite della moglie.

Quando nel febbraio del 1849 nacque la REPUBBLICA ROMANA Luigi, pur appartenendo all’esercito pontificio, con coraggio ed entusiasmo vi aderì subito. Colomba non fu da meno: poichè non era certo usuale in quei tempi che lo donne partecipassero ad attività militari per poter combattere al fianco di Luigi nella difesa della Repubblica alla fine d’aprile del 1849 si tagliò i capelli e si vestì da bersagliere entrando nel reggimento guidato da LUCIANO MANARA (1825- 1849).

Colomba partecipò dimostrando coraggio valore ed intelligenza alla battaglia di Velletri (18-19 maggio 1849) e di Palestrina tanto da meritarsi l’elogio di GIUSEPPE GARIBALDI.  Nel testo L’assedio di Roma di DOMENICO GUERRAZZI (1804- 1873) è possibile rievocare quei giorni:

“Aperte le brecce ferve l’opera per metterci riparo; un vero turbine [di] ferro e [di] fuoco mulinava su l’area avversa alle breccie francesi ed una moltitudine [di] cannonate la solcava per seminarvi pur troppo la [morte]; tu vedevi i Romani brulicare come formiche portando sacca sassi e trainando carretti [di] terra né i romani soli bensì ancora le Romane e fra queste [Colomba] Antonietti che non potendo lasciare solo il marito esposto al pericolo volle ad ogni costo parteciparlo ed in cotesta vita ella aveva durato due anni che lo sposo suo accompagnò in tutte le guerre d’Italia e a Velletri fu vista precorrendo incorare i soldati: in quel giorno la supplicarono [di] là si rimovesse ed ella sorridendo “ma se ci lascio il marito morirei [di] affanno”.

Dopo queste battaglie Colomba non andò più sul campo e fu assegnata alla difesa delle mura situazione questa non meno rischiosa. Nel diario scritto principalmente per rievocare le gesta di Garibaldi intitolato Memorie romane dell’olandese Jan Hendrik, volontario anche lui insieme al fratello nelle truppe della Repubblica Romana, si trova un passo presentato come testimonianza del tenente Luigi Porzi che ci permette di riportare alla luce gli ultimi momenti di vita di Colomba:

“Colomba Antonietti Porzi mi seguì tutta la campagna del ‘48 vestita da Ufficiale con un mio uniforme cortandosi i capelli. Sempre me diceva che desiderava vedere libera la cara e bella Italia. Dividendo junto le fatiche e i pericoli le lunghe marce e il fuoco nemico. Pugnò come uomo nella campagna di Velletri che la sposa di Garibaldi restò sorprendida nel vedere battersi con tanto coraggio. La mattina del giorno 13 giugno fui la primiera brecia che l’esercito Francese fece in Roma. Alle ore 9 della matina le muraglie non esistevano più. Alle ore 5 pomeridiane fui io e Colomba con pochi soldati per fare una baricata con delle sache piene di terra al momento che mi o presentato a petto discoperto l’esercito Francese cominciò con le due baterie facendo un fuoco incessante e io con Colomba asangue fria facendo la baricata. Dopo vene una palla di canone del calibro del 36 che l’infelice Colomba, mentre mi porgeva le sacche per riparare la breccia, fu colpita al fianco drito con grave frattura del bacino e del femore e spirò nelle mie braccia.”

La morte di Colomba in un quadro dell'epoca

Dallo stesso Giuseppe Garibaldi possiamo leggere la descrizione del tragico evento tratta dal manoscritto Vita e memorie di Giuseppe Garibaldi scritte da Lui medesimo e pubblicate da Alessandro Dumas  nel 1860:

“Ma un’altra cosa era accaduta anche più drammatica della morte di Vecchi qualora fosse stata vera. La stessa palla che lo aveva sotterrato aveva poi battuto nella muraglia e risaltando all’indietro aveva rotto i reni a un giovane soldato; il giovane soldato posto sopra una lettiga aveva incrociate le mani sul petto levati gli occhi al cielo e reso l’estremo fiato. Nel momento che stavano per portarlo all’ambulanza un ufficiale si era precipitato sul cadavere e lo aveva coperto di baci. Quell’uffiziale era Parzio (sic) il giovane soldato era Colomba Antonietti sua moglie che lo aveva seguito a Velletri ed aveva combattuto al suo fianco il 3 di Giugno”

La sera successiva Luciano Manara e lo svizzero von Hofstetter giunto anche lui a Roma per combattere insieme con tanti altri stranieri si imbatterono nel convoglio funebre; scriverà Hofstetter:

“La bara era coperta di corone di rose bianche e dalla sciarpa tricolore. La musica militare suonava l’inno funebre dei martiri d’Italia Chi per la patria muore vissuto è assai. [...] I due ufficiali salutarono commossi il feretro della loro eroica compagna d’armi a cui tutta Roma rendeva il suo ammirato omaggio.”

In alcune pagine di Roma e i suoi martiri. Notizie storiche di Felice Venosta (1828- 1889) troviamo la ricostruzione della cerimonia funebre:

“Parecchi soldati caddero in quella battaglia morti ai suoi piedi né per le nuove istanze fattele volle ritrarsi; vi fu un istante in cui ella fè’ un passo verso il marito per porgergli degli strumenti che aveva addimandati e una palla di cannone la percosse mentre adempiva quell’atto di amore coniugale. Colomba cadde inginocchiata levò le mani e gli occhi al cielo e spirò dopo un minuto gridando Viva l’Italia. I suoi leggiadri lineamenti si copersero del pallore della morte; ma il sorriso non si scompagnò dalle sue labbra che anco in quell’eterno silenzio parevano esprimere l’amore e la fede che collegata l’avevano in vita alla famiglia e alla patria. Un lungo grido di commiserazione s’innalzò dai circostanti; l’uomo che unito aveva le sue sorti a quelle di lei fu trascinato lontano in preda alla più terribile disperazione. Le care spoglie dell’infelice poste su di un cataletto coperte di bianche rose simbolo del candore di lei spenta così crudelmente nel fiore della giovinezza furono portate per le vie di Roma spettacolo di compianto universale. Deposta nella chiesa la bara la moltitudine si genuflesse piangendo e orò da Dio pace a una delle più pure anime che mai vestito avessero quaggiù una spoglia mortale.”

Giuseppe Garibaldi di lei scrisse ancora:

” Mi fece ricordare la mia povera ANITA la quale essa pure era sì tranquilla in mezzo al fuoco”.

Colomba inizialmente fu sepolta sepolta nella Chiesa di San Carlo ai Catinari dove officiava padre UGO BASSI (1800- 1849). Nel 1941 le sue spoglie furono trasferite presso il Mausoleo Ossario sul Gianicolo che accoglie i caduti nelle battaglie per la liberazione di Roma e per l’Unità d’Italia dal 1849 al 1870.

Il marito Luigi fuggì in Sud America dopo la caduta della Repubblica poichè era un sicuro candidato alla pena di morte, con il ritorno di Pio IX, in quanto “traditore” dell’esercito pontificio. Visse inizialmente in  Brasile poi in Uruguay ( dove morirà nel 1900) e in Argentina. Non si risposerà mai.

In una mirabile lettera di Garibaldi ad Anita in data 21 giugno 1849 ( Anita si trovava a Nizza  incinta del quinto figlio ma raggiungerà Roma ugualmente per combattere negli ultimi giorni di giugno) fu così descritta la battaglia del Gianicolo:

“Io so che sei stata e sei forse ancora ammalata. Voglio veder dunque la tua firma e quella di mia madre per tranquillizzarmi. I gallo-frati del cardinale Oudinot si contentano di darci delle cannonate e noi quasi per perenne consuetudine non ne facciamo caso. Qui le donne e i ragazzi corrono addietro alle palle e bombe gareggiandone il possesso. Noi combattiamo sul Gianicolo e questo popolo è degno della passata grandezza. Qui si vive si muore si sopportano le amputazioni al grido di «Viva la Repubblica!». Un’ora della nostra vita in Roma vale un secolo di vita! Felice mia madre d’avermi partorito in un’epoca così bella per l’Italia.”

 

Nella Memoria di COLOMBA ANTONIETTI vogliamo riassumere la Memoria di tutti i CADUTI per la difesa della Repubblica Romana del 1849.

 

 

Vedi:  3 giugno 1849: una domenica di sangue.

La nostra Rosa sul Gianicolo (2019)

 



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