Il 21 maggio 1945  muore a Desenzano del Garda (Brescia) in un incidente automobilistico ALDO GASTALDI (24 anni, nome di battaglia “Bisagno“) perito elettrotecnico, militare e Partigiano.

È stato il maggior esponente del movimento di Resistenza italiana operante a Genova ed una delle figure più fulgide della lotta di Liberazione.

Prese il nome di battaglia dal torrente omonimo, il Bisagno appunto, che attraversa la città di Genova tagliandola in due. A Bisagno è stato attribuito il titolo di “Primo Partigiano d’Italia“.

Gastaldi nacque in un quartiere di Genova e in famiglia impara la fede cristiana e quel senso di severa responsabilità che lo accompagnerà sempre. Conseguito il diploma di perito elettrotecnico nel 1939, iniziò a lavorare all’Ansaldo San Giorgio di Sestri Ponente e si iscrisse nel frattempo alla facoltà di Economia e Commercio, quando nel 1941 ricevette la chiamata alle armi divenendo sottotenente del Genio.

L’annuncio dell’armistizio lo colse a Chiavari dov’era al comando di un plotone del 15° Reggimento Genio. Fu fra i primissimi ad accorrere in difesa della sua terra oppressa dai nazifascisti, partecipando a numerose azioni di guerra alla testa dei suoi partigiani che lo avevano eletto capo per il grande coraggio e l’alto spirito di sacrificio sempre ed ovunque dimostrati.

Fu così che nella Val di Cichero nell’entroterra di Chiavari (GE) nacque, con Gastaldi e alcuni comunisti del luogo, il primo gruppo di partigiani genovesi. Un mese dopo Gastaldi era già al comando  della prima formazione partigiana della zona che sarebbe poi diventata la 3a “Garibaldi”. La Brigata avrebbe assunto il nome di “Cichero” quando nel maggio del 1944 i nazifascisti dettero alle fiamme un eroico villaggio nella Val di Cichero.

Dotato di forte personalità e carisma Gastaldi era un fervente cristiano e decisamente apartitico e insieme al comunista GIOVANNI SERBANDINI (1912- 1999) stabilì per gli uomini della Divisione severe regole di comportamento con il famoso “Codice di Cichero“ che tutti i partigiani si impegnarono a rispettare  nonostante le condizioni al limite della sopravvivenza:

In attività e nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti, ci sarà poi sempre un’assemblea per discuterne la condotta; il capo viene eletto dai compagni, è il primo nelle azioni più pericolose, l’ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario, gli spetta il turno di guardia più faticoso; alla popolazione contadina si chiede non si prende e possibilmente si paga o si ricambia quel che si riceve; non si importunano le donne; non si bestemmia.” (dal Codice di Cichero)

Bisagno inoltre combatté tenacemente esponendosi sempre in prima persona contro la politicizzazione della Divisione e delle formazioni Partigiane. Come riportato da vari testi storici sulla Resistenza “Bisagno” era decisamente critico nei confronti del partitismo poiché esso avrebbe potuto:

“[....]incrinare la lotta partigiana[...]. “Noi non abbiamo un partito, noi non lottiamo per avere un domani un cadreghino (poltrona), vogliamo bene alle nostre case, vogliamo bene al nostro suolo e non vogliamo che questo sia calpestato dallo straniero, dobbiamo agire nella massima giustizia e liberi da prevenzioni”.

Gastaldi scrisse in una lettera ad un amico all’età di 21 anni:

“Io sono venuto a combattere il metodo fascista e lo combatto in chiunque sia esso bianco nero verde o color cenere… Continuerò a gridare ogniqualvolta si vogliano fare ingiustizie e griderò contro chiunque anche se il mio grido dovesse causarmi disgrazie o altro.

Bisagno fu un formidabile organizzatore di azioni di sabotaggio con cui distrusse, con molto coraggio e tecnica perfetta, importanti opere fortificate tedesche inseguendo disperdendo e catturando i nemici che spesso rimasero ammirati dalla sua audacia.

Monumento dedicato a Gastaldi a Fascia (GE)

Tra il 44 e il 45 Gastaldi era riuscito a rendere sempre più forte la Brigata – anche avvalendosi dell’apporto (soprattutto in armi) degli alpini del Battaglione “Vestone” della “Monterosa“ che aveva convinto a disertare e a passare con la Resistenza – e diventò vice comandante della VI Zona che comprendeva parte della Liguria e i territori montani delle province limitrofe del Piemonte della Lombardia e dell’Emilia.

Dissapori tra le varie formazioni partigiane (Gastaldi era spinto , come abbiamo detto, dalla coscienza dell’alto valore morale e patriottico della lotta che conduceva al di sopra di ogni partitismo e dalla sua fede religiosa) portarono poi alla divisione della “Cichero“ ma non diminuirono la sua fama.

Gastaldi morì un mese dopo la Liberazione, il 21 maggio 1945, cadendo – dal tetto della cabina – sotto le ruote del camion col quale aveva accompagnato a Riva di Trento (TR) alcuni dei suoi partigiani smobilitati. Al suo funerale partecipò una folla enorme.

Nei primi anni della Guerra Fredda intorno alla morte di Bisagno sorsero voci e sospetti (su un suo eventuale assassinio da parte di altri partigiani) per screditare l’unità del movimento partigiano, una delle cose a cui lo stesso Bisagno aveva tenuto di più.

Ma alla fine degli anni Novanta un documento firmato da ex-capi partigiani di ogni tendenza politica (cattolici, socialisti, comunisti, liberali e azionisti) mise fine alle illazioni e alle più fantasiose calunnie. I suoi resti riposano ora nel Pantheon del Cimitero monumentale di Staglieno a Genova.

Bisagno visse il suo essere partigiano e il suo impegno nella Resistenza secondo la logica che espresse in questa frase:

“Dobbiamo dare l’esempio di un’Italia rinata e sana…”


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