Il 5 febbraio 1944 muore nel carcere di Regina Coeli (Roma), per le conseguenze delle torture subite, LEONE GINZBURG (35 anni) letterato, Antifascista, Azionista e Partigiano.

Ginzburg nacque ad Odessa (Ucraina) in una famiglia ebraica colta e agiata. Dal punto di vista religioso i genitori erano rispettosi di una tradizione ebraica priva di dogmi mentre Leone si sarebbe sempre considerato un “libero pensatore”. Presso la famiglia viveva dal 1902, come istitutrice, l’italiana Maria Segre che insegnò a Leone ed ai suoi due fratelli il francese e l’italiano e favorì rapporti con l’Italia fin dal 1910.

Tra il 1914 e il 1919 Ginzburg studiò in varie città italiane e nel 1920 si stabilì a Torino. Nel 1921 i Ginzburg si spostarono ancora una volta: andarono a Berlino dove il padre aveva avviato una nuova società commerciale assieme a un amico. Nell’autunno 1923, mentre il padre restava in Germania per lavoro, la famiglia ritornò a Torino e tra il 1924 e il 1927 Ginzburg concluse gli studi laureandosi in Lettere Moderne.

Per completare gli studi era stato anche a Parigi dove aveva incontrato Benedetto Croce, CARLO ROSSELLI e GAETANO SALVEMINI che ebbero grande influenza su di lui. Ginzburg divenne studioso e docente di letteratura russa e partecipò alla nascita a Torino della casa editrice Einaudi insieme con molti intellettuali di area socialista e radical-liberale come NORBERTO BOBBIO, VITTORIO FOA, CARLO LEVI, LUIGI SALVATORELLI, MASSIMO MILA e con Cesare Pavese ed Elio Vittorini. In campo politico fu un federalista convinto, assertore di un socialismo liberale e attivo antifascista.

Dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana, nel 1931 aderì al movimento “GIUSTIZIA E LIBERTA’” mentre nel 1934 fu uno dei pochi docenti a rifiutare il giuramento di fedeltà al regime fascista pagandolo con l’estromissione dall’università. Mentre intensificava l’attività clandestina in Giustizia e Libertà venne arrestato il 13 marzo 1934  e condannato a quattro anni di carcere. Rilasciato nel 1936, proseguì la sua attività letteraria presso l’Einaudi e l’impegno di antifascista.

Nel 1938 sposò Natalia Levi (nota come la scrittrice Natalia Ginzburg (1916- 1991)) dalla quale ebbe tre figli: Carlo Ginzburg, poi divenuto noto storico, Andrea, economista, e Alessandra, psicanalista. Nello stesso anno, a causa delle leggi razziali, perse la cittadinanza italiana e nel giugno del 1940 fu mandato al confino a Pizzoli, in Abruzzo.

Liberato nel 1943 alla caduta del fascismo si spostò a Roma dove fu  tra gli organizzatori del PARTITO D’AZIONE e delle formazioni partigiane Giustizia e Libertà e divenendo uno degli animatori della Resistenza nella capitale a partire dal 9 settembre. Intanto lavorava nella sede romana dell’Einaudi e dirigeva L’Italia Libera, giornale del PdA, fino a quando venne sorpreso dai fascisti nella tipografia clandestina del giornale e catturato il 20 dicembre 1943.

Incarcerato a Regina Coeli, fu torturato dai tedeschi ( che gli fratturarono una mascella) perché si rifiutò di collaborare. Mentre lo riportavano in cella, dopo un feroce pestaggio, incontrando SANDRO PERTINI (anch’esso detenuto)  trovò la forza di sussurrargli: “Guai se alla fine della guerra dovessimo incolpare tutto il popolo tedesco per la malvagità di pochi“. Morì in carcere, in conseguenza delle torture subite e senza alcuna cura, la mattina del 5 febbraio 1944. I suoi resti riposano nel Cimitero del Verano a Roma.

Questa è la lettera scritta alla moglie Natalia nell’infermeria del carcere di Regina Coeli, il 4 febbraio 1944, poche ore prima di morire:

 

Natalia cara, amore mio

ogni volta spero che non sia l’ultima lettera che ti scrivo, prima della partenza o in genere; e così è anche oggi. Continua in me, dopo quasi una intera giornata trascorsa, il lieto eccitamento suscitatomi dalle tue notizie e dalla prova tangibile che mi vuoi così bene. Questo eccitamento non ha potuto essere cancellato neppure dall’inopinato incontro che abbiamo fatto oggi. Gli auspici, dunque, non sono lieti; ma pazienza. Comunque, se mi facessero partire non venirmi dietro in nessun caso. Sei molto più necessaria ai bambini, e soprattutto alla piccola.

E io non avrei un’ora di pace se ti sapessi esposta chissà per quanto tempo a dei pericoli, che dovrebbero presto cessare per te, e non accrescersi a dismisura. So di quale conforto mi privo a questo modo; ma sarebbe un conforto avvelenato dal timore per te e dal rimorso verso i bambini. Del resto, bisogna continuare a sperare che finiremo col rivederci, e tante emozioni si comporranno e si smorzeranno nel ricordo, formando di sé un tutto diventato sopportabile e coerente. Ma parliamo d’altro. Una delle cose che più mi addolora è la facilità con cui le persone intorno a me (e qualche volta io stesso) perdono il gusto dei problemi generali dinanzi al pericolo personale. Cercherò di conseguenza di non parlarti di me, ma di te.

La mia aspirazione è che tu normalizzi, appena ti sia possibile, la tua esistenza; che tu lavori e scriva e sia utile agli altri. Questi consigli ti parranno facili e irritanti; invece sono il miglior frutto della mia tenerezza e del mio senso di responsabilità. Attraverso la creazione artistica ti libererai delle troppe lacrime che ti fanno groppo dentro; attraverso l’attività sociale, qualunque essa sia, rimarrai vicina al mondo delle altre persone, per il quale io ti ero così spesso l’unico ponte di passaggio. A ogni modo, avere i bambini significherà per te avere una grande riserva di forza a tua disposizione. Vorrei che anche Andrea si ricordasse di me, se non dovesse più rivedermi.

Io li penso di continuo, ma cerco di non attardarmi mai sul pensiero di loro, per non infiacchirmi nella malinconia. Il pensiero di te invece non lo scaccio, e ha quasi sempre un effetto corroborante su di me. Rivedere facce amiche, in questi giorni, mi ha grandemente eccitato in principio, come puoi immaginare. Adesso l’esistenza si viene di nuovo normalizzando, in attesa che muti più radicalmente. Devo smettere, perché mi sono messo a scrivere troppo tardi fidando nella luce della mia lampadina, la quale invece stasera è particolarmente fioca, oltre ad essere altissima. Ti continuerò a scrivere alla cieca, senza la speranza di rileggere. Con tutto il Tommaseo che ho tra le mani, sorge spontaneo il raffronto con la pagina di diario di lui che diventa cieco. Io, per fortuna, sono cieco solo fino a domattina.

Ciao, amore mio, tenerezza mia. Fra pochi giorni sarà il sesto anniversario del nostro matrimonio. Come e dove mi troverò quel giorno? Di che umore sarai tu allora? Ho ripensato, in questi ultimi tempi, alla nostra vita comune. L’unico nostro nemico (ho concluso) era la mia paura. Le volte che io, per qualche ragione, ero assalito dalla paura, concentravo talmente tutte le mie facoltà a vincerla e non venir meno al mio dovere, che non rimaneva nessun’altra forma di vitalità in me. Non è così? Se e quando ci ritroveremo, io sarò liberato dalla paura, e neppure queste zone opache esisteranno più nella nostra vita comune. Come ti voglio bene, cara. Se ti perdessi, morirei volentieri. (Anche questa è una conclusione alla quale sono giunto negli ultimi tempi).

Ma non voglio perderti, e non voglio che tu ti perda nemmeno se, per qualche caso, mi perderò io. Saluta e ringrazia tutti coloro che sono buoni e affettuosi con te: debbono essere molti. Chiedi scusa a tua madre, e in genere ai tuoi, di tutto il fastidio che arreca questa nostra troppo numerosa famiglia. Bacia i bambini. Vi benedico tutti e quattro, e vi ringrazio di essere al mondo. Ti amo, ti bacio, amore mio. Ti amo con tutte le fibre dell’essere mio. Non ti preoccupare troppo per me. Immagina che io sia un prigioniero di guerra; ce ne sono tanti, soprattutto in questa guerra; e nella stragrande maggioranza torneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero, Natalia?
Ti bacio ancora e ancora e ancora. Sii coraggiosa.

Leone

 

vedi:  Leone Ginzburg, la prova del NO

 

Vedete il nostro video  ” Il dovere della Memoria“: QUI

 



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