Pensieri tristi e interrogativi intriganti. Pezzi di verità impazziti e dubbi laceranti. Il “nostro” e il “loro” mondo. Così, stamane, vagando per strade di campagna, tra la nebbia che mi impediva di vedere e l’odore di morte che mi impediva di sperare. Tra le domande, una i particolare mi sollecitava ad una informazione più precisa e puntuale. L’Isis, mi dicevo, è pieno di armi e di danaro! Da dove gli vengono tutti questi soldi e tutte queste armi? Nella coscienza mi si insinua, come un tarlo malefico, la convinzione che, in fondo, siamo noi a fornir loro armi e danaro e, tornato a casa, mi metto alla ricerca dei dati. Che cosa scopro?

1 – Per quanto riguarda i soldi, secondo uno studio pubblicato sul “Sole 24 ore” del 16 novembre, dedicato alle fonti di finanziamento dell’Isis, su una stima di circa 700 milioni di euro l’anno di entrate del califfato le donazioni contribuiscono per il 6%, le tasse interne per il 14% i saccheggi per il 14,5% ed il petrolio per ben il 65,5%. Di queste voci, due (petrolio e donazioni, il 70%) dipendono in buona parte da scambi economico finanziari con il resto del mondo. Non solo si spostano tra i 50 e i 100 milioni di barili all’anno (piuttosto ingombranti), ma si eseguono pagamenti ingenti e trasferimenti finanziari importanti.

2 – Per quanto riguarda le armi, secondo la Stockholm International Peace Research Institute, che segue il commercio di armi, l’America, la Russia, la Germania, la Cina e la Francia (noi italiani seguiamo subito a ruota) coprono i tre quarti delle esportazioni internazionali di armi negli ultimi cinque anni. Considerando che i Paesi arabi non esportano ma importano armi, se ne deduce che le armi con le quali l’Isis ci fa guerra vengono fornite da noi.

Continuando in questo lavoro di ricerca e di informazione, leggo un servizio di Ugo Biggeri, presidente della Banca Popolare Etica, che scrive: “Vi è un filo rosso che lega gli assurdi attentati di Parigi, la guerra dell’Isis, il pensiero economico e la finanza». Poi, partendo dalla costatazione che noi siamo coinvolti, mani e piedi, in un’economia cieca e amorale, denuncia: «questo strabismo economico finanziario che ci fa condannare l’Isis, ma non ci fa vedere come è ben inserito negli scambi economici cui anche noi partecipiamo, non è un accidente casuale, una dabbenaggine dell’occidente, o una astuzia dell’Isis stesso. È conseguenza del modo con cui facciamo funzionare la finanza e l’economia“.

Stando così le cose, un minimo di logica razionale vorrebbe che si chiudessero i traffici di armi e i rubinetti del petrolio, invece che invocare un’altra guerra che porterebbe altri soldi nelle casse dei finanziatori di tutte le guerre e di tutte le stragi. E invece no! I nostri politici invocano la guerra mentre il popolo piange e solidarizza.

“Je suis Charlie”, si gridava qualche mese fa.
“Je suis Paris” si urla oggi.
Ma aprendo gli occhi e squarciando le nebbie del narcisismo compassionevole, è possibile gridare: “Je suis citoyen du monde?”

Don Aldo Antonelli, parroco in pensione        L’Huffington Post  19/11/2015

 

vedi: Il Sultano e San Francesco

Francia: almeno smettiamola con le chiacchiere

Nostra ipocrisia


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