FinanzCapitalismo: il mostro che uccide la democrazia – in memoria di Luciano Gallino

Ieri ha lasciato il corpo il professor Luciano Gallino, sociologo, studioso dei problemi del lavoro, intellettuale lucido e indipendente. Negli anni giovanili aveva collaborato con Adriano Olivetti. Nei saggi della maturità troviamo analisi profonde e per nulla rassegnate del sistema finanziario globale. Un sistema che concentra il potere nelle mani di pochi e sacrifica tutto al profitto, dai beni comuni alla dignità delle persone. Un sistema che mortifica il principio di uguaglianza e lo spirito critico, svuotando di senso le istituzioni democratiche. Il prof. Gallino chiamava questo mostro Finanzcapitalismo. Ed è questo mostro che occorre abbattere per creare un mondo nuovo, davvero umano. Di seguito una sintesi dell’introduzione al suo saggio Finanzcapitalismo  (Einaudi). Piero Ricca

 

Mega-macchine sociali: cosí sono state definite le grandi organizzazioni gerarchiche che usano masse di esseri umani come componenti o servo-unità. Mega-macchine potenti ed efficienti di tal genere esistono da migliaia di anni. Le piramidi dell’antico Egitto sono state costruite da una di esse capace di far lavorare unitariamente, appunto come parti di una macchina, decine di migliaia di uomini per generazioni di seguito. Era una mega-macchina l’apparato amministrativo-militare dell’impero romano. Formidabili mega-macchine sono state, nel Novecento, l’esercito tedesco e la burocrazia politico-economica dell’Urss

Il finanzcapitalismo è una mega-macchina che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero possibile di esseri umani, sia dagli ecosistemi. L’estrazione di valore tende ad abbracciare ogni momento e aspetto dell’esistenza degli uni e degli altri, dalla nascita alla morte o all’estinzione. Come macchina sociale, il finanzcapitalismo ha superato ciascuna delle precedenti, compresa quella del capitalismo industriale, a motivo della sua estensione planetaria e della sua capillare penetrazione in tutti i sottosistemi sociali, e in tutti gli strati della società, della natura e della persona.

L’estrazione di valore è un processo affatto diverso dalla produzione di valore. Si produce valore quando si costruisce una casa o una scuola, si elabora una nuova medicina, si crea un posto di lavoro retribuito, si lancia un sistema operativo piú efficiente del suo predecessore o si piantano alberi. Per contro si estrae valore quando si provoca un aumento del prezzo delle case manipolando i tassi di interesse o le condizioni del mutuo; si impone un prezzo artificiosamente alto alla nuova medicina; si aumentano i ritmi di lavoro a parità di salario; si impedisce a sistemi operativi concorrenti di affermarsi vincolando la vendita di un pc al concomitante acquisto di quel sistema, o si distrugge un bosco per farne un parcheggio. Accostando come si è fatto sopra capitale e potere non s’intende qui riproporre la tradizionale concezione che rinvia al potere del capitale. In suo luogo si avanza la nozione di capitale come forma di potere in sé, un potere organizzato su larghissima scala.

Di conseguenza non è esatto dire che il capitale ha potere. Il capitale è potere. Il potere di decidere che cosa produrre nel mondo, con quali mezzi, dove, quando, in che quantità. Il potere di controllare quante persone hanno diritto a un lavoro e quante sono da considerare esuberi; di stabilire in che modo deve essere organizzato il lavoro; quali debbano essere i prezzi degli alimenti di base, di cui ciascun punto percentuale in piú o in meno aumenta o diminuisce di una quindicina di milioni, nel mondo, il numero degli affamati; quali malattie sono da curare e quali da trascurare, ovvero quali farmaci debbano essere sviluppati dai laboratori di ricerca oppure no. Ancora, il capitale è il potere di trasformare le foreste pluviali in legno per mobili e i mari in acque morte; di brevettare il genoma di esseri viventi evolutisi nel corso di miliardi di anni e dichiararlo proprietà privata; di decidere quali debbono essere i mezzi di trasporto usati dalla gran maggioranza della popolazione e con essi quale debba essere la forma delle città, l’uso del territorio, la qualità dell’aria.

La mega-macchina denominata capitalismo industriale aveva come motore – e per quel che ne resta ha tuttora – l’industria manifatturiera. Il finanzcapitalismo ha come motore il sistema finanziario. La mega-macchina del finanzcapitalismo è giunta ad asservire ai propri scopi di estrazione del valore ogni aspetto come ogni angolo del mondo contemporaneo. Un simile successo non è dovuto a un’economia che con le sue innovazioni ha travolto la politica, bensí a una politica che ha identificato i propri fini con quelli dell’economia finanziaria, adoperandosi con ogni mezzo per favorire la sua ascesa. In tal modo la politica ha abdicato al proprio compito storico di incivilire, governando l’economia, la convivenza umana. Ma non si è limitata a questo. Ha contribuito a trasformare il finanzcapitalismo nel sistema politico dominante a livello mondiale, capace di unificare le civiltà preesistenti in una sola civiltà-mondo, e al tempo stesso di svuotare di sostanza e di senso il processo democratico.

Luciano Gallino  (1927- 2015)      in   grillo.it   9/11/2015

 

vedi: Tra politica ed economia

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