Il 23 agosto 1923 muore ad Argenta (FE) ucciso a bastonate da parte di squadristi fascisti don GIOVANNI MINZONI (38 anni) presbitero e Antifascista.

Nato a Ravenna, in una famiglia della media borghesia, don Minzoni studiò in seminario dal 1897 al 1909 (anni nei quali si erano diffuse le tendenze democratico-cristiane, e intensificate, specie in Romagna, le lotte contadine) e venne ordinato sacerdote nel 1909. Durante gli studi entrò in contatto con don ROMOLO MURRI (1870- 1944) subendo il fascino del Modernismo teologico e avvicinandosi al movimento democratico cristiano. Quando Murri nel 1909 fu colpito dalla scomunica, comminatagli da Pio X don Minzoni visse un forte turbamento per la perdita di un importante punto di riferimento negli anni della sua formazione religiosa e culturale.

Destinato nel 1910 alla sede parrocchiale di Argenta (FE) ) (dove si era radicato, come in tutto il Ferrarese bracciantile delle bonifiche e delle grandi proprietà capitalistiche, il socialismo) entra in consonanza solidale con la povertà diffusa del bracciantato agricolo e con le sue speranze maturando un modello di approccio diretto e non timoroso al mondo dei lavoratori. Sentiva intenso – scrive nel Diario nel 1909 – il bisogno di dialogare con quei giovani lavoratori, «d’affratellarmi a questa religione nascente».

Seppe distinguersi subito per le sue capacità organizzative, la franchezza, la cordialità di carattere e l’attitudine comunicativa facendosi accettare come sacerdote anche in ambienti socialisti. A completamento della propria formazione si iscrisse nel 1912 alla Scuola sociale della diocesi di Bergamo. Cappellano militare volontario nella prima guerra mondiale, dove fu decorato di medaglia d’argento, condivise in maniera problematica e sofferta, come risulta dal suo Diario, la vita dei soldati nelle trincee anche nei suoi momenti più drammatici e rischiosi.

Terminato il conflitto divenne attivo promotore di opere caritatevoli dando vita a circoli sociali per l’acculturamento delle classi umili e ai primi nuclei del sindacalismo cattolico nella Bassa ferrarese e divenne ben presto ispiratore e guida delle iniziative pubbliche dei cattolici argentani, una minoranza attiva in quel paese nel drammatico clima politico e sociale del dopoguerra.

Don Minzoni aderì al Partito Popolare fondato da don Luigi Sturzo nel 1919 e nei mesi che precedettero la «marcia su Roma» manifestò la sua avversione al fascismo con franchezza e decisione. L’attivismo di don Minzoni e le sue doti dì organizzatore incontrarono il consenso di molti giovani argentani, al punto che fu stentatissimo, in quel paese, l’esordio della fascista Opera nazionale Balilla.

Lapide dedicata a don Minzoni. Ravenna.

La sua attività sociale e scoutistica per i giovani attirò su don Minzoni l’ostilità dei fascisti ferraresi, che non gli perdonavano le prese di posizione a favore delle vittime della violenza squadrista anche di parte socialista. Il 22 aprile 1923 aveva infatti denunciato la responsabilità dei fascisti nell’uccisione del sindacalista socialista NATALE GAIBA, avvenuta il 7 maggio 1921 ad Argenta, al culmine della stagione dello squadrismo agrario.

Come scrisse a un amico sacerdote, don Minzoni scelse definitivamente in quel periodo di battersi «contro la vita stupida e servile che ci si vuole imporre» conscio, come scrive proprio dalle ultime pagine del Diario, che così facendo metteva a repentaglio la propria incolumità e forse la propria vita. Don Minzoni aveva maturato la consapevolezza che era necessario «prendere posizione», non per l’una o l’altra parte politica, bensì per l’affermazione dei principi di libertà o per la loro radicale negazione.

Così facendo divenne, proprio per il ruolo che rivestiva, punto di riferimento degli antifascisti argentani cattolici, ma anche dei socialisti che lo apprezzavano per la determinazione con cui aveva difeso la Cooperativa agricola dal tentativo dei fascisti di impadronirsene. Inoltre i fascisti fecero un tentativo di attrarre don Minzoni nel proprio campo puntando sui suoi trascorsi militari e gli offersero, nel mese di maggio, i gradi di centurione cappellano della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN) ma egli rifiutò.

Alla fine di luglio del 1923 don Minzoni impartì la prima comunione a una decina di giovani figli di socialisti e li festeggiò con un pranzo in canonica e il 9 agosto organizzò nel teatro di Argenta un raduno degli scout cattolici: questi eventi resero la misura colma per quei dirigenti fascisti ferraresi che, sotto la guida di Italo Balbo, stavano procedendo alla fascistizzazione della provincia e avevano deciso di «picchiare sodo prima o poi» sui «politicanti popolari» che si erano dissociali dalla scelta clerico-fascista ufficiale.

La sera del 23 agosto 1923 don Minzoni ritornava in canonica con un amico e collaboratore quando furono entrambi aggrediti da alcuni squadristi membri della MVSN. L’intento (e l’ordine ricevuto) non era di uccidere, bensì di dare una “lezione”, secondo lo stile fascista, a quel prete “scomodo”, ma un colpo di bastone in testa che don Minzoni ricevette gli fu fatale. Soccorso e trasportato nella sua abitazione morì lo stesso giorno dopo una breve agonia.

Il cordoglio popolare fu profondo e diffuso. Il 25 agosto venne celebrato il funerale in parrocchia, poi la bara con la salma di don Minzoni. fu trasportata in corteo da Argenta a Ravenna dove il rito funebre venne ripetuto il giorno successivo. Grande fu il risalto dato dalla stampa. L’inchiesta sulla morte di don Minzoni fu archiviata nel novembre 1923, come voleva la dirigenza fascista ferrarese. Ma il caso venne riaperto dopo la pubblicazione sulla Voce repubblicana, il 24 agosto 1924, di un articolo che lasciava intendere la responsabilità di Balbo quale ispiratore del delitto. Le accuse contro Balbo non ebbero seguito sul terreno giudiziario, ma furono una componente importante della strategia politica delle opposizioni durante la Secessione dell’Aventino ( estate del 1924).

L’inchiesta sul delitto venne dunque riaperta nel dicembre 1924 e portò alla celebrazione del processo che si svolse nel luglio 1925 presso la corte d’assise di Ferrara. Ma il clima politico era profondamente mutato, dopo il fallimento della protesta dell’Aventino e la svolta verso la dittatura segnata dal discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 a seguito del delitto MATTEOTTI. Le minacce ai giurali, le intimidazioni nei confronti dei testimoni e dei giornalisti, la plateale solidarietà offerta in aula da Balbo agli imputati prepararono la strada al generale verdetto assolutorio imposto dalla «piazza» fascista.

Caduto il fascismo, la Corte di Cassazione annullò nel 1946 quella sentenza. Processati di nuovo a Ferrara nel 1947 gli imputati superstiti furono condannati per omicidio preterintenzionale e scarcerati per sopravvenuta amnistia. Don Minzoni è sepolto nella chiesa di San Nicolò ad Argenta dove svolse l’ufficio di parroco.

Don Giovanni Minzoni fa parte di coloro che potremmo definire i “protomartiri”‘dell’antifascismo insieme a SPARTACO LAVAGNINI (1921), GIACOMO MATTEOTTI (1924), PIERO GOBETTI (1926), GIOVANNI AMENDOLA (1926) ed altri.

Poco prima della morte Don Minzoni aveva scritto nel suo Diario:

“A cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione,  forse la morte per il trionfo delle causa di Cristo”.


Prima di partire per la guerra don Minzoni scrisse sempre nel suo Diario:

“Prego Iddio che mi faccia morire compiendo sino all’ultimo momento il mio dovere di sacerdote italiano,  felice di chiudere il mio breve periodo di vita in un sacrifìcio supremo “.

 

Vedi:  I cristiani devono condannare il fascismo anche dal pulpito


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