DURO INTERVENTO A “PIAZZAPULITA” DI ZAGREBELSKY, PRESIDENTE EMERITO DELLA CONSULTA: “I VINCOLI ESTERNI HANNO GRAVISSIME RIPERCUSSIONI”.

Riforma del Senato, nuova legge elettorale e, in prospettiva, l’elezione diretta del presidente del Consiglio (ma questa riforma a mio avviso sarebbe perfino superflua perché perché di fatto sarebbe già realtà) fanno parte di un unico disegno. Inoltre, prima o poi si agirà sulla magistratura col rischio che si riducano i poteri di controllo. Questo scenario ci fa immaginare un accrocco di potere che non è la democrazia, perché la democrazia è il potere diffuso tra tutti: è partecipazione, controllo, trasparenza. Una minoranza va a votare, una minoranza ancora più ridotta vince le elezioni e nei partiti c’è un capo che governa attraverso il controllo delle candidature: tutto questo fa sì che il potere si concentri in alto.

Noi siamo sulla strada di un rovesciamento: non più le energie coinvolte dal basso, ma la concentrazione in un potere unico. Finché le forme della democrazia rimarranno ci sarà ancora bisogno di un consenso, ma sarà una democrazia che si risolve in un sì o in un no: questa non è la democrazia Costituzionale. Le democrazie nazionali sono in grave crisi perché sono costrette da vincoli esterni che hanno gravissime ripercussioni sulle condizioni della popolazione. Gli interessi finanziari mondiali impongono grossi sacrifici ai Paesi con una finanza debole e con debito pubblico elevato. Per questo si rende necessario un potere politico forte: per tenere insieme una situazione sociale che può, da un momento all’altro, sfuggire di mano. In un momento di sovranità sempre più ristretta degli Stati, si assiste a un’accentuazione dei poteri di imposizione governativa. Mi sembra chiaro che di fronte alla crisi abbiamo due opzioni: o l’autorità o la partecipazione. Gli obiettivi e i vincoli imposti dall’esterno comportano una riduzione di capacità di scelta politica nei diversi Paesi. Quando si dice che ormai in Italia non c’è più bisogno di politica perché il governo agisce col timone e con il pilota automatico, dobbiamo chiederci da che parte ci guida il pilota automatico? Dell’autorità che si rafforza e si chiude o della democrazia che si espande? Basta la domanda per capire che la risposta è la prima.

Gustavo Zagrebelsky.   Intervento a “Piazzapulita”.

Il Fatto Quotidiano   02/04/2014.

 

 


Renzi è solo un insicuro. E non ci rottamerà

Dice il presidente del Consiglio con le mani in tasca di aver “giurato sulla Costituzione, non sui professoroni”. E dunque abbiamo interpellato Stefano Rodotà, uno dei professoroni firmatari dell’appello di Libertà e giustizia, eloquentemente intitolato “Verso una svolta autoritaria”.

Professor Rodotà, si sente un po’ professorone?
Sono un vecchio signore che qualche libro l’ha letto e un po’ conosce la storia . Questi modi hanno un retrogusto amaro. “Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola”: ecco, non siamo a questo, ma il rispetto per le persone e per le idee male non fa. C’è, dietro l’atteggiamento sprezzante di Renzi, una profonda insicurezza. Altrimenti il confronto non gli farebbe paura. Potrebbe parlare con dei buoni consiglieri e poi argomentare: il confronto andrebbe a beneficio di tutti. Direttamente s’interviene su un terzo della Costituzione, indirettamente su tutto il sistema delle garanzie. Per i cittadini esprimere la propria opinione è un diritto, per chi si occupa di questi temi intervenire è un dovere.

La discussione non può ridursi al “prendere o lasciare”.
Matteo Renzi usa toni ultimativi, non gli piace la critica perché si disturba il manovratore. Non è la prima volta: quando c’era stata una presa di posizione, molto moderata, sulla legge elettorale aveva parlato di “un manipolo di studiosi” con un tono di sostanziale disprezzo. Però non gli riesce di rottamare la cultura critica: è un pezzo della democrazia. Le reazioni che ci sono state a questo appello dimostrano che la nostra non è una posizione minoritaria: è una rottamazione difficile.

“Ho giurato sulla Carta, non su Zagrebelsky e Rodotà”: significa “non mi curo di loro” oppure “non sono i depositari della verità costituzionale”?
Che Renzi pensi che noi non siamo i depositari della verità è assolutamente legittimo. Però non può nemmeno dire: “Ho giurato sulla Costituzione e dunque sono io il depositario della verità”. La storia è piena di spergiuri. Se ritiene che il terreno proprio sia la Carta, allora discuta.

Ci vuol tempo a fare discussioni. E ora è in voga il mito della velocità, la politica futurista.
I tempi della democrazia sono anche quelli della discussione. Proprio perché la democrazia è in grande sofferenza, si dovrebbero costruire ponti verso i cittadini. Non si è sentita una parola, in questo senso. Ho avuto la fortuna di essere amico di Lelio Basso, cui si deve anche l’articolo 49 della Costituzione sui partiti politici: Basso ha sempre detto “dobbiamo discutere”. E su quel tema una discussione ci fu, eccome. Non a caso c’è, in quell’articolo, la mano di un grande giurista, che non aveva paura né del confronto né di avere con sé il meglio della cultura giuridica. Questo c’è dietro un’impresa costituzionale, non la fretta, non i consiglieri interessati o i saggi improvvisati.

“Non ci sto a fare le riforme a metà. O si fanno le riforme, o me ne vado”.
Il premier dimostra di non avere orizzonti ampi. Alza i toni, urla e dice “me ne vado”. Ma chi si alza e se ne va, svela insicurezza.

Un aut aut minaccioso.
Mettiamo insieme la debolezza di Renzi e la scelta di Berlusconi come suo alleato, con cui pensa di potere fare questo tratto di strada. Il Pd può accettare a capo chino questa strada? Nessuno si pone il problema. Dicono: “Sta piovendo, cosa ci possiamo fare?” Almeno potrebbero comprare un ombrello!

Ci mette la faccia, ripete spesso.
Può voler dire “mi assumo la responsabilità”. Ma non può significare “da questo momento in poi detto le regole, i tempi, i modi e poiché la faccia ce la metto io mi dovete seguire”. La democrazia non funziona così. E poi anche noi, i firmatari del famigerato appello, ci abbiamo messo la faccia. Nel dialogo, siamo in condizioni di assoluta parità. Se vuole affermare una posizione di supremazia, sbaglia.

Non è il primo politico che usa toni da uomo della provvidenza.
Sono sempre molto diffidente, quando si afferma “dopo di me il diluvio”. In questi anni la politica italiana, ancor prima di Renzi, è stata condotta all’insegna dell’emergenza. Non si va alle elezioni, c’è bisogno del governo Monti e via dicendo: i progetti che c’erano dietro questa logica sono falliti. Una circostanza è stata quasi ignorata: si vogliono fare le riforme durante un mandato in cui il Parlamento è fortemente delegittimato dalla sentenza della Consulta sul Porcellum. La non elettività del Senato, poi, diminuisce il potere dei cittadini di esprimersi: un “restringimento” democratico di cui si parla molto poco. Per questo era indispensabile la nostra presa di posizione. Il discorso sulla delegittimazione politica del Parlamento non nasce come argomento contro Renzi. Alcune persone – Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare e mi permetta: anche il sottoscritto – vanno ripetendo questo concetto da tempo. Il cuore della sentenza è la mancanza di rappresentatività del Parlamento. Ora bisognerebbe dire: ci sono mille ragioni, emergenza, fretta, i segnali da dare al mondo intero, per cui il Paese ha bisogno di riforme. Non è solo necessario coinvolgere un’ampia maggioranza, ma anche consentire a quel Parlamento scarsamente rappresentativo di essere coinvolto il più possibile. E aprire alla discussione pubblica: non dico che questo compensa il deficit di legittimazione, ma almeno tutti coloro che non sono rappresentati possono avere diritto di parola. Mi pare evidente che ci sia l’intenzione di far approvare le modifiche costituzionali con la maggioranza dei due terzi, in modo da impedire un possibile referendum: è un pessimo segnale. Il fatto che un Parlamento con questo grave deficit voglia mettere mano così pesantemente alla Carta, è un azzardo costituzionale: non può essere ignorato. Si pensa di abolire il Senato come se si dovesse cambiare il senso unico di una strada di Firenze.

Una pericolosa semplificazione: mancanza di strumenti o di cultura istituzionale?
C’è stata una regressione culturale profonda. È questo tipo di semplificazioni che introduce elementi autoritari. Si cancella il Senato, si compone la Camera con un sistema iper-maggioritario, il sistema delle garanzie salta: il risultato sarebbe un’alterazione in senso autoritario della logica della Repubblica parlamentare che sta in Costituzione. E dovremmo stare zitti?

Silvia Truzzi       Il Fatto Quotidiano  01/04/2014.

 

vedi: La svolta autoritaria


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