Questo libro racconta un mondo, quello della solidarietà, di cui non si sa abbastanza. Tra sms che salvano, adozioni a distanza, partite del cuore, campagne televisive, azalee e arance benefiche, quanti milioni di euro raccolti arrivano a chi ha bisogno? La risposta che viene fuori dalle testimonianze di cooperanti italiani e internazionali e dai più recenti dati di bilancio (quando sono disponibili: in Italia non c’è l’obbligo di pubblicare un vero e proprio bilancio economico-finanziario) è che tra profit e non profit c’è ormai poca differenza. Migliaia di associazioni sono in lotta una contro l’altra per i fondi, quelle più grandi spendono milioni per promuoversi e farsi conoscere, intanto le più piccole sono schiacciate dalla concorrenza. Gli stipendi dei manager del settore non profit sono ormai uguali a quelli dellemultinazionali (la buonuscita milionaria di Irene Khan, ex segretario generale di Amnesty International, è solo la punta dell’iceberg). Ma i soldi non sono che una parte della questione, c’è molto altro da sapere. Che fine fanno i vestiti che lasciamo ai poveri? Come funziona il sistema delle adozioni internazionali? E il commercio equo e solidale? La filantropia ha fatto cose importanti, ma è anche il simbolo del fallimento della politica. Gli esseri umani non dovrebbero dipendere dalla generosità di altri. Se poi questa generosità diventa un business è importante raccontarlo per impedire che qualcuno si arricchisca sulla buona fede dei donatori. Il lato b delle ONG e di questo mondo fatto di tanti soldi che girano e in ben pochi caso finiscono ai destinatari indicati negli intenti di queste associazioni. Un libro altamente inquietante, un’altra fotografia dell’orrore del nostro tempo di cui dobbiamo avere consapevolezza.

” Ci sono cose che in Italia non si fanno. Non si discute di denaro a tavola, non si parla di politica con i suoceri, non si toccano le associazioni del terzo settore. Un tabù incomprensibile. Ecco perché sapevo da principio, prima ancora di scriverlo, che “L’industria della carità“ (ed. Chiarelettere) sarebbe stato oggetto di attacchi, ma mai avrei pensato così violenti e vuoti di contenuti. D’altra parte i cosiddetti “buoni” sono tali a patto che li si lasci stare e non si guardi in casa loro. Sia mai che si trova un po’ di polvere sotto il tappeto o qualche scheletro negli armadi. Sia mai che si faccia notare che godono di esenzioni e agevolazioni fiscali proprio in virtù del loro status e che dovrebbero rendere conto di ciò che fanno. Ma stiamo ai fatti. Mi viene rimproverato di aver scritto un libro “scientificamente inconsistente”, in cui ci sarebbero “dati e casi presi qui e là senza nessuna coscienza”. Credo che analizzare i bilanci delle associazioni non profit e riportare il loro contenuto abbia un suo valore scientifico a meno di considerare tali bilanci poco seri, ma non credo ci si riferisse a questo. Oppure vogliamo considerare irrilevante la recentissima relazione della Corte dei conti (luglio 2012) su 84 progetti realizzati da organizzazioni non governative italiane in 23 paesi dal 2008 al 2010 in cui i giudici contabili hanno trovato di tutto (soldi mai arrivati, progetti fermi o in ritardo da anni, infrastrutture create su terreni di terzi o inesistenti, rendiconti spariti e mi fermo qui per carità di patria)? O il fatto che io raccolga testimonianze inedite che vengono dalle vostre stesse associazioni su prassi inquietanti? …”

Valentina Furlanetto    in “ Il Fatto società” online    24 gennaio 2013

L’industria della carità. Da storie e testimonianze inedite il volto nacosto della beneficenza

di  Valentina Furlanetto,  ed. Chiarelettere 2013,  € 13,90

 

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