Enzo Mazzi a Firenze vuol dire Isolotto. Cioè un quartiere povero della città, storicamente legato ai renaioli che tiravano su la sabbia (la “rena” in toscano) dall’Arno: un mondo rimasto compatto di botteghe e mestieri. A mandare don Mazzi in quel quartiere era stato il cardinal Dalla Costa, lo stesso che nel 1938 aveva chiuso porte e finestre dell’arcivescovado, in piazza del Duomo, quando Hitler aveva fatto visita a Firenze. Nel 1966 quello stesso fiume che dava da mangiare, sommerse con le sue acque limacciose ’Isolotto e tutta la città. Don Mazzi era il parroco e insieme alla Casa del Popolo, ai democristiani e ai comunisti di allora, si dette da fare per aiutare la gente rimasta senza casa e senza lavoro. Niente di eccezionale: il pastore stava con le sue pecore, loro lo riconoscevano e lui le ascoltava. Nell’Italia di quegli anni l’Isolotto di don Mazzi incarnava un’esperienza di comunità di base (allora si chiamavano così) che cercava di praticare il Vangelo senza preclusioni politiche e badando al sodo: solidarietà, accoglienza, povertà condivisa. Dormire in cantina per far posto in canonica a una famiglia di sfrattati.

La messa si diceva in italiano e non più in latino, come aveva indicato il Concilio Vaticano II. Il prete smise di mostrare le spalle ai fedeli e si girò per sempre verso di loro: quello che faceva, la liturgia, era affare di tutti, non di un solo sacerdote. Nel Sessantotto questo modo di fare Chiesa si colorò un po’ più di politica. Contro la guerra in Vietnam, contro la Democrazia Cristiana che non aveva ricandidato La Pira, il sindaco che della pace aveva fatto la sua bandiera. Il successore di Dalla Costa, Florit, ebbe paura di questo andazzo. Una delle gocce che fece traboccare il vaso fu una lettera di solidarietà inviata dall’Isolotto agli studenti di Parma che avevano occupato la cattedrale in segno di protesta contro la Curia che voleva costruirne una nuova, più grande e più ricca. Non ce n’era bisogno, dicevano: Gesù l’unica volta che si era arrabbiato davvero era contro i mercanti che occupavano il tempio. Ricchezza e Chiesa non devono andare d’accordo. Florit sospese don Mazzi e mandò un nuovo parroco all’Isolotto. Ma alla sua prima messa si presentarono in venti. Tutti gli altri andarono in piazza, dove don Mazzi continuò a dire messa per tutta la comunità.

 Da allora in poi quella separazione fisica continuò a rappresentare un diverso cammino. La comunità di base dell’Isolotto (come tante altre in Italia) continuò a praticare un Vangelo che significava stare in maniera intransigente dalla parte degli ultimi. Il Vescovo, la gerarchia seguì una strada diversa, più cauta, ma non rinunciò ad esercitare il proprio potere: nel 1974 don Mazzi venne sospeso a divinis. Non per questo il parroco «ufficioso» smise di essere il pastore delle sue pecore: fino all’ultimo è stato punto di riferimento non solo per le prese di posizioni pubbliche che facevano rumore sui giornali (come quella a favore di papà Englaro) ma soprattutto per un’azione concreta, silenziosa e quotidiana di aiuto a chi aveva bisogno. Potrà sembrare strano ma se oggi la maggioranza dei cattolici italiani (il 53% secondo il sondaggio di Mannheimer reso pubblico domenica scorsa) non rivuole la Democrazia cristiana è anche per merito (o per colpa) di don Mazzi.

 Gli ultimi due pontificati hanno lavorato molto per piallare le comunità di base, per togliere legittimazione e visibilità a un cattolicesimo eterodosso. Ma come tante altre cose del Sessantotto (si pensi a Steve Jobs che va in India prima di mettersi a inventare il computer per tutti) quel cattolicesimo non ha smesso di lavorare in profondità e di cambiare la testa degli italiani. Si può essere molto religiosi senza per forza essere democristiani e senza per forza pensarlapoliticamente alla stessa maniera. Si può cercare di vivere il Vangelo con coerenza senza per forza obbedire alle autorità ecclesiali. Si può, si deve, pensare con la propria testa. Ciò che nel 1968 sembrava eresia ora è senso comune. Troppo spesso i politici chiusi nelle loro stanze non si accorgono di come è cambiata l’Italia. E ragionano (dato che sono in perenne carestia di idee nuove) su come ricostituire una presenza cattolica nella vita politica. Non sanno che decine di migliaia di cattolici prestano il loro impegno nel volontariato (come don Mazzi) preferendolo a una politica che (almeno per come viene fatta “professionalmente”, si fa per dire, oggi in Italia) non li interessa e non li appassiona. Quello che li appassionava (e li appassiona) di don Mazzi era che non faceva politica per sé, per fare carriera o per arricchirsi. O per difendere il posto di lavoro, come molti politici italiani attuali. Ma semplicemente per stare dalla parte degli ultimi. Questo dice il Vangelo. Altro che nuovo partito dei cattolici.

Giovanni Gozzini       l’Unità  24 ottobre 2011

 

 

Enzo Mazzi, uomo dell’ortoprassi

Parleremo ancora a lungo di Enzo Mazzi perché la sua testimonianza è difficilmente riconducibile a una sola e inflessibile interpretazione. Con la consapevolezza della possibilità di sbagliare, mi assumo perciò la responsabilità di sciogliere la contraddizione, per me apparente, fra Enzo degli anni ’70 e l’autore del libro “Il valore dell’eresia“. Ricordo che 40 anni or sono Enzo raccomandava a se stesso ed alle Comunità di base di non farsi incastrare nelle discussioni teologiche, correndo il rischio di passare per eretiche, negando o relativizzando l’una o l’altra delle dottrine cattoliche che passavano per opinioni comuni fra i teologi, prossime alla fede.  La paura di Enzo ai primi passi del movimento delle Comunità cristiane di base in Italia era proprio quella di estenuarsi in dibattici teologici eludendo il nodo principale che era quello di contestare alla chiesa cattolica romana, istituzionale e gerarchica, una prassi di vita del tutto contraddittoria con quanto appariva evidente nelle lettere di Paolo, nei Vangeli e nella prassi delle Comunità delle origini, prima che l’imperatore Teodosio dichiarasse il cristianesimo religione dell’impero e prima ancora che l’imperatore Costantino, dopo avere emesso un editto di tolleranza nei confronti dei cristiani, si fosse preoccupato della loro identità cominciando a promuovere l’ortodossia della “grande chiesa”.

Chi legge il libro di Enzo sui valori dell’eresia condivide perfettamente l’appassionato consenso con il pensiero dinamico, creativo, critico e contestuale che la gerarchia ha condannato come eretico. Ma chi prende in considerazione, uno per uno, gli esempi di eretici di cui parla Enzo, scopre che in essi non ci fu mai nulla di eretico, se per eretico si considera un pensiero che oppone all’ortodossia della Chiesa gerarchica un’altra ortodossia. Da Origene fino a Theillard De Chardin nessuno di questi ha voluto essere considerato eretico ma ha sempre pensato che la propria riflessione filosofico-teologica fosse una libera esercitazione. Origene parlava insistentemente di gymnasìa con la quale il credente rifletteva sulla fede in Gesù crocifisso e risorto e nel flusso creativo di grazia, che veniva dal Padre, e attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riconduceva i credenti all’unità ricostituente l’armonia del creato. Ma Giordano Bruno? Nella ricorrenza del quarto centenario del suo martirio la chiesa cattolica romana, aprendosi a pentimenti verso errori del suo passato, ribadiva anche in occasione del giubileo del millennio, pur deplorando il rogo, che fra l’altro oggi sarebbe anacronistico, che Giordano Bruno era stato un eretico impenitente.

 In verità Giordano Bruno davanti all’inquisizione di Venezia e poi anche davanti a quella di Roma si dichiarò sempre disponibile a riconoscere come opinabili o addirittura erronei i suoi dubbi sulla proprietà del linguaggio teologico nel definire persone le ipostasi della Trinità, la verginità di Maria, o la transustanziazione del pane in corpo di Cristo. L’unico punto su cui non volle cedere, meritandosi il rogo, fu il suo pensiero filosofico sulla infinità degli universi e quindi sull’impossibilità che gli universi avessero un centro. Vano, quindi, lo sforzo di Copernico di spostare i movimenti cosmici del sistema tolemaico geocentrico a quello affermato da lui eliocentrico: l’infinito non può avere un centro. Certo Roma si sentì colpita al cuore davanti all’affermazione che non essendoci un centro dell’universo, la stessa autorità della curia veniva scagliata in periferia, ma questa è eresia?  Questo oscura la chiarezza del messaggio evangelico? Qual è dunque la linea di riferimento nella mente di Enzo per trovarsi sempre al seguito di Gesù su un cammino di salvezza dei poveri, dei senza voce, dei diseredati e dei perseguitati? Non è un’altra ortodossia da opporre all’ortodossia e alla sacralizzazione del pensiero, dei gesti rituali, dei servizi e dei carismi ma una ortoprassi che giorno per giorno veglia sulla fedeltà del discepolo nel seguire l’Evangelo.

Giovanni Franzoni     il manifesto  25 ottobre 2011

 

 

In morte di Enzo Mazzi

Caro Enzo,
l’improvvisa notizia della tua morte personalmente mi addolora, ma al tempo stesso mi spinge a rivolgerti apertamente un saluto di pace piena, ora che hai lasciato questo campo di battaglia e stai ricevendo il premio delle tue fatiche e della tua sollecitudine per le chiese, non sempre compresa e fonte di prove. Ora che hai raggiunto la piena libertà dei figli di Dio, quella con cui Cristo ci ha reso liberi, possiamo concederci una comunicazione più continua, ma il pensiero va anche al cammino fatto assieme, sia nei vari incontri che abbiamo avuto e sia soprattutto come itinerario interiore di ricerca e di speranza verso un Popolo di Dio più libero e più responsabile. Non posso dimenticare e nascondere che proprio averti incrociato col tuo “Isolotto” negli anni difficili, che altri hanno voluto chiamare della “contestazione” e del “dissenso”, ha segnato la mia vita e le mie scelte più di quanto si possa vedere: sai quanto abbia mutuato e condiviso in pieno le vostre prospettive e come il nostro impari confronto sia stato critico fin da quei tempi. Mi preoccupavo che le giuste istanze che nascevano dal basso e dalla base potessero avere gambe e consistenza “teologica” per potersi confrontare ad armi pari col sistema costituito, senza necessariamente dichiararsi fuori o contro.

Sai bene come anch’io abbia subito ostracismi incrociati per avere invitato a capire e discernere la vostra situazione, al di là del braccio di ferro che si stava giocando e che avrebbe potuto compromettere lo sviluppo di quei germi di novità che andavate seminando. Ma devo anche dirti che da allora mi sono sentito impegnato totalmente a cercare un punto di convergenza e di equilibrio tra le attese della base e le pretese dei vertici, senza facili polarizzazioni. Ed in questo mi sono sentito confortato tutte le volte che poi ci siamo ritrovati e abbiamo potuto collaborare in qualche iniziativa, come quando ci hai fatto visita in un incontro di Koinonia e in altre occasioni fiorentine. Certamente il tuo passaggio tra noi e nella tua città ha lasciato una traccia indelebile che niente e nessuno potrà cancellare. Tu hai terminato la tua corsa, ma ci hai consegnato il testimone di una passione di solidarietà e condivisione da fare comunque nostra, quale che sia la capacità di ciascuno di assecondarla. Ma intanto il tuo esempio e la tua testimonianza ci confortano. Che il tuo e nostro Signore Gesù ti venga incontro per dirti: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere sumolto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt25,21). È anche la mia e la nostra preghiera!

Alberto Simoni op      Koinonia-Forum   n. 279 del 24 ottobre 2011

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