Sotto la pioggia. Ma abbiamo resistito con i coraggiosi presenti, che ringrazio. Dovevamo percorrere le strade dove rimangono i ricordi di Iside, la grande dea Madre egiziana, e del suo maggior tempio romano: l’Iseo. Siamo rimasti fermi, sotto gli ombrelli, lì davanti alla Minerva. Testardi a sfidare l’acqua. Faremo il percorso programmato domenica 23 gennaio, se non nevicherà… Ma mentre eravamo lì, testardi sotto gli ombrelli, abbiamo riflettuto su dove ci trovavamo: in  mezz’ettaro di città ( forse più, forse meno, non ha importanza) così carico di storia da far venire le vertigini. Uno spazio ristretto che è alla radice di conseguenze storiche straordinarie e drammatiche che arrivano fino ad oggi. Lì, tra via del Seminario, via dei Cestari, via del Gesù, piazza della Minerva, via di santa Caterina, piazza del Collegio Romano. Grossomodo.

C’era l’Iseo, con il culto a colei che era l’ultima grande erede della Grande Dea Madre gilanica, Iside. L’ultimo grido di un’epoca forse felice che risaliva al paleolitico, di una società più egualitaria e meno violenta di quella che dal 6/5000 a.C. prenderà piede fino ad oggi. C’e la chiesa della Minerva (bellissima) a ricordare la sovrapposizione cattolica della Madonna su Iside: la fine ( ma non totalmente) del paganesimo e del cristianesimo originario. Proprio in questo luogo, soprattutto. E in questa chiesa si trova la triste e demoralizzante tomba di papa Paolo IV Carafa, che nel 1555 con la bolla “ Cum nimis absurdum” darà il via al Ghetto degli ebrei e alla tragedia moderna di questo popolo: una tomba che sembra che sia un sepolcro qualsiasi e non lo è. C’erano  i Saepta Iulia, accanto al Pantheon, ricordo straordinario della vita democratica dei primi secoli della Repubblica Romana antica e che l’avvento dell’Imperium spegnerà definitivamente. Bisognerà aspettare il 1849, con la Repubblica Romana moderna, per poter rivedere la democrazia repubblicana a Roma e, si sperava, nell’Italia che stava per nascere.

C’era la sede dell’Inquisizione gestita dai Domenicani e, poco più in là, la sede principale dei Gesuiti, altri protagonisti dell’Inquisizione controriformistica. In quel palazzo, ex convento dei Domenicani in piazza della Minerva, nel 1633 fu processato e costretto all’abiura Galileo e 34 anni prima nella chiesa della Minerva, segno della vittoria amara del cattolicesimo sul paganesimo, Giordano Bruno riceveva la condanna definitiva: era il 1599. In quel fazzoletto di città c’è, quindi, la memoria storica più importante del predominio dell’oscurantismo religioso sulla libertà di pensiero. E in questo stesso mezz’ettaro c’è la tomba ( un’altra) di Roberto Bellarmino ( pure santo!) il duro protagonista dell’Inquisizione d’inizio 600, giudice di Giordano Bruno e nel primo processo a Galileo, nel 1616: sta lì, il sepolcro, nella chiesa di S. Ignazio.

 C’era ( c’è) il Pantheon, segno di una tolleranza religiosa che guardava a “tutti gli dei”, come se ogni via religiosa ( e filosofica) possedesse un pezzo di verità da mettere insieme, non da condannare. In questo spazio di mezz’ettaro oggi c’è Palazzo Grazioli, con quello che significa, ad indicare i tempi oscuri che viviamo in quest’Italia…  E in una delle stradine di questo mezz’ettaro ha abitato, nell’ultimo anno della sua vita, Giovanni Falcone, mentre lavorava al Ministero della Giustizia. Immagine di un’altra Italia, pulita e coraggiosa.

Quante cose in mezz’ettaro che lì, sotto la pioggia, abbiamo rievocato per capire, provarci almeno. E ci siamo detti che gli eventi storici non sono passato, sono vivi in quei luoghi dove sono accaduti in attesa che uomini e donne meno distratti e banali li prendano dentro di sé perché agiscano in loro, per farli crescere in responsabilità storica. E che Iside, dea madre della forza della vita che rianima Osiride, possa aiutarci ad uscire dalle nostre morti. Anche in questo mezz’ettaro.

 

 

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