La pandemia che stiamo vivendo a livello globale rappresenta un evento tragico che costringe un intero pianeta a fare i conti con la propria esistenza. In questo contesto, l’Italia, suo malgrado, si è trovata ad essere in una terribile trincea.

Dopo una gestione criminale da parte del regime cinese che ha ritardato di mesi le informazioni circa quella che all’epoca sarebbe stata “solo” un’epidemia e poi ha proseguito a dare notizie molto parziali anche rispetto alle dinamiche registrate a Wuhan (mentendo anche sulla fine dei contagi, oltre che sul numero dei morti), il nostro Paese è stato l’avanguardia della diffusione del virus in occidente.

Come abbiamo reagito? Nel modo peggiore di sempre. Abbiamo favorito e accompagnato una campagna di propaganda della Cina che nessun altro ha assecondato così vilmente.

Responsabile del contagio, Pechino ha offerto a tutti i Paesi i propri aiuti e tutti hanno risposto con dignità (molti poi hanno anche protestato per aver ricevuto materiale di scarsissima qualità).

Noi abbiamo inneggiato ai nostri nuovi migliori amici. Con una superficialità che in altri tempi avrebbe ricevuto il riscontro di una corte marziale, abbiamo acconsentito che l’esercito russo entrasse in Italia come vincitore di una guerra che mai ha combattuto, e soprattutto mai al fianco dell’Italia (si veda la Libia, ad esempio).

I mezzi militari con le bandiere russe che sfrecciano sulle strade vuote della Penisola sono un’offesa ai nostri compatrioti e un regalo a Putin, entrambi immeritati.

Potremmo citare il silenzio sistematico con cui i media, soprattutto quelli governativi, hanno trattato gli aiuti – ben più consistenti – inviati dai Paesi che da sempre sono legati all’Italia da amicizia e solidarietà: Stati Uniti per primi, ma anche le nazioni europee come la stessa Germania, che invece continua a essere bersaglio di un’aggressiva campagna di comunicazione denigratoria.

Dal dopoguerra a oggi non si era mai visto uno scempio della politica estera italiana di queste dimensioni. Che è naturalmente accompagnato dalla svendita di quello che è l’asset oggi più importante per uno Stato: quello dei propri big data.

Le parole di Xi sulla Via della seta della Salute in Italia sono inquietanti e lo sono tanto più perché taciute dall’interlocutore di Roma. L’arroganza con cui aziende di Stato cinesi come Huawei e ZTE si muovono nella penisola rivelano che più di qualche nuovo accordo è stato fatto (e già oggi godono di una posizione dominante in settori strategici).

Finita la crisi, nessuno ci pagherà il reddito di cittadinanza per tutti. Non è questa la ricetta. La cura sarà, come dopo la Seconda guerra mondiale, rimboccarsi le maniche e lavorare di più.

L’assistenzialismo è invece la premessa della nuova schiavitù. E se qualcuno pensasse di fare debito con i cinesi per pagare l’assegno di mille euro per tutti? Ecco, appunto.

Nell’emergenza sanitaria c’è chi pensa a tradire la patria. E chi già ha iniziato a farlo.

in Formiche n.157  aprile 2020

 

 

Cara Italia, non fidarti della Cina: è solo marketing!

Un sondaggio della Swg dimostra che, dopo rinvio del materiale sanitario, gli italiani si sentono bendisposti nei confronti di Pechino. Eppure la sua governance autoritaria è incompatibile con le libertà e i diritti delle nostre democrazie

La Cina colpisce sotto la cintura. Quattro pagine di propaganda: uno Speciale economico della Cina, una sorta di manifesto politico sotto forma di “Informazione promozionale” è apparso con grande visibilità il giorno di Pasqua sul quotidiano economico finanziario più famoso d’Italia. I cinesi nuovamente all’attacco. È il solito paradosso: gli imprenditori, gli artigiani, i professionisti, il “popolo delle partite iva”, loro (e noi) siamo tutti esausti e preoccupati perché un nefasto virus cinese mal gestito dal prepotente regime di Pechino sta falciando vite e speranze.

Poliziotto cinese a Wuhan

La silenziosa presenza di Pechino è invadente: ora acquistano pagine a pagamento per diffondere il loro verbo, la loro falsa verità.

Utilizzano i quotidiani economici per raggiungere un target sensibile a certi argomenti. È noto come lo stimato gruppo ClassEditori (pubblica anche ItaliaOggi e MilanoFinanza) vanti ottimi rapporti con società editoriali cinesi, anche attraverso partecipazioni. L’anno scorso Shen Haixiong, presidente di China Media Group, si è incontrato a Milano con i vertici del gruppo editoriale milanese, il comunicato congiunto è rassicurante: «il rapporto con China Media Group rafforza ulteriormente la presenza e le partnership di ClassEditori con i gruppi della Cina». La China Media Group è di proprietà dello Stato cinese, controlla anche la televisione pubblica (China Central Television) e la radio (China National Radio).

Se in Italia la propaganda cinese, anche se a pagamento, sembra avere un certo effetto e successo, all’estero non miete tanti consensi. Proprio in questi giorni, solo per citarne alcuni, il Sunday Times, il Wall Street Journal, l’emittente televisiva CNN criticano fortemente la gestione cinese della pandemia.

Invece dalle nostre parti sembra filare tutto liscio. Ancora una volta si sottolinea come attraverso i buoni uffici del Ministro Di Maio in Europa siamo l’avanguardia del Paese del Dragone. Tristemente l’agognata Nuova Via della Seta è stata sostituita dalla “Via della Seta della Salute“.

Rammarica leggere un articolo confezionato dal Partito comunista cinese intitolato: Xi Jinping in prima linea accanto al Popolo cinese nella lotta contro il coronavirus. Non sarebbe sufficiente un’intera pagina per elencare gli articoli, gli studi che, con il passare del tempo, condannano la dolosa mala gestione del virus in Cina.

Per non parlare della severa censura di Pechino che si sta abbattendo contro chi cerca con coraggio di far sapere cosa veramente è accaduto a Wuhan e nella regione dell’Hubei e dintorni da ottobre dell’anno scorso ad oggi.

Giornalisti che scompaiono, miliardari non allineati arrestati (Ren Zhiqiang). scrittrici infangate (Fanf Fang, il cui libro Wuhan diary verrà pubblicato prima in Inghilterra poi in Germania). Il modello autoritario di governance della Cina non è compatibile con le esigenze di libertà, diritti civili e libera espressione di uno democratico.

La loro pubblicità a pagamento è truccata, adulterata. Se analizziamo la “Via della Seta della Salute” scopriamo degli aspetti terribili. Siamo sotto scacco, potremmo rischiare (“embargo medico”. Significa che l’Italia, l’Europa, gli Stati Uniti e tanti altri Paesi sono tutti vulnerabili, siamo oggi dolorosamente consapevoli come paradossalmente in questi tragici momenti dipendiamo quasi unicamente dalle forniture cinesi.

Perché le mascherine, i farmaci e altre forniture mediche utilizzate da infermieri e medici sono prodotte in Cina. Il fornitore è unico, monopolista. Così facendo l’Occidente ha dolosamente trasferito buona parte della sua sicurezza nazionale a Pechino. Ciò avrà un costo che dovremo presto pagare.

Perché i cinesi sono bravi, come già scritto su queste colonne, l’invio di una manciata di personale sanitario in Italia ha fortemente influenzato il sentimento dell’opinione pubblica italiana. Un sondaggio della SWG dimostra come si sia impennato il feeling degli italiani verso i cinesi dopo l’invio di materiale e sanitari.

L’agenzia Xinhua riporta come le esportazioni di materiale sanitario dalla Cina fino ad ora valgono 1,43 miliardi di dollari. La strategia cinese è formidabile. Sappiamo che prestissimo gli uomini di Pechino torneranno alla carica per cercare di farci adottare il sistema 5G della Huawei. Troveranno terreno più fertile perché popolo, stampa e politici (il pensiero è in special modo rivolto allo sparuto club dei Cinque Stelle) sono ora meglio disposti.

Strabilianti le conseguenze della diffusione del Coronavirus: la necessità di importare materiale sanitario ha sgretolato buona parte della nostra sicurezza nazionale, si è formato un sentimento nazionale ben orientato nei confronti di Pechino, la nostra economia è facilmente attaccabile, le nostre imprese piegate dagli eventi, i lavoratori e le famiglie disorientate e preoccupate.

Chissà se il Governo invece di lisciare il pelo a Pechino incomincerà a porsi qualche domanda. Magari facendo osservare il diritto internazionale chiedendo alla Cina, come già più volte scritto, un legittimo risarcimento.

Antonio Selvatici      Il Riformista    16 aprile 2020

 

 

Di Battista di rientro dall’Iran e la strategia filo-cinese del Movimento

“L’Italia deve dire  no al Mes. Senza di noi l’Ue si scioglie. Abbiamo carte da giocare come il rapporto con la Cina”. Tra Davide Casaleggio e Di Maio, gli avvisi di Conte all’Ue, l’interesse per l’Eni, viaggio nella svolta sempre più decisa dei 5 Stelle verso Pechino

Che fine aveva fatto Di Battista? Sapevamo che era in Iran, da dove è tornato da non molto. Sapevamo che stava lavorando – con una sua coerenza, di cui gli va dato atto – e di fatto era il punto di riferimento di un gruppo di parlamentari M5S non disposti a qualunque cosa pur di restare in questo governo, a detta di alcuni di loro troppo prono all’Unione europea e alla Germania: parlamentari che non sono disposti per esempio a cedere sul no all’austerity, la critica all’Unione europea, un’impostazione  sovranista della politiche economiche che andranno decise per uscire dalla crisi economica che seguirà alla pandemia del Coronavirus. Ora Di Battista riappare, e aggiunge il tassello più rilevante per capire dov’è il Movimento oggi: la Cina.

In un articolo pubblicato dal giornale per cui ha scritto i suoi reportage dal Sudamerica e dall’Iran, il Fatto, Di Battista lascia poco spazio a equivoci sulla sua idea di fondo, fin dal titolo: «L’Italia deve dire  no al Mes. Senza di noi l’Ue si scioglie». Non si capisce se il secondo sia un timore o un desiderio – l’intera storia del sovranismo italiano, dalla Lega ai 5 stelle, è giocata su questa ambiguità, che di volta in volta viene declinata in una direzione o nell’altra – fatto sta che tutta l’argomentazione di Di Battista in questi giorni non è mai stata contro il premier Giuseppe Conte, anzi. Di Battista ripete anche qui di avere fiducia in lui, e di essere convinto che condivida questa sua visione. La cosa può essere oggetto di discussione, di sicuro Conte stesso, in un’intervista di dieci giorni fa alla Bbc, alla domanda se l’Europa rischierà, se non metterà in atto forme di condivisione e mutualità nei debiti, rispose: «Sì, l’Europa rischia».

Di Battista fu molto confortato da quelle parole del premier. E le commentò positivamente. Adesso porta questo discorso a conseguenze coerenti, e qui arriva gradualmente il coinvolgimento di Pechino: «Conte è un galantuomo, non ho dubbi che abbia a cuore il Paese e che consideri il Mes una trappola da evitare. Il punto è che la contrazione del pil alla quale andremo incontro e l’aumento del debito pubblico che oggi l’Ue “generosamente” ci concede ci porterà verso una spirale dalla quale sarà possibile uscire solo attivando, in futuro, strumenti come il Mes con fortissime condizionalità».

Qual è la strada alternativa? Non tanto il Recovery Fund, su cui non pare punti molto, ma l’asse preferenziale con Pechino: «Proveranno a metterci all’angolo. Ci spingeranno a indebitarci per poi passare all’incasso, ma abbiamo delle carte da giocare. In primis il fatto che senza l’Italia la Ude si scioglierebbe come neve al sole. Poi un rapporto privilegiato con Pechino, che piaccia o non piaccia è anche merito del lavoro di Di Maio».

La conclusione non è un’idea isolata di Di Battista, ma espone di fatto quella che è la convinzione profonda di Davide Casaleggio, che in questi anni ha consolidato relazioni con molto del mondo cinese in Italia, a partire dall’amministratore delegato di Huawei, Thomas Miao, ospite degli eventi della Casaleggio associati.

«La Cina – scrive Di Battista – vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europeo tale relazione». L’Italia sappia dire di no. I trattati europei si possono anche sospendere. «Dica di no quando è giusto». «O si lotta per costruire davvero L’Europa, o il Vecchio continente verrà schiacciato da Cina, India e Stati Uniti i quali, con tutte le pecche del mondo, si comportano da stati».

Nei giorni scorsi, con alcuni dei parlamentari che gli sono più solidali (Barbara Lezzi, Massimo Bugani, Maria Edera Spadoni, Nicola Morra, Giulia Grillo, Ignazio Corrao), Di Battista ha scritto un altro appello, nel quale si chiede di bloccare alcune nomine del premier e su tutte la conferma all’Eni di Claudio Descalzi («irricevibile»). L’interesse per la Cina e questa attenzione per la vicenda Eni (dove nel frattempo c’è l’intesa nel governo Conte per portare alla presidenza Lucia Calvosa, membro della società del Fatto quotidiano) si sposano col tradizionale interesse di Di Battista per la geopolitica. Con un occhio speciale non solo per l’estremo oriente, ma ovviamente, e torniamo all’inizio, per l’Iran.

Reduce da un lungo soggiorno a Teheran e nel paese, Di Battista è stato assai colpito dalle durezza delle sanzioni imposte a quel regime. Proprio pochi giorni fa l’inviato cinese in Iran, Chang Hua, ha fatto sapere che «la determinazione della Cina a sviluppare un partenariato strategico globale con l’Iran non cambierà», Cina che è tra parentesi il principale importatore di petrolio al mondo, con circa il 50% del greggio acquistato che arriva dai Paesi del Medio Oriente. Insomma, un messaggio chiaro all’Iran: al posto degli Stati Uniti ci siamo noi.

Dove si trovano l’Italia e l’Unione europea in questa tenaglia? E dove la collocheranno Conte, il Movimento, Di Battista? Nelle proposte suggerite da Di Battista è piuttosto facile cogliere un’eco della strada che il sistema a Teheran è sempre più orientato a seguire, l’idea strategica di controbilanciare gli Usa con un patto con Pechino. Mentre anche la narrazione conta, e molto: la contrapposizione tra Cina buona e soccorrevole e Unione europea cinica e indifferente ricalca, in maniera quasi letterale, le formule linguistiche delle campagne d’influenza online in Italia russe e cinesi, svolte dai troll all’attenzione del Copasir.

Jacopo Iacoboni     La Stampa  19/4/2020


 

“Muoio, ma vorrei che la mia vita non fosse sprecata inutilmente, vorrei che la grande lotta per la quale muoio avesse un giorno il suo evento.”

Bruno Frittaion, 19 anni, Antifascista e Partigiano fucilato dai tedeschi a Tarcento (Udine) il 1 febbraio 1945


 

 

 

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