Sì, confermo la notizia. Verrò processato. Verrò processato per aver definito il ministro dell’Interno “ministro della Mala Vita”. Ribadisco pienamente la mia definizione, ne difendo la legittimità e vado con serenità e con certa fierezza a farmi processare. Io, cittadino come tanti, come tutti, sarò processato; il ministro, invece, ha deciso di sottrarsi al processo, seriamente e giustamente spaventato dal fatto che la sua condotta nel caso Diciotti possa farlo condannare. Ha usato lo schermo e il ricatto politico per ottenere l’appoggio del suo alleato di governo, quel M5S che doveva fare da argine ai movimenti xenofobi e che ha finito per essere la loro stampella al Governo.

Questo processo che mi vedrà imputato, se non altro, costringerà Matteo Salvini a dire la verità o, quantomeno, a pronunciare sotto giuramento, dinanzi a uno spazio di verificabilità, le sue affermazioni, cosa che fino a oggi non è mai accaduta, trovandosi nel più agevole ambito della propaganda, dove ogni menzogna è manipolata, costruita, seminata sul terreno della bile, della frustrazione di un Paese disorientato da cui sta, per ora, e solo per ora, ricavando consenso.

Sono pronto a essere processato per un reato di opinione, cosi potrò ribadire quanto grave sia la strategia che sta portando questa politica a far coincidere lo Stato con il Governo. Le divise continuamente indossate dal ministro, la querela che mi viene fatta su carta intestata – in modo che sia fatta dall’istituzione, dal ministero e non, quindi, da persona privata – mostrano che nella politica da Twitter, nella politica da 280 caratteri, spesso si smarriscono i confini.

La strategia è la solita: permettere qualunque libertà d’espressione a chi non fa rumore, a chi si perde nel vociare ininfluente o generico e scegliere di punire e di perseguitare chi, invece, ha una voce che, per qualche ragione, si distingue e si diffonde con eco. E ancora, si preferisce punire per isolare, ed è un’evoluzione intelligente di quello che l’Italia ha già conosciuto nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, con cui fu introdotto il reato di offesa al Duce (e furono 5000 i condannati per questo reato in Italia). Molti, troppi.

Ora, non risulti questo un accostamento forzato, perché non è un accostamento. È semplicemente un racconto di come furbescamente, da sempre, si tenda a far passare la critica, anche forte, al potere come diffamazione. Sia chiaro, il reato di diffamazione serve a tutelare chiunque si senta vittima di calunnie, Io stesso vi ho fatto ricorso quando mi sono sentito solo contro il potere dei Tg berlusconiani, contro politici come Maurizio Gasparri, che ha utilizzato la sua carica per evitare il processo.

Salvini, lei è un ministro, ma sono fiero di poter testimoniare, con le mie idee, il disprezzo politico e umano che nutro verso di lei e verso il suo partito (storicamente compromesso da una lotta per anni razzistica nei confronti del Sud Italia), verso il suo basso populismo, termine che indica, va ribadito, l’ingannare il popolo mostrando che si sta invece agendo a suo vantaggio.

Sono felice di poter esprimere tutto il mio disprezzo verso questa pantomima che avete ingaggiato di voi come popolo al governo che si oppone alle élite, di cui invece siete proprio voi l’espressione più scadente. Chiamate élite tutto ciò che vi critica, che vi sorprende negli errori, che scopre le vostre contraddizioni, e chiamate popolo tutto ciò che vi è supino, fedele alleato. Qual è l’automatismo che renderebbe voi gli unici interpreti del sentire del popolo? Che lo renderebbe esclusivamente rappresentato da questa parte politica?

Ecco, è proprio qui che arriva la necessità della querela e l’obbligo che aveva di portarmi in tribunale: cercare di isolare le voci che dissentono, perché il popolo non deve avere un volto, deve dare solo applausi. Non deve dare neanche un consenso ragionato, ma deve dare like, qualcosa di istintuale.

E qui c’è l’odio verso gli intellettuali e verso chi pensa, chi scrive, chi racconta, chiamati élite, o al servizio dell’élite, cosa per niente nuova e insolita. E anche in questo si sente una continuità. È da uno dei miei maestri, Gaetano Salvemini, che ho preso l’espressione ministro della Mala Vita, che lui usò per Giovanni Giolitti. Si figuri, ministro, che molti pensano che avrebbe dovuto sentirsi lusingato da questo accostamento, assolutamente improprio per mancanza di spessore, capacità, visione. Nulla di ciò che aveva Giolitti somiglia a ciò che di sé manifesta il nostro ministro dell’Interno. Questo processo dal quale, a differenza di lei, non mi sottrarrei nemmeno se potessi, lo affronterò non solo in difesa di me stesso ma anche di donne e uomini liberi che ragionano, che agiscono, che si battono e che prendono parte.

L’odio verso gli intellettuali è da sempre giustificato allo stesso modo, ministro. Gli intellettuali fanno pensare, danno elementi, possono esistere al di là del consenso, mentre un politico senza consenso non ha voti e cade. Gli intellettuali non devono dare dimissioni e, anche se sottoposti a una campagna di delegittimazione e di repressione infinita, l’unico tribunale a cui devono rispondere è quello della loro coscienza e della qualità delle loro opere. Fine.

Liu Xiaobo (1955- 2017)

Fanno paura per questo, da sempre e in molte parti di questo mondo, soprattutto quando si allontanano dai territori accademici, quando diventano incontrollabili, quando accade che la loro riflessione diventi dibattito diffuso. Ecco, lì l’intellettuale va fermato, delegittimato, accusato, processato. “Rendere la vita difficile al Gobetti“, fu quello che Mussolini telegrafò al prefetto di Torino. Uno dei più grandi intellettuali che la Cina abbia mai avuto, Liu Xiaobo, premio Nobel per la Pace, è stato condannato al lavoro forzato in un laogai. Quindi sono fortunato, perché riesco ancora a scrivere, a guadagnare con il mio lavoro e a pagare i miei avvocati.

Nell’incedere che si crede nuovo perché violento, perché nel gesto di ribaltare la tavola c’è una sua bellezza definitiva, quanto è facile poter sintetizzare in una frase la propria rabbia. È stata sempre la fortuna dei totalitarismi, della demagogia, poter in poche parole interpretare un mondo così complesso. E così, pensate di essere nuovi quando definite gli scrittori élite, quando stigmatizzate il sistema delle banche oppure quando date a Soros ogni sorta di responsabilità perché ebreo, perché finanziere.

È tutto molto semplice, è tutto molto vecchio, è già successo, già si è visto negli anni ’20. Non c’è nulla di nuovo. L’immigrato considerato il male, l’invasore, lo stupratore, colui che porta via il lavoro è una storia che gli italiani lo hanno già subito, come i polacchi, gli irlandesi, i cinesi. Gli ebrei che “strozzano” la vita degli Stati perché sono l’anima oscura nascosta nelle banche, lo spirito finanziario dei massoni. Frasi che si ripetono, concetti che rimbalzano da più di un secolo ormai. Vecchie storie che servono a rendere semplice, scontato il mondo e che permettono quindi anche a una figura mediocre, come quella del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di poter sembrare un disvelatore di verità.

Io vengo mostrato come bersaglio chiaro da colpire, rappresento tutti coloro che hanno con severità e con decisione criticato la politica di questo governo e l’attività di questo ministro.

Sento già che sarà una battaglia molto solitaria, come molte fatte in questi anni. Siamo stati in grado (parlo per parte democratica) di essere disuniti, isolati, di credere che la fragilità di chi ci era più vicino potesse aumentare la nostra solidità. Nulla di più stupido. Abbiamo soltanto rafforzato chi da tempo sta sistematicamente compromettendo le conquiste democratiche per un vivere civile e tutto questo gli è permesso perché chi c’è stato prima non ha di un solo passo riformato il Paese. Ma mi fermo.

Mi fermo, certo che questo processo sarà un punto di non ritorno per il ministro Salvini. In quell’aula dove ovviamente verrò processato nei tempi infiniti che la giustizia italiana come sempre ha, senza che alcun governante riesca a porci rimedio, sono certo che qualunque sarà l’esito, per quanto mi riguarda, avrò la certezza di aver preferito quotidianamente combattere contro le menzogne e le manipolazioni di questo ministro, che aver invece cercato, in maniera imbelle, il suo favore e la sua indifferenza, per continuare una vita tranquilla e una carriera senza inciampi.

Matteo Salvini, mentre lei scappa codardamente dal processo sul caso Diciotti, ci vedremo al processo nel quale sarò io l’imputato, ma le assicuro che non mi intimidisce e le prometto che con la parola – l’unico mezzo a mia disposizione – non darò tregua alle sue continue bugie.

Roberto Saviano      la Repubblica  20 marzo 2019

 

Vedi:  La forza della coscienza: GAETANO SALVEMINI

La Resistenza di un giovane liberale: PIERO GOBETTI

Quel baciamano a Salvini svela il volto della Lega a Sud.


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