Ci muoviamo a tentoni, in una nebbia fitta di memorie sbagliate. E quando urtiamo chi, come noi, ha sbagliato strada, siamo pronti alla polemica ma non a rivedere il percorso. Quasi ogni notizia è notizia di un errore che si scontra con un errore opposto e simmetrico. Lungo il percorso, entrambi si rafforzano. Errori di ricordi, eventi, valori, cose in cui crede, cose da negare si moltiplicano e si negano a vicenda.

Un esempio: nelle stesse settimane la Polonia vota una legge che vieta (con pene adeguate) di parlare della Shoah. Il Parlamento della terra di Oswiecim (Auschwitz) nega che vi sia mai stata una partecipazione polacca al tentato sterminio del popolo ebraico o una collaborazione con i tedeschi, occupanti e operatori dei campi.

Intanto il governo austriaco diventa nazista, il governo ungherese riconferma la propria fede di estrema destra (Orban presidente sostenuto da una maggioranza neo fascista) e l’Italia manda personaggi, auguri e saluti di tutta la destra, compresa quella che finge di essere democratica e vuole governare. È il tributo a un leader che, nel silenzio dell’Europa, ha raso al suolo ogni istituzione democratica, dall’indipendenza della magistratura alla libertà di stampa.

Come ci ha ripetuto invano il passato, i fascisti non vengono mai soli. Ad esempio, la comunità ebraica di Berlino ha appena dichiarato di sconsigliare, specialmente ai più giovani, di indossare la “kippà” (il copricapo rituale ebraico). Lo dice a Repubblica il presidente della Comunità berlinese Schuster aggiungendo questa riflessione: “La Germania ha fatto i conti con il proprio passato come nessun altro, ma ha dipinto troppo gli ebrei come vittime e troppo poco come parte integrante della società tedesca da secoli”.

La frase finisce per essere simmetrica alle motivazioni della legge polacca. Per ragioni opposte, s’intende, e nonostante la motivazione nobile, il messaggio inviato a un insegnante che debba parlare di Shoah ai suoi allievi, e magari organizzare un viaggio di visita ai campi, è lo stesso: diminuire l’insistenza sulla persecuzione e i suoi metodi.

Per i polacchi la spiegazione è triste e semplice: tornare al fascismo. Il presidente della comunità di Berlino Schuster dice una cosa giusta, ma mostra invece di non vedere l’emergenza di una Europa che non ha nulla da obiettare ad alcuni importanti Paesi membri della Unione per il loro dichiarato e pubblico antisemitismo (Polonia, Austria, Ungheria ma anche Repubblica Ceca, Slovacchia), mentre si diffondono, elezione dopo elezione, i successi dei partiti populisti identitari, xenofobi e, tradizionalmente, difensori dell’esclusivo predominio cristiano.

In Italia tanti avranno notato che due feste a cui si aggancia il senso della nostra storia contemporanea sono rimaste orfane, in mano a cittadini disorientati e a celebranti senza fede.

Parlo del 25 aprile, festa della Liberazione italiana. E del 1 maggio, festa del Lavoro. La prima era stata sconsacrata con piglio bolscevico da Berlusconi e dichiarata “comunista” dal leader insediato a Palazzo Grazioli come primo ministro. La seconda ha portato un grande imbarazzo perché è difficile celebrare il lavoro che non c’è. Nessuno se ne sta occupando. Non ci sono progetti per crearlo. E, se necessario, diventa rivoluzionario proporre direttamente modeste somme di danaro che lo Stato verserà a chi non lavora, piuttosto che imbarcarsi tra le fantasie del come creare nuovi posti in nuovi luoghi detti “la crescita”.

Tutto ciò racconta di un Paese sperduto negli ultimi posti di una Unione a cui vengono inviate continuamente percentuali da osservare, somme da pagare e debiti da ridurre. Non sappiamo celebrare il 25 aprile, anche perché costringerebbe a ricordare che metà dei leader italiani, e metà dei nuovi governi europei negano tutto ciò che il 25 aprile celebra.

Non sappiamo celebrare il 1 maggio, salvo un bel concerto di gente giovane che, almeno, è giovane, perché chi siamo noi (guardate i nomi di chi governa e di chi vuole governare) per contrastare il vento violento del neo capitalismo che punta sradicare il lavoro come forza politica?

E, dopo anni di comportamento umano verso i migranti, quando Giusi Nicolini era il sindaco di Lampedusa e la Marina italiana era l’operazione “Mare Nostrum”, alcuni politici italiani (Salvini, Minniti, Meloni) hanno pensato bene di unire le forze contro i rifugiati, tanto per lasciare, in un’epoca confusa e nebbiosa, una loro impronta di civiltà. E così hanno insediato i lager in Libia.

Un giorno i ragazzi delle scuole saranno portati a visitare ciò che ne resta per conoscere il passato e non ripeterlo. Oppure diremo, alla polacca, che in quegli anni, annegavano solo gli imprudenti.

Furio Colombo      Il Fatto   6 maggio 2018

 

Vedi:  25 aprile, festa della responsabilità

La memoria finisce, la Storia resta: il 25 aprile è ancora vivo

Le mie speranze perdute dopo la Liberazione


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